L’Ambiente dice no alla Regione Lazio per il gassificatore di Albano: rischi per le falde idriche
E all’acqua chi pensa?
di Gianni Torre
Negativa la V.I.A. (valutazione d’impatto ambientale) sul progetto per il gassificatore di Albano. Il parere, a quanto si legge sul Corriere della Sera di oggi, a pagina 3 della cronaca di Roma, si basa su varie argomentazioni: aspetti idrogeologici (l’impianto determinerebbe un “forte squilibrio del bilancio idrogeologico” e “alterazioni delle falde”); monitoraggio inadeguato degli agenti inquinanti; pericoli per le produzioni agricole (si rischiano “trasformazioni della qualità di umidità e pioggia, che in combinazione dell’impianto comprometterebbero la qualità del raccolto (di uva)”). E scusate se è poco! Ci sono riserve anche sull’assetto urbanistico, mancando studi sull’impatto dell’elettrodotto (che trasporterà l’energia prodotta dal gas) e del traffico veicolare connesso con le attività dell’impianto. La vicenda induce a quale riflessione sulla salubrità delle acque, non tanto di quelle ad uso potabile, ma di quelle per irrigazione che, se inquinate, trasferiscono germi in prodotti agricoli di grande consumo. Chi ci può dire delle acque? Chi ci può fornire assicurazioni sulla mancanza nelle acque di irrigazione di elementi patogeni, considerato che, chiunque ha esperienza della casetta in campagna o al mare è consapevole del cattivo odore che spesso caratterizza le acque per innaffiare giardini ed orti. Chi ci può dire della salubrità delle falde in zone che accolgono discariche, siano “legali” o, soprattutto, illegali, quelle, per intenderci, nelle quali sono stati sversati liquami altamente tossici in varia forma confezionati? E’ un grosso problema, del quale non sembra vi sia adeguata consapevolezza. Di tanto in tanto si scopre una discarica abusiva, se ne dà conto in televisione, si dice che forse i liquami sono stati assorbiti dal terreno, ma poi non si sa più nulla degli effetti sulle falde che mettono a disposizione delle popolazioni quel bene fondamentale che è l’acqua. Un bene prezioso che ogni ordinamento ha sempre tutelato con norme rigidissime presidiate da pene severe. In Cina, fin dalle dinastie più antiche, chi disperdeva l’acqua o la inquinava era passibile della condanna capitale. Così a Roma, dove l’acqua, la sua distribuzione alla popolazione e l’uso pubblico nelle Terme, era l’orgoglio della Repubblica. Oggi dell’acqua si occupano troppi, con effetti deleteri. Innanzitutto un Paese ricco d’acqua rimane a secco quasi tutte le estati perché l’acqua non viene conservata come sarebbe necessario, ad esempio con invasi artificiali che un tempo assicuravano energia attraverso impianti idroelettrici e, d’estate, acqua alle coltivazioni. Poi c’è stato il disastro del Vajont e il boom del petrolio per l’alimentazione delle centrali termoelettriche. Nel frattempo gli acquedotti continuano a perdere quasi il cinquanta per cento dell’acqua trasportata. E nessuno vi pone rimedio. Così come nessuno se ne vergogna! Il fatto è che si tratta di lavori costosi, che richiedono anni. Costi e tempi che una classe politica dalla vista corta non riesce ad apprezzare. Il prossimo governo, qualunque sia la maggioranza, deve darsi carico del problema acqua, della sua salubrità e della sua distribuzione. E’ un’esigenza di civiltà, un appuntamento al quale l’Italia, erede di Roma, non può mancare!
30 marzo 2008
Evitiamo dopo il danno la beffa
Niente risarcimento a chi ha usato latte inquinato
di Salvatore Sfrecola
E’ di oggi lo stop alle importazioni di formaggi italiani, non più solo la mozzarella, dunque, da parte di Cina e Singapore, con grave danno per gli operatori del settore, non solo su quei mercati. In una sorta di “effetto domino” che è consueto nelle vicende che riguardano preoccupazioni per la salute. E’ inevitabile, dunque, un intervento pubblico a sostegno delle aziende in difficoltà. Vedremo in quale forma si deciderà di aiutarle a superare questo momento di difficoltà, consentendo loro di essere ancora competitive e di mantenere i livelli occupazionali. Una regola, tuttavia, non potrà essere trascurata: nessun aiuto a chi colposamente ha messo in produzione mozzarelle e formaggi usando latte non controllato. Così come occorrerà verificare che partite di prodotto tolte dal mercato vengano riciclate per altre utilizzazioni, dai formaggi fusi alle paste “ai quattro formaggi”! In sostanza non vorremmo che, come in altre occasioni, lo Stato e la comunità nazionale subissero oltre al danno, economico e d’immagine, anche la beffa di “risarcire” i responsabili di questa vergogna nazionale, che ne segue altre che troppo presto abbiamo dimenticato o dimostriamo di sottovalutare, dal colera alla monnezza, alla diossina, appunto. Non sento, infatti, in giro sufficiente indignazione per questi fatti. Troppe giustificazioni, e la solita accusa agli “altri” che ci vogliono male, che approfittano di ogni occasione per darci addosso. E’ la sindrome di Calimero, forse perché troppo spesso, e troppe volte, abbiamo contato sulla fortuna, sullo “stellone d’Italia”! La fortuna, si sa, aiuta gli audaci, non i malfattori!
30 marzo 2008
Politici, siate voi stessi!
di Salvatore Sfrecola
Alla ricerca spasmodica del voto che potrebbe fare la differenza, in una campagna elettorale difficile, non solo al Senato, per il limite più alto della soglia per partecipare alla spartizione dei posti (8 per cento, rispetto al 4 per cento della Camera), alcuni esponenti di partito vanno manifestando opinioni che fino a qualche giorno prima non avrebbero neppure sognato di condividere. Abbiamo deciso di non entrare nel merito delle scelte elettorali, per cui non facciamo esempi. Ma chi legge i giornali ha certamente colto certe “conversioni” dell’ultimo momento su regole economiche o su gusti personali sempre ritenuti lontani da una certa cultura. Per cui si sentono nei comizi aperture a esperienze capitalistiche che molti eredi di Carlo Marx mai avrebbero ritenuto ammissibili e improvvise esaltazioni del liberalismo che avrebbe affrontato con cautela perfino Giovanni Malagodi. Porteranno nuovi consensi queste aperture politiche e culturali? E’ difficile dirlo, ovviamente, anche perché occorrerebbe valutare di alcune iniziative gli effetti negativi su parti dell’elettorato tradizionale di questi partiti che possono essere attratti dalle posizioni più rigide delle frange dei “duri e puri” che a destra ed a sinistra contendono spazi importanti ai due partiti maggiori. Questi partiti, che è semplicistico definire “estremisti”, se non per effetto di un meccanismo comparativo che in politica incontra sempre dei limiti, puntano proprio a rimarcare la “differenza” con quanti indicano come condizionati dalle ambizioni di governo e sottogoverno in un Paese che vanta il maggior numero di enti pubblici tra gli stati moderni. Con centinaia di migliaia di posizioni di potere politico e amministrativo che costituiscono la più vasta ed appetibile fonte di posti di lavoro. Di qui l’invito ai partiti ad essere sempre se stessi, a non rincorrere, per qualche voto in più, idee e gusti che non appartengono alla loro storia ed alla loro cultura. La scelta di sembrare a la page modifica un’identità che è bene prezioso, trasmesso dalli maggiori, un’identità che va continuamente aggiornata, salvi in ogni casi i sacri principi ai quali tutti i partiti s’ispirano. Si rischia di diventare altro, che non può essere una scelta estemporanea alla vigilia del voto, ma una riflessione severa e seria, come seria dev’essere la politica per chi si propone al consenso della gente come testimone di idee.
29 marzo 2008
Ci sono bufale e bufale! Disinformazione e terrorismo mediatico si giovano della fama dell’Italia, Paese poco attento ai controlli
di Salvatore Sfrecola
La Francia ritira le mozzarelle dal mercato, poi ci ripensa. Soddisfatta, come l’Unione Europea, delle assicurazioni delle nostre autorità. Ma qua e là rimangono dubbi. Poi si scopre che non sempre è formaggio italiano quello che ha destato sospetti. Siamo al film, giallo. O meglio da commedia degli equivoci. Perché quelle che i sud coreani si sono ritrovati sulle tavole e che hanno causato il blocco delle importazioni del prodotto dall’Italia, potrebbe non essere stata mozzarella di bufala campana Dop (sic!) ma un prodotto imitativo oppure non direttamente proveniente dall’Italia. Per il Ministro delle Politiche Agricole, Paolo De Castro “non esiste in Campania un caso diossina”. E forse ha ragione il Capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, per il quale, “quando all’estero si può parlare male di noi tutti lo fanno con grande piacere. Si specula e si sfruttano situazioni locali”. Nasconderci dietro un dito è tuttavia sciocco. L’Italia passa in genere, anche agli occhi degli italiani, per essere poco attenta ai controlli in materia di sanità, un Paese dove è possibile aggirare le regole, tanto il rischio è scarso se non inesistente. Chi paga? Ci siamo chiesti: nessuno, dice l’esperienza. In televisione è stato diffuso un video nel quale si vedono bufale che pascolano tra i rifiuti. E’ un filmato pubblicato prima che esplodesse l’emergenza mondiale per la mozzarella di bufala. Le riprese non lasciano dubbi: le bufale spuntano da un cespuglio e gironzolano sotto un grosso traliccio su un terreno dove tra copertoni di auto, lattine e pattume. Ha certamente ragione Bertolaso, ma se quando qualcuno attenta alla salute fosse condannato nel giro di 24 ore ad una pena adeguata, quella che la gente definisce esemplare, forse il nostro Paese sarebbe immune da azioni speculative della concorrenza. E si direbbe, lì, in Italia, chi sbaglia paga, subito! Quando potremo dirlo?
29 marzo 2008
Se ne parlerà a “Identità e Confronti”
Armeni: Genocidio o deportazione? Se non è pane è pan bagnato!
di Giovanna Luciana de’ Luciani
Il Presidente Sarkozy minaccia di boicottare l’inaugurazione delle Olimpiadi in una Pechino capitale di quell’impero che sta soffocando il piccolo, pacifico Tibet, che costringe all’esilio il Dalai Lama, che non tollera la dissidenza dei monaci, che li bastona sulla piazza. Qualche mese fa l’Assemblea Nazionale aveva ricordato da Parigi al mondo intero l’eccidio degli armeni, all’inizio del secolo scorso, nell’Anatolia a maggioranza cristiana. Uno dei drammi della storia, che l’Italia aveva conosciuto nei mesi scorsi attraverso un film dei fratelli Taviani, “La Fattoria delle Allodole”, tratto dal romanzo d’esordio di Antonia Arslan, scrittice italo-armena, basato su memorie familiari e che hanno fatto rivivere dolorosamente la tragedia subita dalla comunità armena. Il film aveva suscitato le critiche e le proteste della comunità turca. Per la Turchia si trattò di deportazione, non di genocidio. Una misura di guerra resa necessaria dalla ribellione degli armeni che ospitavano gli invasori russi. Anche sulle cifre del massacro non c’è accordo. Gli storici armeni parlano di un milione e mezzo di vittime, il governo turco di 500/600 mila morti, di entrambe le parti, in un conflitto armato tra armeni cristiani e turchi musulmani. Torna adesso sul tema “Identità e Confronti”, l’Associazione culturale romana animata da Adriana Elena, che martedì 8 aprile 2008, alle ore 20.45 (Basilica di San Lorenzo Fuori le Mura, Piazzale del Verano 3/6), ha organizzato un incontro sul tema “Dalla Turchia Cristiana alla questione armena” al quale interverranno Padre Egidio Picucci, Cappuccino (“La Turchia delle prime comunità cristiane”), la Professoressa Seta Martayan, Presidente dell”Associazione della Comunità Armena di Roma e del Lazio (“La presenza armena nell’Impero Ottomano”), Padre Joseph Kelekian, Rettore del Pontificio Collegio Armeno (“Un milione e mezzo di martiri all’alba del XX Secolo”). L’incontro, che sarà moderato dal dottor Giancarlo Elena, si preannuncia di estremo interesse e di grande attualità, anche per la contemporanea vicenda del Tibet, sulla quale la comunità internazionale appare divisa e incerta tra omaggi formali alla libertà di un antico popolo, pacifico e saggio, e la crudezza della ragion di stato che esclude conflitti con la Cina, potenza economica e politica con la quale tutti debbono fare i conti. E qui va reso omaggio al Presidente Sarkozy e alla Francia, a volte spocchiosa e arrogante, che però non dimentica di essere la patria dei sacri principi di libertà e uguaglianza che dal 1789 da Parigi hanno trasformato il mondo.
29 marzo 2008
Ho visto un’anziana donna rovistare in un cassonetto!
di Salvatore Sfrecola
Qualche giorno fa sostavo in auto, a qualche metro da un cassonetto, quando ho visto una donna non più giovanissima avvicinarsi, sollevare il coperchio, rovistare all’interno e trarne qualche ciuffo di verdura. Non una “barbona”, di quelle che, a Roma, “alloggiano” accanto ai portoni delle chiese, sotto i pochi moderni porticati che ornano i palazzoni stile ventennio, al centro della città. Un lungo impermeabile, scarpe con tacchi, capelli accurati, l’immagine di quella donna mi ha profondamente addolorato. A conferma che si va diffondendo la povertà in una fascia debole, sempre più vasta, della popolazione. Anziani, con pensioni modeste, non reggono all’aumento del costo della vita, che è costante dai primi anni dell’euro e cresce soprattutto nel settore dell’alimentazione. Quegli anziani che, al mercato, a fine mattinata, cercano la frutta e la verdura che nella scelta dei più fortunati è stata scartata, la mela ammaccata, l’insalata ingiallita, offerte con qualche centesimo in meno. E, più tardi, rovistano tra la spazzatura in attesa di essere portata via dagli operatori dell’AMA. E’ una situazione alla quale il prossimo governo, qualunque sia la sua maggioranza, deve darsi carico, per una esigenza di giustizia sociale, ovvia in un Paese che ha una tradizione di cristiana attenzione per il fratello che ha bisogno, perché la solidarietà tra le generazioni non può essere solo uno slogan nelle conversazioni di salotto o nei comizi elettorali. Assicurare alla popolazione anziana disponibilità economiche per le più elementari esigenze della vita, l’alimentazione, le cure per la salute, fornisce stimoli al sistema economico, contribuisce all’incremento dei consumi, quindi alla produzione, alle entrate fiscali conseguenti alle cessioni dei beni, attuando quel circuito virtuoso che in economia è fondamentale.
29 marzo 2008
Monnezza, diossina, danni all’economia! Chi paga? Nessuno!
di Salvatore Sfrecola
Un tempo fu il metadone, messo nel vino pugliese, a danneggiare le esportazioni italiane in mezza Europa. Oggi è la monnezza napoletana ad allontanare i turisti dalle splendide falde del Vesuvio, mentre il “rischio diossina” frena in alcuni paesi dell’estremo oriente le importazioni di mozzarelle provenienti dalla Campania. I giornali oggi dicono che anche da Mosca, dopo Seul e Tokio, arriverebbe uno stop ai nostri prodotti. Il danno è enorme, al di là delle cifre dell’export in quelle regioni lontane e di quelle che, è inevitabile, nei prossimi giorni segneranno una limitazione delle esportazioni in altri paesi. Il danno è all’immagine dell’Italia che travolgerà altri prodotti, per l’effetto psicologico che naturalmente deriva da fattori di questo genere. Una situazione enfatizzata, dicono governo e produttori. Si tratterebbe solo di “tracce” di diossina, rinvenute in alcuni prodotti. Il fatto è che neppure tracce, piccole tracce, dovevano esserci in quei prodotti che contribuiscono all’immagine delle esportazioni italiane in campo alimentare. Inoltre c’è naturalmente la concorrenza che enfatizza per ritagliarsi ulteriori quote di mercato. Chi ha inquinato, ma, soprattutto, chi non ha controllato?
E chi pagherà? Nessuno! Purtroppo questa è l’amara constatazione che dobbiamo fare. Perché nella “Patria del Diritto” azioni penali di questo genere inevitabilmente cadono in prescrizione per la lunghezza dei processi e l’azione di risarcimento del danno, in sede civile o di Corte dei conti, quando nelle omissioni sono coinvolti pubblici amministratori o funzionari. I processi scontano difficoltà obiettive e poca voglia di fare, mancando a volte quella fantasia che consente agli investigatori di risalire per li rami delle attribuzioni delle amministrazioni e degli enti per individuare le omissioni, dolose o colpose, che sono all’origine del danno.
In queste condizioni immaginiamo un’azione di supplenza delle organizzazioni imprenditoriali del settore che, in una sorta di codice d’onore, sappiano difendere il loro lavoro e, con esso, l’immagine della loro terra. Purtroppo anche l’imprenditoria italiana, accanto a tanti operatori seri, aggrega avventurieri e lestofanti che guardano vicino, al guadagno immediato e non si preoccupano di assicurarsi condizioni di produzione e vendita di più ampio respiro. Allora dovrebbero supplire le autorità pubbliche, non tanto i politici che abbiamo visto in questi anni molto “distratti”, ma i funzionari che siano consapevoli del loro ruolo professionale e della funzione che essi svolgono al servizio esclusivo della Nazione, come dice la Costituzione. Uno scatto d’orgoglio da parte loro potrebbe risolvere molti problemi. Speriamo che venga!
27 marzo 2008
Italia a pezzi
di Salvatore Sfrecola
I segnali ci sono stati tutti fin dall’indomani della proclamazione del Regno d’Italia. Il primo è venuto da Cavour. Sul letto di morte lo statista piemontese, consapevole dell’impegno che avrebbe atteso il nuovo governo, disse ai medici durante un consulto “guaritemi rapidamente, ho l’Italia sulle braccia e il tempo è prezioso”. Poi un “febbrile monologo”, come lo definisce Sergio Romano (Storia d’Italia – Dal Risorgimento ai nostri giorni) sui “poveri napoletani”. “L’Italia del nord è fatta… non ci sono più né lombardi, né piemontesi, né toscani, né romagnoli; siamo tutti italiani; ma ci sono ancora i napoletani. Oh, c’è molta corruzione nel loro paese. Non è colpa loro, poveretti, sono stati così mal governati… Bisogna moralizzare il paese, educare l’infanzia e la gioventù, creare asili, collegi militari; ma non è certo ingiurando i napoletani che riusciremo a cambiarli. Mi chiedono impieghi, decorazioni, carriera; bisogna che lavorino, che siano onesti, e allora gli darò decorazioni e carriera; ma soprattutto niente elargizioni… E niente stati d’assedio (…) tutti sanno governare con gli stati d’assedio. Li governerò con la libertà e mostrerò ciò che dieci anni di libertà possono fare di queste belle regioni. Fra vent’anni saranno le province più ricche d’Italia”. La citazione è lunga ma utile a capire molte cose di questo nostro Paese che stenta a trovare una dimensione unitaria, la sintesi delle sue ricchezze culturali, che sono nella diversa intelligenza dei suoi abitanti, nella varietà delle esperienze maturate nei principati e nelle repubbliche che hanno segnato nei secoli una storia pubblica illustre, a leggere le norme che ne hanno disegnato gli ordinamenti, meno se pensiamo alla concreta gestione del potere in alcune aree che ancora oggi denunciano un intollerabile tasso di illegalità. Illuminanti le parole di Cavour, consapevole di una realtà che Massimo D’Azeglio avrebbe sottolineato con una frase “l’Italia è fatta, ora facciamo gli italiani”, rimasta a dire di una aspettativa irrealizzata ancora oggi, se ieri sul Corriere della Sera Raffaele Lombardo se la prende con Garibaldi e con mezza letteratura, da Verga a De Roberto, a Pirandello, a Tomasi di Lampedusa, che darebbe una immagine dei siciliani “sconfitti, rassegnati, vinti”. Il suo “mito” è Bossi. Ora, al di là della polemica meridionalista che rivendica gli errori di un’Italia fatta in fretta, con scelte economiche che hanno fin dai primi anni dell’unità privilegiato le industrie del Nord con misure protezionistiche che hanno danneggiato le produzioni agricole meridionali, non c’è dubbio che il modello di sviluppo, come abbiamo più volte detto, non abbia tenuto conto della varietà delle culture e delle esperienze. Un intelligente decentramento avrebbe potuto unire meglio una penisola con tante illustri storie civili. Senza riandare a Cattaneo, secondo Fracassetti (Risorgimento e Federalismo) lo stesso Cavour aveva consapevolezza dell’importanza della valorizzazione delle autonomie locali. Lo dimostrò nel 1859 in un discorso nel quale lodava le contee inglesi. Lo confermerà invitando il Ministro degli Interni Carlo Farini ad elaborare un disegno di decentramento. Vi provvederà una speciale Commissione insediata il 24 giugno 1860. In quella sede, per la prima volta si parlò di Regioni e di Governatori. Scrisse Farini: “Stabiliti i limiti delle Regioni, dovranno essere determinate le attribuzioni. (…) Ogni Regione è sede di un Governatore che rappresenta il potere esecutivo con le attribuzioni: fanno capo a esso politicamente gli intendenti delle Provincie”. Dopo Farini fu Marco Minghetti, nuovo Ministro degli Interni, a portare avanti il progetto. Nella seduta della Commissione del 28 novembre 1860, Minghetti sostenne che si potevano decentrare almeno 4 Ministeri: Interni, Istruzione, Lavori Pubblici, Agricoltura. Un bel lavoro, a pensarci bene! Ecco perché sono da sempre convinto che la morte di Cavour sia stata una grave iattura per l’Italia, che oggi si trova a fare i conti con un federalismo gretto e, sul piano istituzionale, pasticcione.
24 marzo 2008
Magdi Allam diviene cattolico nella Basilica di San Pietro
Quel battesimo sotto i riflettori
di Salvatore Sfrecola
Credo che i fatti della fede appartengano al foro interno delle persone, al più profondo del loro sentire, che siano, in sostanza, vicende private, tanto più private quanto più vissute con un travaglio forte, come nel caso di una conversione. Non che il cristiano non possa manifestare all’esterno il proprio credo. Anzi, sono stato sempre del parere che un uomo di fede debba manifestarla e sentirsi testimone del suo credo, e, per esso, desiderare di essere riconosciuto un uomo onesto, buon marito, buon padre, lavoratore capace, proprio per la sua fede. Questo non vuol dire sbandierarla. Diffido, infatti, di chi esibisce la propria fede continuamente, di chi non apre bocca se non dice di pregare tanto e di ispirare sempre la sua azione all’insegnamento della Divinità, esibendo pratiche e appuntamenti religiosi. Mi sembra, come tutte le cose esagerate, una forma che punta all’apparire più che all’essere. Con questo mio modo di pensare mi è parsa decisamente forzata l’eco che ha avuto, in San Pietro, il battesimo di Magdi Allam, vicedirettore del Corriere della Sera, scrittore di origini egiziane, già di fede musulmana, si deve almeno ritenere, autore di molti libri che parlano di Islam e Occidente, “fustigatore dell’oltranzismo musulmano”, come si legge oggi su Il Giornale. Non che la notizia non sia tale. La conversione di un musulmano illustre, il battesimo officiato dal Santo Padre la notte di Pasqua, nella Basilica che è il centro della Cristianità, costituiscono tutti elementi di grande richiamo per l’opinione pubblica. Anche la Santa Sede avrà certamente apprezzato la pubblicità intorno all’evento. Non è un fatto di tutti i giorni quello che si è verificato ieri notte. Vista sotto il profilo del battezzato l’evento ha un’altra dimensione. E’ una cerimonia che avrei preferito fosse intima, come dovrebbe essere una conversione, che certamente giunge alla fine di un travaglio forte, come non può che essere una scelta che cancella l’adesione ad una fede per averne individuata un’altra. A meno che una fede non ci fosse, non è dubbio che l’abiura di un credo praticato e la conversione ad altra religione dev’essere un evento accompagnato da una sofferta riflessione interiore, talmente interiore che non va sbandierata ai quattro venti. Come sofferta è una ripresa di fede per chi ha avuto un periodo di freddezza con Dio. Non vorrei essere irriguardoso, considerata la sacralità dell’evento. Ma se uscirà un libro sul travaglio di un convertito, forse sarà confermata la famosa riflessione che si attribuisce al Senatore Andreotti: “a pensare male si fa certamente peccato, ma spesso s’indovina”! Che non significa negare l’autenticità della conversione, della quale nessuno ha motivo di dubitare. E’ la fragilità degli uomini che, a volte, fa loro confondere il sacro con il profano.
23 marzo 2008
Post Scriptum
Ho scritto di getto, sulla base dei notiziari televisivi, prima di leggere i giornali, innanzitutto il Corriere della Sera che, in prima pagina, reca una lettera al Direttore di Magdi Cristiano (aggiunto in occasione del Battesimo) Allam, e due articoli di Renato Farina e Caterina Maniaci su Libero. Entrambi confermano l’impressione di una eccessiva sovraesposizione di un fatto che, a mio giudizio, deve rimanere nell’intimo dell’anima. Nella sua lettera Allam sembra identificare Islam con il terrorismo, una tesi che, per la verità, in passato aveva contestato sottolineando una distinzione tra fede pura e terrorismo che era sembrata la forza della sua prosa. Ora afferma che “la radice del male è insita in un islam che è fisiologicamente violento e storicamente conflittuale”. Poco prima scrive di essersi convertito “rinunciando alla precedente fede islamica”. Ma Libero riferisce un diverso pensiero. “Mai stato praticante: Mai pregato cinque volte al giorno… Mai digiunato durante il Ramadan… sono come mio padre, che pregava poco o niente e beveva, anche troppo. A differenza di mia madre, che era religiosa al limite del fanatismo ed ha voluto essere sepolta a Medina, la seconda città santa dell’islam, accanto alla moschea che custodisce le spoglie di Maometto. Un trauma profondo per me”. Un commento che non mi è piaciuto, senza rispetto neppure per la madre e la sua profonda religiosità.
Ma all’Infedele, Gad Lerner delude le persone intelligenti
Per i cristiani oggi Cristo è risorto
di Salvatore Sfrecola
Per Gad Lerner è il tema fondamentale, “ma anche il più difficile da accettare, del cristianesimo: la risurrezione in carne e ossa di Gesù tre giorni dopo la sua morte in croce”. Così nel Mercoledì Santo l’Infedele l’ha affrontato, nella convinzione che “l’incredulità intorno al miracolo della Pasqua è largamente diffusa anche fra i cristiani”. La domanda se si possa “davvero essere cristiani ridimensionando la risurrezione di Gesù a mero simbolo metafisico” domina la “discussione” tra Vito Mancuso, Ernesto Galli della Loggia, don Giovanni Nicolini, Adriano Prosperi, Paolo Flores d’Arcais, il Rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, la teologa Maria Poggi Johnson (autrice del libro “Stranieri e vicini. Cosa ho imparato sul cristianesimo vivendo a contatto con ebrei ortodossi”, Il Mulino), il monaco buddista Jiso Ferzani. Il tema è evidentemente di quelli che farebbero tremare i polsi a chiunque con onestà intellettuale lo affrontasse, confrontandosi con altre opinioni. Ma, in realtà, un confronto vero all’Infedele non c’è stato, com’è consuetudine di certo giornalismo italiano, che propone temi in forma che si vorrebbe problematica ma che, in realtà, mira a far prevalere una tesi. Modesti la Poggi e don Nicolini, che avrebbero dovuto sostenere le tesi di chi è convinto che Cristo sia risorto, gli altri erano decisamente contrari ad ammetterlo, se non fortemente scettici. La posizione marginale assunta da Galli della Loggia, che ha affrontato con grande cautela alcuni profili storici della tradizione cristiana, più che altro ponendo delle domande, non è valsa a restituire dignità di confronto vero al dibattito. Gad Lerner, giornalista e uomo di cultura, intelligente, fallisce inevitabilmente quando affronta temi religiosi, com’è stato per il precedente incontro sull’esistenza di Dio, protagonista sempre quel Vito Mancuso che semina il terreno di equivoche asserzioni che ben poco offrono al dibattito. Che delusione, caro Lerner, lasci stare i santi. Scherzi piuttosto con i fanti. Le questioni di fede, di qualunque fede religiosa, meritano rispetto, non sono riconducibili sempre e comunque a ragionamenti argomentativi. L’adesione ad una fede religiosa è questione che appartiene al foro interno di una persona ed ha sempre una componente che non si può spiegare con la ragione, anche se filosofi illustri, più illustri del Nostro, da più di duemila anni hanno saputo dare dimostrazione dell’esistenza di Dio. A nobilitare ed a dare un senso storico al dibattito per fortuna il Rabbino Capo di Roma, Di Segni, ha affermato che l’ebreo Gesù, proclamatosi Figlio di Dio, si è messo fuori dall’ebraismo. Ed infatti è stato condannato a morte per un “reato” di carattere religioso, Ciò che rivaluta, come ha scritto Piero Pajardi (Il processo di Gesù, Giuffrè, Milano 1994), la figura del funzionario romano Ponzio Pilato, il quale ha fatto di tutto per salvare Cristo dalla morte, ratificando la condanna del Tribunale Ecclesiastico, il Sinedrio, solo costretto da motivi di ordine pubblico che non avrebbe potuto diversamente affrontare. Caro Lerner, scherzi coi fanti e lasci stare i santi. Io non lo farei con nessuna espressione religiosa. Per educazione e cultura, da cattolico rispetto tutte le fedi. E sono entrato col massimo ossequio in chiese non cattoliche, in sinagoghe, in moschee. Ovunque non mi sognerei mai di non tenere un atteggiamento meno che rispettoso, come se fossi in San Pietro. Ugualmente non mi permetterei mai di scherzare su Allah o su Maometto o Buddha, ai quali porto lo stesso rispetto che pretendo i fedeli di quelle religioni portino a Gesù o alla Madonna. E’ una questione di cultura e di civiltà. Vittorio Emanuele III, proprietario della Sacra Sindone, a chi gli chiedeva di sottoporre a verifiche scientifiche quel miracoloso lenzuolo opponeva sempre un cortese rifiuto, sottolineando che la circostanza che avesse ricoperto il corpo di Gesù è comunque una questione di fede. Poi è stato sottoposto agli esami scientifici più sofisticati. Qualcuno ne aveva dedotto fosse un falso, poi ha dovuto chiedere scusa.
23 marzo 2008
Se il Tesoro non arriva a fine mese
di Salvatore Sfrecola
Non è la prima volta che il Tesoro è a corto di liquidità. E’ accaduto più volte che a via XX Settembre siano stati adottati provvedimenti per tagliare le spese, ora limitando gli impegni, ora i pagamenti. In un caso e nell’altro si tratta di interventi sulla spesa che denotano una crisi profonda dei conti pubblici, che i governi adottano solo quando sono con l’acqua alla gola. Rallentare la spesa, infatti, significa spesso per le amministrazioni privarsi di beni o servizi, spesso con gravi danni per la funzionalità dell’apparato, o limitare le erogazioni di servizi agli utenti, con effetti sociali negativi. Quando, poi, si agisce sui pagamenti per mancanza di disponibilità di cassa vuol dire che lo Stato non è in condizione di far fronte agli impegni assunti in relazione all’ammontare delle entrate previste, derivanti dal gettito fiscale e dall’indebitamento autorizzato dalla legge finanziaria per coprire il deficit dell’esercizio. In sostanza queste situazioni, soprattutto se ripetute nel tempo, come nel nostro caso, denotano una grave crisi strutturale della spesa pubblica alla quale si aggiunge una crisi di fiducia, se la sottoscrizione dei BOT nell’ultima asta, per la prima volta dal 1999, non ha coperto l’offerta. Una crisi di fiducia che è anche una crisi d’immagine dello Stato, destinata ad aggravarsi se la decisione sarà, come sembra, quella di rinviare i pagamenti, secondo quanto scrive Panorama in edicola, che dà notizia di un appunto del Ragioniere Generale dello Stato, Mario Canzio, al Ministro dell’economia, Padoa Schioppa. Il rinvio dei pagamenti, inoltre, è destinato a trasferire sugli enti pubblici e sui privati destinatari degli stessi la crisi del Tesoro, mettendo in difficoltà gli uni e gli altri nei confronti degli utenti dei servizi e dei fornitori. Si pensi, tanto per fare un esempio, alla sanità, settore delicatissimo e sensibile nel quale la possibile riduzione dei servizi limita l’accesso alla fruizione del diritto alla salute, ed alle difficoltà nelle quali si verranno a trovare le imprese fornitrici di materiali medicali e farmaceutici per il ritardo nei pagamenti, che già avviene in molte realtà, nelle quali i pagamenti avvengono in tempi superiori a quelli previsti dalla legge. Tutto questo ha un costo, sociale e finanziario. In quanto i ritardi determinano disservizi anche gravi per gli utenti ed aggravi per gli enti a causa degli interessi che essi saranno chiamati a sostenere nei confronti delle imprese. Siamo di fronte, dunque, ad una difficoltà strutturale dei conti dello Stato che si trascina da tempo e trasferisce da un governo all’altro oneri che impediscono di governare con prospettive di sviluppo adeguate alle esigenze del Paese. Una situazione strutturale che esige un patto di legislatura tra le maggiori forze politiche presenti in Parlamento per una ricognizione impietosa dello stato della finanza pubblica, con una revisione totale degli oneri che su di essa gravano, eliminando tutto ciò che non è necessario per il buon funzionamento dell’apparato e lo sviluppo economico e sociale. Non è facile, ma neppure impossibile. Occorre che un certo numero di persone di buona volontà, con adeguata conoscenza dell’Amministrazione e delle regole della finanza, ripercorrano il complesso reticolo delle attribuzioni e delle norme che ne disciplinano l’esercizio, per individuare dove si allocano gli sprechi, con facoltà di proporre tagli e modifiche al modo di agire delle strutture pubbliche perché la spesa nel suo complesso ne risulti riqualificata e, quindi, efficiente, cioè produttiva di effetti positivi per lo Stato e gli enti e, in fin dei conti, per la società, cioè per le famiglie e per le imprese, le quali si devono giovare dell’efficienza dei servizi. Così si riqualifica la spesa. E certamente si riduce in termini destinati ad avere effetti positivi nel tempo. E’ un impegno che Governo e Parlamento dovranno affrontare in via prioritaria dal giorno del loro insediamento. Altrimenti andremo avanti stentatamente tra accuse di sforamento dei conti e tesoretti fantasma, che alimenteranno la polemica politica riempiendo le pagine dei giornali, e quindi contribuendo ancora a quella perdita di fiducia nelle istituzioni che è un serio pericolo per la democrazia.
22 marzo 2008
Dove il federalismo ha fallito
Lo Stato si riappropria del paesaggio
di Salvatore Sfrecola
Due giorni fa il Consiglio dei Ministri ha approvato la riforma del Codice dei beni culturali e del paesaggio che innova in materia di nozione di paesaggio, pianificazione paesistica, regime delle autorizzazioni paesaggistiche e restituisce al Soprintendente il parere vincolante in caso di interventi in zone protette. Viene così sottratta alla debole gestione locale un settore di grande interesse pubblico che in un’ottica federalista avrebbe dovuto tutelare quello che è un interesse primario delle popolazioni locali, la bellezza della natura, che è un bene, anzi un complesso di beni, che riguardano interessi locali e nazionali, come, tra l’altro, nella vocazione turistica del nostro Paese. Accadeva, invece, come accade ovunque gli interessi economici sono forti, che le pressioni dei potentati economici non fossero indifferenti alla politica locale. Torna, dunque, l’interesse nazionale, che in ogni realtà federale prevale sugli interessi locali e di bottega. Ovunque, tranne da noi, che abbiamo spesso interpretato il federalismo come una gestione del potere separato dal contesto nazionale e senza tener conto degli interessi più autentici e preziosi della comunità, come, appunto, il paesaggio, con la sua valenza ambientale ed il suo valore turistico. D’altra parte è noto a tutti coloro che si occupano di malamministrazione che in sede locale si è rivelato il più delle volte difficile resistere alle pressioni delle lobby. Quando l’autorità non se ne è fatta strumento. Rilevante la nuova definizione di bellezza naturale che ingloba anche gli alberi monumentali. E, ancora, l’iniziativa di dar vita ad una struttura che presso il Ministero per i beni culturali dovrà occuparsi dell’abbattimento degli ecomostri o comunque di far sparire dal paesaggio le tracce della deturpazione.
21 marzo 2008
Secondo la Santanché i parlamentari guadagnano come i magistrati di Cassazione. Ma non è vero. E vi spieghiamo perché
di Gianni Torre
Il costo della Casta, o della politica, è all’ordine del giorno del dibattito politico da mesi, da quando Salvi e Villone ne hanno denunciato i privilegi (“Il costo della democrazia”, Mondadori,2005). È un tema che trattano tutti in questi giorni. Lo ha fatto ieri sera su La 7 Daniela Garnero Santanché, di seguito Santanché, una parlamentare che vivacizza l’attività della Camera ed, in campagna elettorale, il confronto tra i partiti. Laureata in Scienze Politiche, imprenditrice, la Santanché rivendica a stessa ed a La Destra una posizione politica rigorosa in tema di privilegi dei parlamentari, che propone di ridurre. Comincia, dunque, con la richiesta di una revisione dell’indennità spettante ai membri del Parlamento a norma dell’art. 69 della Costituzione “per garantire il libero svolgimento del mandato”, come si esprime la legge 31 ottobre 1965, n. 1261, che reca “Determinazione dell’indennità spettante ai membri del Parlamento”. Ebbene, la Santanché, nel denunciare l’importo eccessivamente elevato dell’indennità ha precisato che la stessa è determinata sulla base del trattamento economico dei magistrati di Cassazione. I quali, ovviamente, si sono risentiti di questa pubblicità gratuita ed inesatta. Infatti, l’affermazione della parlamentare va ridimensionata. I magistrati di Cassazione sarebbero lieti di portare a casa, a fine mese, quanto percepiscono i parlamentari. Ma le cose stanno diversamente. L’indennità dei parlamentari, come si esprime la legge, “è costituita da quote mensili comprensive anche del rimborso di spese di segreteria e di rappresentanza”. Ed aggiunge: “Gli Uffici di Presidenza delle due Camere determinano l’ammontare di dette quote in misura tale che non superino il dodicesimo del trattamento complessivo massimo annuo lordo dei magistrati con funzioni di presidente di Sezione della Corte di cassazione ed equiparate”. L’art. 1, comma 52, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006) ha previsto che l’ammontare di detta indennità sia diminuito del 10 per cento. Fin qui la tesi della Santanchè è corretta, ma il riferimento è parziale. Infatti, non è solo l’indennità ciò che entra in tasca ai parlamentari, che, invece, è tutto quel che entra in tasca ai magistrati di Cassazione. “Ai membri del Parlamento è corrisposta inoltre – si legge nell’art. 2 – una diaria a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma. Gli Uffici di Presidenza delle due Camere ne determinano l’ammontare sulla base di 15 giorni di presenza per ogni mese ed in misura non superiore all’indennità di missione giornaliera prevista per i magistrati con funzioni di presidente di Sezione della Corte di cassazione ed equiparate; possono altresì stabilire le modalità per le ritenute da effettuarsi per ogni assenza dalle sedute dell’Assemblea e delle Commissioni”. Ancora, l’art. 5 precisa che “L’indennità mensile prevista dall’art. 1 della presente legge, limitatamente ai quattro decimi del suo ammontare e detratti i contributi per la Cassa di previdenza dei parlamentari della Repubblica, è soggetta ad una imposta unica, sostitutiva di quelle di ricchezza mobile, complementare e relative addizionali, con aliquota globale pari al 16 per cento alla cui riscossione si provvede mediante ritenuta diretta”. ” L’indennità mensile è altresì assoggettata, nei limiti e con le detrazioni di cui al comma precedente, ad una imposta sostitutiva dell’imposta di famiglia per la quota di reddito imponibile corrispondente al suo ammontare netto, alla cui riscossione si provvede mediante ritenuta diretta, con aliquota forfettaria pari all’8 per cento; l’importo corrispondente è devoluto ai Comuni presso i quali ciascun membro del Parlamento ha la residenza”. “L’indennità mensile e la diaria per il rimborso delle spese di soggiorno prevista dall’art. 2 sono esenti da ogni tributo e non possono comunque essere computate agli effetti dell’accertamento del reddito imponibile e della determinazione dell’aliquota per qualsiasi imposta o tributo dovuti sia allo Stato che ad altri Enti, o a qualsiasi altro effetto”. L’art. 6 spiega che “il trattamento tributario previsto dall’art. 5 della presente legge si applica, per quanto compatibile, alle indennità ed agli assegni spettanti ai consiglieri delle Regioni a statuto speciale”. Passando alle cifre, il Sito del Senato della Repubblica precisa che: – l’importo mensile dell’indennità spettante nel 2007 è pari a 5.613,59 euro al netto della ritenuta fiscale (€ 4.015,18), nonché delle quote contributive per l’assegno vitalizio, per l’assegno di solidarietà e per l’assistenza sanitaria. Nel caso in cui il Senatore versi anche la quota aggiuntiva per la reversibilità dell’assegno vitalizio, l’importo netto dell’indennità scende a 5.355,46 euro. – la diaria viene riconosciuta, a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma. Essa ammonta a 4.003,11 euro mensili. Tale somma viene ridotta di 258,23 euro per ogni giorno in cui si svolga almeno una seduta dell’Assemblea con votazioni qualificate e verifiche del numero legale, se il Senatore non partecipa almeno al 30 per cento delle votazioni effettuate nell’arco della giornata. – a titolo di rimborso forfettario per le spese sostenute per le attività e i compiti connessi con lo svolgimento del mandato parlamentare, è previsto un contributo mensile di 4.678,36 euro, in parte (35% pari a 1.637,43 euro) erogato direttamente al Senatore ed in parte (65% pari a 3.040,93 euro) erogato al Gruppo parlamentare di appartenenza.
Infine, i Senatori usufruiscono di tessere per la libera circolazione autostradale, ferroviaria, marittima ed aerea per i trasferimenti sul territorio nazionale. Per i trasferimenti dal luogo di residenza a Roma, è previsto un rimborso spese forfettario, il cui ammontare annuo è pari a 15.379,37 euro, per il Senatore che deve percorrere fino a 100 km per raggiungere l’aeroporto o la stazione ferroviaria più vicina al luogo di residenza, ed a 18.486,31 euro se la distanza da percorrere è superiore a 100 km. Per i Senatori residenti a Roma ed eletti in collegi del Lazio, il rimborso è corrisposto nella misura di 7.689,68 euro.i Senatori dispongono di una somma annua di 4.150 euro per le spese telefoniche, inclusi i servizi di connettività.
è previsto il rimborso delle spese sanitarie ai Senatori (anche cessati dal mandato ovvero ai titolari di trattamento di reversibilità, nonché ai rispettivi familiari) iscritti al servizio di Assistenza Sanitaria Integrativa, nei limiti fissati dal Regolamento e dal Tariffario che disciplinano tale Assistenza. Gli iscritti versano un contributo commisurato alle competenze mensili lorde (i Senatori in carica il 4,5% pari a euro 540,27; i titolari di assegni vitalizi il 4,7% dell’importo lordo) e quote aggiuntive per i familiari.
Il Senatore versa mensilmente al Fondo di solidarietà il 6,7 per cento della propria indennità lorda, pari ora a 804,40 euro. Al termine del mandato parlamentare, il Senatore riceve l’assegno di solidarietà (anche denominato “di fine mandato”), che è pari all’80 per cento dell’importo mensile lordo dell’indennità, moltiplicato per il numero degli anni di mandato effettivo (o frazione non inferiore ai sei mesi).
Per l’assegno vitalizio il Senatore versa mensilmente una quota – l’8,6 per cento, pari ora a 1.032,51 euro, piu il 2,15 per cento, come quota aggiuntiva per la reversibilità, pari a 258,13 euro – della propria indennità lorda, che viene accantonata per il pagamento degli assegni vitalizi, come previsto da un apposito Regolamento approvato dal Consiglio di Presidenza.
In base alle norme contenute in tale Regolamento, recentemente modificato, il Senatore cessato dal mandato riceve il vitalizio a partire dal 65° anno di età, purché abbia svolto il mandato parlamentare per almeno 5 anni. Il limite di età è ridotto di 1 anno per ogni anno di mandato oltre il quinto, fino al limite inderogabile di 60 anni.
E’ stata altresì approvata una nuova disposizione sulla misura degli assegni vitalizi, che si applicherà ai Senatori eletti per la prima volta a partire dalla prossima legislatura. Per effetto di tale disposizione regolamentare, l’importo dell’assegno vitalizio varia da un minimo del 20 per cento a un massimo del 60 per cento dell’indennità parlamentare, a seconda degli anni di mandato parlamentare.
E’ evidente l’ipocrisia. Si prende a riferimento il trattamento economico dei magistrati di Cassazione, che non percepiscono altri, e si si lancia, poi, in un vortice di diarie e benefici vari che moltiplicano lo stipendio dei medesimi magistrati.
Sono fatti che si commentano da soli.
20 marzo 2008
Il titolo perde quota e l’Italia la faccia
Alitalia in picchiata. Italia in panne
di Salvatore Sfrecola
Meno 29 per cento! Il titolo Alitalia con la sua quotazione dà esatta l’idea della situazione della compagnia “di bandiera”, giunta alla trattativa con Air France in condizioni drammatiche, finanziarie e di immagine. Praticamente priva di liquidità, con una paurosa crisi finanziaria la nostra compagnia nazionale ha nel tempo abbandonato molte rotte riducendo la presenza italiana, quindi l’immagine del Paese che trascina turismo, economia commerciale, ecc., verso il basso. In un Paese serio Alitalia sarebbe stata fatta fallire da anni, almeno dai primi anni ’90, quando fu evidente in tutta la sua drammaticità la crisi che attraversava. Il fallimento, un’operazione giudiziaria che avviene tutti i giorni a certificare l’impossibilità dell’impresa di proseguire nella sua attività, avrebbe consentito di azzerare situazioni insostenibili, gli alti costi di gestione per inefficienza del management e per la pessima conduzione delle politiche del personale. Avrebbe ricondotto i sindacati, che in parte sono responsabili dello sfascio, nel loro ruolo, di difesa delle giuste rivendicazioni del personale, che spesso poco o niente hanno a che fare con la conduzione di un’impresa che deve battere i mercati e far quadrare i conti. In queste condizioni è evidente la difficoltà di trovare un compratore. Air France ci ha provato, con le cautele di un colosso che sa fare i conti e che oggi frena, cerca ogni possibile garanzia, giustamente, e forse una scusa per ritirarsi dalla corsa. La telenovela non sarebbe comunque finita. Anche un compratore italiano avrebbe gli stessi problemi. Chiudere con il passato che pesa sui conti e sul futuro e non fa intravedere niente di buono, con un governo che non avendo il coraggio di affrontare la situazione nella sua realtà si assume una grossa responsabilità. Far degradare ulteriormente la Compagni ed i suoi conti, che graveranno sul contribuente. Ci auguriamo che Alitalia resti italiana. Sarebbe un grosso smacco per il Paese, se passasse in mani straniere, non per nazionalismo, ma per la dignità che una grande Nazione deve sempre saper mantenere. Ma occorre fare chiarezza. E allora, se è necessario, che Alitalia fallisca, ripartirà da basi nuove senza il peso di un passato che poco dignitosamente l’azienda si porta dietro.
19 marzo 2008
Lettera a Papa Benedetto XVI: Riflessioni minime di un credente
Se le chiese, a volte, sono piene
Beatissimo Padre,
con la devozione di un figlio e l’umiltà dovuta quando un laico, sia pure credente, parla di cose della Chiesa, mi permetto di sottoporre all’attenzione di Vostra Santità, nella speranza che abbia il tempo e la voglia di leggerle, alcune considerazioni che nascono dall’esperienza. Oggi, Domenica delle Palme la chiesa, nella quale ho partecipato al rito della Messa, era piena, come non lo è mai allo stesso orario e neppure negli altri. Tanta gente, di tutte le età, molte giovani mamme con i loro bambini, tutti devotamente attenti. Molti hanno fatto la Comunione, tanti si sono avvicinati alla confessione. Ho visto un distinto signore asciugarsi le lacrime dopo aver lasciato il confessionale, segno di forte partecipazione al Sacramento. Un clima di grande fervore religioso, dunque, che consola quanti credono, perché prova che la gente è migliore di quanto, spesso, riteniamo. Le chiese piene nella Domenica delle Palme e, certamente, nel giorno di Pasqua, dicono alcune cose. Innanzitutto che c’è in Italia una religiosità, pur non sempre accompagnata da coerenti comportamenti nella vita sociale e familiare, che dimostra che le “radici cristiane”, come la testata della bella rivista mensile di Roberto de Mattei, sono più profonde di quanto si creda e di quanto mostrano di ritenere i nostri politici che spesso fanno strame di principi e di valori cari alla fede cristiana ed alla tradizione culturale del nostro Paese. La nostra classe politica ne deve tener conto, anche lontano dalle elezioni, quando un po’ tutti riscoprono ideali e valori. E, senza in nessun modo negare la laicità dello Stato, che è la Patria di tutti, anche dei non credenti o dei credenti di altre religioni, deve comunque rispettare quel che di cristiano è presente nella nostra storia e nella nostra cultura che ovunque, nel territorio ricco di campanili e cupole, nella sagoma dei palazzi che raccontano la storia della Chiesa e nei musei che raccolgono opere d’arte mirabili d’ispirazione religiosa, dice di due millenni di fede. Torniamo alle chiese oggi piene e spesso semivuote. Come mai lo stesso popolo che oggi le ha riempite con devozione spesso le diserta o partecipa distrattamente ai riti? Non è certo un problema di orari delle Messe e di “comodità” in un giorno dedicato anche allo svago ed al riposo. Ci sono chiese ovunque, anche nei luoghi di vacanza e gli orari sono tali da venire incontro a tutte le esigenze, a partire dalla Messa prefestiva del sabato sera. C’è, allora, dell’altro, che voglio timidamente sottoporre all’attenzione di Vostra Santità, che percepisco personalmente e sento nei commenti della gente. A volte la conduzione della Messa dà l’impressione di un rito stereotipato nel quale la partecipazione dei fedeli non è sollecitata da una forte presenza del divino nelle parole del sacerdote che nell’omelia dovrebbe attualizzare il messaggio che si ricava dal Vangelo e dalle Scritture. Mi permetto queste osservazioni indotto dalla parola di Vostra Santità che nelle occasioni più diverse, nelle omelie come nelle brevi allocuzioni nell’Angelus domenicale, riesce a tenere salda l’attenzione dei fedeli ed a penetrare nelle loro anime con la profondità di un discorso eterno eppure rivissuto nella realtà del mondo di oggi. Vostra Santità ed i Suoi Augusti Predecessori hanno sempre saputo trasmettere ed entusiasmare. Come tanti sacerdoti, ai quali la cultura non fa da velo ad un linguaggio capace di parlare ai cuori ed alle menti del variegato popolo dei credenti presente in chiesa. Non è dubbio, infatti, che la semplicità del linguaggio, a tutti accessibile, possa accompagnarsi ad una profondità di pensiero. E’ l’insegnamento che traggo da Padre Mariano, del quale Vostra Santità ha di recente riconosciuto le virtù eroiche, che teneva incollata al televisore l’Italia intera, per pochi minuti, ma intensissimi e produttivi di effetti duraturi. Spesso, invece, le omelie sono ripetizioni, con altre parole, del testo delle Scritture, con un effetto soporifero, quando non fastidioso, che ignora le regole della comunicazione che individuano modalità e tempi di una allocuzione, qualunque ne sia il contenuto. Credo, dunque che la Chiesa si debba dare carico di una comunicazione moderna, capace di dare il senso dell’attualità del messaggio eterno di Dio. E penso che, come ogni organizzazione, debba preparare i suoi sacerdoti a questo ruolo essenziale nel rapporto con i fedeli, fornendo loro gli strumenti idonei a penetrare i cuori e le menti, con le argomentazioni giuste, da presentare in forma adeguata, anche dal punto di vista dell’esposizione, ivi compreso il tono di voce, che non può essere una sorta di lamentazione che, alla percezione, contraddice la grandiosità e la solennità del messaggio evangelico, di speranza, di fiducia, di amore. Credo, in sostanza, che la Chiesa debba preoccuparsi di “come” trasmette la Parola di Dio, perché i fedeli la percepiscano e ne risultino rafforzati nella fede e pronti a farsene testimoni nella vita di tutti i giorni, in famiglia e nei posti di lavoro e di svago. Ciò sarà possibile solo se saranno “motivati” dai loro pastori, se comprenderanno che l’impegno religioso non si esaurisce nelle preghiere nell’intimo della coscienza e in una sporadica e formale presenza in Chiesa, ma nell’impegno quotidiano accanto agli altri uomini e donne che la vita ci fa conoscere sperimentando nei loro confronti quella carità che è il segno distintivo del Cristianesimo. Suo devotissimo
Salvatore Sfrecola
Dopo il 14 aprile
Meno burocrazia, più sviluppo
di Salvatore Sfrecola
Chiunque vincerà le elezioni, è ormai chiaro dai programmi dei partiti e dalle dichiarazioni dei leader, dovrà affrontare la difficile crisi economica, dovuta a fattori interni ed internazionali, con misure drastiche. Dovrà essere individuata la strada di una ripresa, che restituisca incentivi alle imprese e disponibilità alle famiglie. Sono problemi, come ho sottolineato più volte, tra loro collegati. Le imprese possono produrre di più se hanno possibilità di vendere sul mercato interno ed internazionale. E per quello interno non c’è dubbio che sarà possibile una ripresa dei consumi solo se le famiglie avranno quelle disponibilità che oggi le hanno tenute lontano a causa dell’aumento dei prezzi che hanno eroso le già scarse disponibilità. Si dovrà operare subito sui prezzi e sui salari. Le misure da adottare non sono semplici, si condizionano a vicenda, esigono tempi, quanto meno, medi per cui si tratta di capire da dove partire. Sembra chiaro, anche nei programmi dei partiti, che debba essere il fisco la prima area da interessare, con interventi decisi e di immediato effetto, anche psicologico. In primo luogo misure per le famiglie, quelle delineate da tempo e mai concretamente attivate, neppure in avviate, come si richiede dalle associazioni familiari e da tutti gli osservatori. Contemporaneamente le imprese dovranno percepire un cambio di passo del fisco, ad esempio con la misura sui tempi della liquidazione dell’IVA, come annunciato, ed un alleggerimento della burocrazia. Sì, perché il “taglio” della burocrazia deve caratterizzare la nuova legislatura, se si vuole veramente restituire tono alle attività produttive. Tagliare quel complesso di adempimenti inutili, non necessari, che duplicano attestazioni già comprese in altre, dal punto di vista dell’agibilità dei locali, della loro sicurezza, delle esigenze sanitarie. Adempimenti che duplicano documentazione della quale l’amministrazione è già in possesso. Un peso per gli imprenditori che non di eguali nei paesi a più ampio sviluppo, dove spesso esistono sportelli, variamente denominati, ai quali gli operatori economici si rivolgono per essere assistiti negli adempimenti, che in tal modo vengono semplificati. Si ha, invece, la sensazione che in molti casi i procedimenti, soprattutto a livello di enti locali, siano appesantiti da un’interpretazione formalistica delle leggi e dei regolamenti, con effetti di appesantire l’iter di ogni pratica, un vero e proprio taglieggiamento dell’imprenditore, magari solo per scrupolo o impreparazione del funzionario, con effetto di rallentare l’inizio dell’impresa o addirittura di scoraggiare una nuova iniziativa. Queste sono le prime riforme da fare, con decisione, immediatamente.
Le amministrazioni, ovviamente, non devono recedere dalla loro funzione di regolazione e garanzia dell’esatto adempimento della legge, ma devono spostare molti controlli dal prima al dopo, attraverso verifiche severe con adeguate sanzioni perché non si giustifichi lo stato di fatto, se in contrasto con le regole. E’ la severità che restituisce all’Amministrazione autorevolezza, quella che dissuade dall’illecito e dalle furbizie e che la fa apparire, come dovrebbe essere, una risorsa di una società che persegue concretamente obiettivi di sviluppo.
16 marzo 2008
Italia: per uscire dalla crisi ripensare il modello di sviluppo
di Salvatore Sfrecola
A consuntivo, l’ultima asta dei BOT ha rivelato che sono stati sottoscritti titoli in misura inferiore a quella offerta. Non accadeva dal 1999. Per il Presidente emerito della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, già Ministro del tesoro e Governatore della Banca d’Italia, è un indizio di incertezza, un campanello d’allarme, la prova di un malessere dell’economia italiana che coinvolge le famiglie e le imprese, le prime vittime dell’aumento del costo della vita, certificato dall’ISTAT, le seconde preoccupate del forte rallentamento che si registra nelle vendite. Si tratta di una situazione alle viste da tempo, emersa nel corso del Governo Berlusconi a causa del generale rallentamento dell’economia internazionale e proseguita anche con la successiva “ripresina”, soprattutto per l’aumento dei prezzi e della pressione fiscale che hanno impoverito le famiglie, una realtà della quale la classe politica tutta stenta a percepire l’esatta importanza. Se le famiglie non hanno liquidità non spendono e non risparmiano. Le famiglie comprano di tutto, dalle matite per i bambini a scuola ai motorini ed alle automobili, passando per il vestiario, gli strumenti tecnologici. Rinnovano il mobilio delle case, che comprano, se hanno possibilità di risparmiare, se i mutui sono adeguati alle disponibilità, quanto al costo delle rate ed alle garanzie che le banche chiedono. Per questo abbiamo sollecitato una politica di garanzie pubbliche per le giovani coppie, quelle che con contratti di lavoro a termine non offrono garanzie sufficienti per le banche. Lavorano con continuità, ma la natura dei contratti non soddisfa gli istituti finanziari. La ricetta è semplice: occorre restituire potere d’acquisto alle famiglie mediante posti di lavoro e migliore remunerazione. Sembra la quadratura del cerchio, difficile da realizzare. Ma occorre iniziare. Innanzitutto dal fisco, da alleggerire. I fatti dell’economia hanno una importante componente psicologica. Se le imposte diminuiscono con una logica che fa intravedere una inversione di tendenza è possibile che le famiglie tornino a spendere ed a risparmiare. Le imprese vendono e assumono. Quel che il fisco “perde” con la riduzione della pressione fiscale recupera sull’aumento della produzione e delle vendite. Il meccanismo ha i suoi tempi, ovviamente. Per cui occorre partire subito modificando il modello di sviluppo, che non c’è, o sembra non ci sia, o comunque non è adeguato alle caratteristiche del nostro Paese. Ricordo una lezione di storia, credo alle elementari. I Fenici divennero marinai perché avevano poco terreno da coltivare e molti alberi per costruire barche. Ebbene questo nostro Paese, che evidentemente deve perseguire obiettivi di sviluppo anche con l’industria metalmeccanica ed elettronica, l’artigianato, e la moda, tanto per fare alcuni esempi, è un museo all’aperto, artistico e naturalistico, eppure non ha mai individuato il turismo, nonostante l’importanza dei numeri, come la prima industria, sottostimando l’apporto che possono portare alla nostra economia i milioni di turisti che vengono ogni anno in Italia e gli altri che potrebbero venire, se vi fossero adeguate strutture turistiche, alberghi, porti, aree archeologiche fruibili. Con la possibilità di posti di lavoro non facilmente valutabile ma certamente notevole. Dico spesso, e l’ho scritto in un libro nel quale ho fatto alcune considerazioni su quel che è accaduto nel quinquennio 2001-2006 (Un’occasione mancata, Nuove Idee, Roma), che attendo il momento in cui in Italia il Ministro per i beni culturali sarà considerato alla stregua del Ministro del petrolio nell’Arabia saudita. Con la particolarità che vi è la possibilità di fonti alternative al petrolio, ma non vi sono surrogati alle opere d’arte che milioni di persone vengono ad ammirare da tutto il mondo. Eppure nel modello di sviluppo italiano l’economia turistica non ha un ruolo bene definito ed il Ministero per i beni e le attività culturali è considerato un ministero di serie “B” dai politici “puri”, quella mala genia che alligna nel nostro Paese, che pontifica dei massimi sistemi e non di governo della cosa pubblica. Senza pensare che le nostre opere d’arte non sono solo al chiuso dei musei, ma anche all’aperto in un ambiente naturalistico meraviglioso. Anche la natura e l’industria alimentare sono sottovalutate in Italia. Non comprendo, ad esempio, come mai un amante della marmellata d’arancio, come sono io, la debba comprare di marca inglese, realizzata con arance italiane, quando questo ed altri importanti prodotti potrebbero essere il fiore all’occhiello del nostro paese sui mercati internazionali. Qualche anno fa trovai in un supermercato i peperoncini rossi dell’Illinois e il Prezzemolo del Portogallo! Mi resi subito conto che qualcosa non va nel nostro Paese, il modello di sviluppo, appunto. Che se cambiasse potremmo smettere di preoccuparci della Cina e dell’India.
15 marzo 2008
Politici “puri”? No grazie! Non vi fidate! Sono solo chiacchieroni
di Salvatore Sfrecola
Si sente dire spesso “è un politico puro”. Vorrebbe essere un complimento, ma, a pensarci bene, è quasi un’offesa. L’espressione, infatti, individua essenzialmente quei politici italiani che nella loro vita hanno parlato, parlato, parlato, senza mai dire qualcosa di concreto, senza mai dimostrare capacità di governo, attitudine a realizzare obiettivi di generale interesse, in una parola a perseguire il bene comune. “Politici puri”, sono i leader che si riempiono la bocca e riempiono le orecchie degli ascoltatori con frasi roboanti, affermazioni “di principio” sui massimi sistemi, del diritto e dell’economia, della giustizia, della sicurezza, delle politiche sociali, dell’istruzione e via dicendo. Ma al termine di questi discorsi, se ti chiedono cosa il leader ha detto, hai difficoltà a riassumere il niente. “Politici puri”, ossia tribuni del “niente”. Gli italiani non ne hanno bisogno, non li vogliono sentire più discettare in televisione e nelle piazze. Con le difficoltà che sentono sulla nostra pelle, per l’aumento dei costi, l’inefficienza dei servizi, della scuola, della giustizia, con stipendi e pensioni da fame, vogliono politici che parlino poco e facciano molto, che comprendano i problemi e sappiano risolverli. Con politici di questo genere, concreti e fattivi l’Italia è stata ricostruita dopo una guerra che l’aveva distrutta negli animi e nella realtà del territorio. Senza fare nomi, chi ha appena un po’ di cultura storica li conosce bene. Uomini che, al governo di importanti ministeri, hanno costruito case, riparato strade, aumentato i posti di lavoro. “Politici puri” ? No grazie!
14 marzo 2008
Marcello Veneziani non si candida. E spiega perché. Non vuole confondersi con “famigli, famigliari, massaggiatrici e pedicure dei potenti…”
di Salvatore Sfrecola
Convengo con Marcello Veneziani che su Libero di ieri, in prima pagina, disdegna ogni ipotesi di candidatura: “Vuoi fare l’onorevole? No, grazie, preferisco scrivere”. Non lo attirano né Camera né Senato e spiega che le liste sono “brutte”. Piene di “famigli e famigliari, massaggiatrici e pedicure dei potenti, ausiliari e sciacquini dei medesimi. Quanta gentina scadente tra futuri onorevoli con posto assicurato”. L’elencazione, tuttavia, non è esaustiva. Veneziani dimentica che in posizione “sicura” vi sono anche personaggi dalla fedina penale non certo immacolata ed altri che rischierebbero si sporcasse se fossero portati in giudizio: segretari, portaborse, esattori, corruttori e corrotti, dei quali già le cronache si sono occupate e che “devono” essere messi al riparo, ad evitare che tra un interrogatorio e un confronto qualche schizzo di fango vada ad imbrattare la giubba del leader di riferimento. Che differenza con la Giubba del Re con cui Piercamillo Davigo intitola un suo bel libro di qualche anno fa, nel quale difende il prestigio e la dignità del servizio allo Stato! Così era un tempo. Adesso, per non creare illusioni a nessuno, con la riforma costituzionale del 2001 (art. 114) hanno collocato lo Stato in fondo all’elencazione degli enti dai quali è costituita la Repubblica, dopo i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni! Incredibile, non accade in nessuno Stato federale, neppure negli Stati Uniti d’America. Ovunque lo Stato centrale ha grandi poteri per garantire l’interesse nazionale e l’unità dello Stato. Ovunque, appunto, non in Italia. La riforma l’aveva fatta il Centrosinistra, nella controriforma del Centrodestra, fortunatamente bocciata dal referendum popolare del 2006 quell’orrore giuridico non era stato corretto. “Senso dello Stato zero” assoluto!
11 marzo 2008
Il partito degli statali secondo Il Giornale
di Salvatore Sfrecola
“E il PD resta il partito degli statali”, titola oggi Il Giornale in prima pagina. E nel sommario “il 40,5 per cento dei dipendenti pubblici vota a sinistra. Chi lavora nel privato guarda a destra”. E’ evidente l’assunto del quotidiano milanese, che riprende un sondaggio de Il Sole 24 ore, e vuole far intendere che i “fannulloni”, come titola un libro del Professor Pietro Ichino, edito da Mondadori, stanno a sinistra, e non saranno mai toccati, se Veltroni vincerà, “con buona pace” del professore. Il giornale richiama le proposte di Berlusconi di detassare le componenti dello stipendio legate al merito ed ipotizza che “possano trovare terreno fertile, estendendosi anche a quelle fasce di lavoratori statali che sanno di valere di più e che vorrebbero poterlo provare”. Ci si sarebbe attesa un’analisi critica della situazione. E’ evidente, infatti, che se i dipendenti dello Stato, coloro che secondo la Costituzione (art. 98) sono “al servizio esclusivo della Nazione”, votano per il PD vuole dire che la precedente esperienza governativa li ha delusi, che non ha riconosciuto loro il ruolo che la legge fondamentale e le altre norme organizzative attribuiscono a chi opera nell’ambito delle strutture dell’Amministrazione. Che non ha saputo stimolare l’orgoglio di servire lo Stato, quello che ovunque nel mondo fa la differenza rispetto al lavoro privato. Il fatto è che nei cinque anni del governo di Centrodestra la Pubblica Amministrazione è stata la grande dimenticata, senza considerare, come non mi stancherò mai di ripetere, che l’apparato, con le leggi che ne disciplinano l’attività deve essere la prima cura di un governo, di qualsiasi governo. Ma questo problema, che per la verità sfugge alla classe politica al governo da molti anni, è stato particolarmente trascurato dal Governo Berlusconi che avrebbe avuto il tempo e la forza di riformare la P.A. restituendo efficienza all’apparato e prestigio ai suoi uomini. Non averlo fatto è stata una delle cause della sconfitta del 2006.
10 marzo 2008
Verso le elezioni perché emergano ideali comuni per il benessere dell’Italia
Obbedisco! Sia pure controvoglia
di Senator
Caro Direttore, obbedisco! Garibaldinamente, sia pure controvoglia alla tua richiesta di astenermi, nel periodo della campagna elettorale, dal commentare i fatti della politica su questo giornale che, in poco più di due mesi, si è guadagnata l’attenzione dei colleghi giornalisti e di molti politici. Credo sia piaciuto il taglio, di una politica istituzionale, che privilegia i grandi temi che interessano gli italiani, che abbiamo cercato di approfondire con la passione di chi crede che la politica debba perseguire il bene comune ma con il distacco di chi non è schierato e ritiene di non potersi riconoscere in un determinato partito, ma coglie a Destra e a Sinistra idee buone e buona volontà. Ed anche io che sento forte la passione per il confronto politico, cerco tuttavia di fare un po’ il “padre nobile”, per età, certamente, ma anche per cultura e per abitudine antica, non sempre apprezzata dai vertici politici che, infatti, ho voluto tenere a distanza per un po’. Obbedisco, dunque, e mi astengo dallo scrivere su questo giornale al quale mi lega, pur nella brevità dell’esperienza, l’assoluta libertà che mi lasci nella scelta del tema e nell’esposizione. Una libertà che non è consueta nei giornali, che spesso è sospetta perché l’uomo libero non è condizionabile. Per questo ci siamo subito intesi. Il vecchio parlamentare che della libertà ha fatto una ragione di vita e che ha difeso, nei tribunali di tutta Italia, i diritti dei cittadini, contro le prevaricazioni delle amministrazioni (con la “a” minuscola) e la cultura del sospetto che privilegia l’inversione dell’onere della prova, per cui l’imputato deve dimostrare di essere stato altrove all’ora del delitto, mentre sarebbe onere del Pubblico Ministero dimostrare che era lì con l’arma in pugno. Eppure sono fermamente convinto della necessità che rimanga l’unicità della carriera dei magistrati ad evitare, con la separazione da molti apertamente sollecitata e da altrettanti fortemente auspicata, guai maggiori. Un P.M. superpoliziotto autereferenziale sarebbe una iattura, della quale solo politici dalla vista corta consigliati da modesti avvocaticchi non riescono a percepire il pericolo e la lesione degli interessi della giustizia. Anche su questo ci siamo intesi subito. Siamo stati immediatamente in sintonia, tu che quelle funzioni eserciti con grande senso del ruolo, ed io che con i P.M. mi confronto quotidianamente in assise. Una sintonia che ha riguardato anche altri temi, soprattutto in materia amministrativa e delle funzioni giurisdizionali e di controllo della Corte dei conti, la prima magistratura dell’Italia unita, come ebbe a sottolineare Quintino Sella in quel 1° ottobre 1862, che sembra lontanissimo . Ti sono stato grato per esserti confrontato con me in occasione di alcuni passaggi importanti di riforme riguardanti la Corte, come quando insistetti per l’attribuzione della funzione consultiva “nelle materie di contabilità pubblica”, della cui utilità mi avevi presto convinto quale prospettiva importante per la Corte del Terzo Millennio nell’Italia federale, e sulla disciplina del danno ambientale, riformata in sede di decreti di attuazione della delega ambientale, una soluzione per la quale facemmo pressing tu ed io ottenendo il risultato migliore possibile. D’altra parte quel disegno di legge delega era passato in preconsiglio con il tuo impegno determinante, stante l’opposizione di vari ministeri e le riserve del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi. Hai molto meritato per la tua istituzione, ma siccome nemo propheta in patria sono stati e sono pochi a riconoscertelo, anzi, consentimi la profezia, ci saranno alcuni che cercheranno di farti scontare il gusto di essere un uomo libero e di saper difendere le tue idee con equilibrio, senza mai interferire con le tue funzioni istituzionali. Convinti tu ed io che chi è un delinquente non è di Destra o di Sinistra, è un delinquente e basta! Mi fermo qui, altrimenti sembrerei un vecchio che vive di ricordi. Invece voglio rimboccarmi le maniche e mettermi a correre perché, anche se il posto in lista è assolutamente sicuro, intendo conquistare nuovi consensi. A Palazzo Madama avrai sempre un amico perché, come cita Ammonio nella vita di Aristotile, amicus Plato, sed magis amica veritas! Nel nostro caso l’amicizia e la verità coincidono! Buon lavoro e in alto la bandiera della libertà, di pensiero!
10 marzo 2008
Verso le elezioni, per ideali comuni agli italiani di buona volontà
di Salvatore Sfrecola
Quando, il 4 dicembre, “Un sogno italiano” ha iniziato a pubblicare riflessioni e commenti feci subito presente che avremmo cercato di interpretare le aspettative degli italiani nell’attuale momento politico. E lo avremmo fatto senza fare da sponda a nessuna forza politica, nella convinzione che i problemi del Paese siano strutturali e richiedano, pertanto, il concorso, in Parlamento, di una maggioranza significativa, certamente più ampia di quella che regge il governo, qualunque sia. La maggioranza è la regola della democrazia. Si governa anche con un voto di maggioranza, ma non c’è dubbio che alcune riforme, quelle relative alla Pubblica amministrazione, alla giustizia, all’istruzione, al fisco, non possano essere fatte a colpi di maggioranza. E’ un errore, è stato un errore del Centrodestra, come era stato un errore del Centrosinistra la riforma costituzionale del 2001 che ha squilibrato il rapporto tra gli enti che costituiscono la Repubblica, relegando in un angoletto lo Stato che in ogni ordinamento federale ha un ruolo fondamentale a garanzia della tutela dell’interesse nazionale. E’ una considerazione che dopo hanno fatto anche quanti avevano patrocinato quella riforma. Sulla base di queste considerazioni, forti del fatto che siamo prima di tutto uomini delle istituzioni che non sono di Destra o di Sinistra ma espressione della sovranità dello Stato, abbiamo svolto osservazioni in punta di penna (si può continuare a dire ora che si scrive solo sulla tastiera?) sui grandi diritti, da quelli individuali a quelli sociali, con particolare attenzione ai valori della nostra tradizione religiosa e della nostra cultura giuridica. Ne sono derivate osservazioni critiche su comportamenti e programmi, di Destra e di Sinistra, senza fare sconti a nessuno. Questa conduzione del giornale, con il concorso di amici di antica esperienza e di sicura saggezza, deve oggi fare i conti con l’inizio della campagna elettorale che da domani entra nel vivo con la presentazione delle candidature nelle liste elettorali. E questo c’impone di definire il nostro impegno di libertà in termini di rigorosa equidistanza rispetto alle parti in campo alle quali vorremmo soprattutto suggerire, nella prospettiva delle grandi riforme delle quali il Paese ha bisogno, qualche elemento di riflessione a quanti si confrontano nell’agone politico. Non sarebbe facile per dei commentatori politici. Lo è per noi che non abbiamo mai preso parte per un partito o per una coalizione, come dimostrano le pagine fin qui scritte, che hanno pungolato indistintamente tutti gli schieramenti. Non pretendiamo di essere capiti in ogni caso. Sappiamo che i fan di Destra e di Sinistra tendono ad essere fideisticamente allineati sulle posizioni dei rispettivi leader, restii ad atteggiamenti di indipendenza critica. Proveremo ancora ad esprimere le nostre idee in assoluta libertà, distinte e spesso distanti da quelle dei partiti, convinti che vi sia uno spazio comune che, indipendentemente dalle ideologie, veda gli italiani concordi nell’avvio di alcune riforme. Pensiamo alla giustizia, che deve funzionare in condizioni d’indipendenza, l’istruzione, perché tutti desiderano che i propri figli ricevano la preparazione culturale e professionale che consenta loro di entrare nel mondo del lavoro con buone possibilità di riuscita, e il fisco, essendo inammissibile l’elevata evasione che viene da ogni parte denunciata. Ma siccome dobbiamo oltre che essere anche apparire assolutamente indipendenti devo chiedere all’amico Senator, anche se nessuno è riuscito ad avere certezze sullo schieramento politico nel quale ha militato ed in atto milita, di astenersi dal continuare a commentare, fino a campagna elettorale conclusa, fatti della politica. Sarà una grande mancanza per questo giornale, nel quale Senator ha firmato pagine di simpatica e ironica critica politica. Intanto al caro vecchio amico che torna a candidarsi, dopo il biennio sabbatico dedicato agli studi di diritto e di economia, facciamo tutti gli auguri più affettuosi perché torni a Palazzo Madama a far sentire la sua voce di uomo libero e saggio.
9 marzo 2008
Non lo sappiamo, eppure tutti vorrebbero ridurli
I dipendenti pubblici sono pochi o troppi?
di Salvatore Sfrecola
Lo ha detto ieri il Cavaliere a Porta a Porta, lo ha ribadito oggi su Libero Lamberto Dini, i dipendenti pubblici sono troppi e andrebbero ridotti in via permanente. Ma troppi rispetto a quale numero? Sembra di sentire la pubblicità che assicura effetti miracolistici, superiori del tot per cento. Ma nessuno spiega rispetto a cosa viene considerato quell’effetto. L’indicazione è perentoria e nessuno si chiede come l’effetto sia misurato. Ugualmente del pubblico impiego si sente dire ripetutamente che i dipendenti sono troppi. Può darsi, ma anche in questo caso non si spiega se il denunciato eccesso sia riferito al territorio, alla funzione, alla qualifica professionale e via dicendo, con riferimento alle variabili che naturalmente attengono alla diversità delle attività poste in essere dalle amministrazioni. Sappiamo, ad esempio, che mancano infermieri, che sono dipendenti pubblici se operano nelle ASL, che mancano agenti di custodia, tanto per fare i primi esempi che mi sono venuti in mente. E sappiamo che in settori delicati dell’amministrazione statale per effetto del mancato turn over il personale invecchia, con effetti negativi sulla resa dei servizi. Così nel settore dei beni culturali, che sono la ricchezza, anche in termini economici, del Paese, l’età media degli storici dell’arte è cinquant’anni. Come i funzionari del Dipartimento del tesoro del Ministero dell’economia. E poiché i dipendenti pubblici si formano all’interno dell’amministrazione è evidente che l’invecchiamento delle risorse umane, come oggi si dice, ha effetti negativi di lunga durata. Berlusconi è un imprenditore e questi problemi dovrebbe percepirli facilmente. Prima di dire se i dipendenti pubblici sono troppi occorre fare una ricognizione dei servizi per avere conferma di questa che può anche essere una intuizione esatta. Ma occorre capire se i dipendenti sono troppi ovunque sul territorio e in rapporto ai vari profili professionali ed alle amministrazioni. Potremmo avere delle sorprese. Forse qualche amministrazione ha bisogno di personale ed una operazione di mobilità potrebbe risolvere il problema, alleggerendo un settore a vantaggio di un altro. Il problema è serio, come sono serie tutte le questioni che attengono alla funzionalità delle istituzioni pubbliche le quali sono ordinate per gestire servizi nei quali si realizza l’indirizzo politico amministrativo che l’autorità politica, ai vari livelli di governo, ha indicato al corpo elettorale. Un consiglio vorrei dare a Berlusconi e Dini, ai quali forse un eccesso di mentalità privatistica potrebbe fare qualche brutto scherzo quando parlano di Amministrazione pubblica. Devono rendersi conto che gli strumenti del potere politico sono costituiti dall’Amministrazione, dalle norme che ne disciplinano l’attività e dagli uomini che le applicano. Qualunque sia l’attività di gestione delle funzioni pubbliche. Servono diplomatici, magistrati, agenti delle Forze dell’ordine, funzionari ed operatori che rendono i servizi alle imprese e alle persone. Non mi stancherò mai di dirlo. Per un governo, la prima cosa è la funzionalità dell’apparato. Così più volte ho fatto l’esempio del generale che vuol vincere la battaglia. Sarebbe assurdo che non si preoccupasse dei suoi soldati e ne trascurasse l’armamento, il vettovagliamento, il morale. E, quanto al numero, non tenesse conto di quanti effettivamente sono necessari per esprimere al massimo la potenzialità dell’esercito. Vorrei che il tema dell’apparato e della sua funzionalità fosse in cima ai pensieri di tutti i candidati Presidenti del Consiglio, altrimenti dovrò dubitare che le cose che dicono intendono effettivamente realizzarle.
6 marzo 2008
Un appello dell’U.N.A.M.S.
Arte e artisti irrompono nella campagna elettorale
di Salvatore Sfrecola
Berlusconi, Bertinotti, Boselli, Casini e Veltroni, sono stati destinatari di un documento dell’Unione Nazionale Artisti (UNAMS), firmato dal Segretario generale, professoressa Dora Liguori, nel quale si invitano i candidati alla Presidenza del Consiglio a considerare nei programmi elettorali l’importanza che per il nostro Paese rivestono le Accademie ed i Conservatori di musica, per la cultura italiana e per l’interesse che le nostre scuole riscuotono a livello internazionale.
Nell’imminenza delle prossime consultazioni elettorali, si legge nel documento inviato ai leaders politici il 3 marzo u.s.:
- preso atto che la legge di Riforma per Accademie e Conservatori di musica, ossia della formazione artistica al più alto livello, è stata approvata all’unanimità da parte del Parlamento nel lontano ’99;
- rilevato che da quel momento nulla di significativo è stato fatto per il settore bensì sono state poste in essere, in fase attuativa della legge medesima, provvedimenti, poco rispondenti alla filosofia della legge, quando, addirittura, non punitivi.
- considerato che gli altri Paesi d’Europa, partiti con ritardo, hanno risolto in breve tempo il processo riformatorio, con ciò ponendo le loro Istituzioni al più alto livello e che questo traguardo, nel lasciare indietro l’Italia, va a penalizzare le antiche e gloriose Istituzioni italiane e soprattutto i nostri incolpevoli e validissimi studenti;
Unione degli Artisti chiede
- quali sono gli intenti del partito da Lei rappresentato verso il più importante, ma sin qui assolutamente disatteso, settore della cultura italiana.
- se, nel programma di Governo della Sua lista è prevista una politica attenta e non penalizzante per queste Istituzioni che, al momento, giacciono non solo abbandonate ma senza sufficienti risorse economiche: sia per il rinnovo del contratto del personale, sia per il funzionamento delle Istituzioni medesime”. Inoltre l’UNAMS sottolinea che “la più piccola Università italiana gode di un budget economico superiore al totale che attualmente viene previsto per le oltre cento Istituzioni artistiche, sparse sul territorio. E tutto ciò nonostante che dette Istituzioni rilascino un diploma accademico di 1° e 2° livello equipollente alla laurea, e che le Istituzioni dell’Arte, per il loro pregevolissimo livello, sono tra le più richieste e frequentate da studenti che provengono da ogni parte del mondo”. Di qui la richiesta di conoscere se, “almeno nelle intenzioni programmatiche” dei partiti, esistano linee e provvedimenti riservati all’annosa soluzione del “problema” formazione artistica italiana al più alto livello. Il documento costituisce un invito alla classe politica a riflettere su un settore della nostra cultura che costituisce un vanto per il Paese di sicuro impatto a livello internazionale, un fiore all’occhiello dell’Italia fin qui trascurato, nonostante sia facilmente percepibile come l’arte italiana, in questo caso la musica e il ballo, costituiscano parte essenziale della notorietà del Bel Paese in tutto il mondo, turismo compreso. Un tema a me caro, solitamente ignorato dalla maggior parte dei politici. I quali spero che arriveranno a comprendere che l’arte, nelle sue varie espressioni, è alla base dell’industria turistica, certamente la più importante del Paese, quella che ci assicura entrate rilevanti, che potrebbero essere assai maggiori se mettessimo in campo tutte le potenzialità del settore, che tra l’altro potrebbe assicurare molti posti di lavoro nei servizi e nella realizzazione delle infrastrutture (strade, alberghi, porti turistici, ecc.) delle quali l’Italia ha assoluto bisogno.
5 marzo 2008
Messi in condizione di non nuocere
La fine ingloriosa dei teodem
di Senator
Amare, ma prevedibilissime, sorprese per i teodem, la pattuglia di cattolici “di sinistra”, schierati con Veltroni. A parte la Bindi, comunista doc da sempre, con vocazione, gli altri, che si erano fatti notare, Binetti, Bobba e Carra sono stati messi in condizione di non nuocere, cioè di combattere la loro battaglia per i valori cristiani. Intanto Binetti e Bobba passano dal Senato alla Camera. E questo è già uno smacco. Potevano contare qualcosa in un ambiente di piccoli numeri, non conteranno alla Camera, chiunque vinca. Si troveranno in un ambiente nel quale potranno soltanto far sentire la loro voce, senza speranza di incidere sulle scelte. Se vincerà la Sinistra, infatti, siederanno accanto ad ex comunisti, ex socialisti, radicali in servizio permanente effettivo, cioè insieme a parlamentari, nel migliore dei casi, indifferenti ai valori religiosi. Se la Sinistra perderà i teodem conteranno, ovviamente, ancora meno. Nel passaggio dal Senato alla Camera Bobba viene messo capolista evidentemente per far ingoiare a lui ed agli altri il boccone amaro della sterilizzazione. Veltroni che conosce bene le ambizioni di questi personaggi dà loro un contentino, tanto per poter dire che ha tenuto conto dei valori dei quali sono portatori. Carra, collocato al 17° posto in Sicilia non ha possibilità di essere eletto. La partita è chiusa. Poveri teodem, senza cultura politica ed esperienza ed avendo evidentemente studiato poco la storia, accontentandosi di poco (Bobba), presuntuosamente autoreferenziali (Binetti) non hanno capito che le battaglie ideali, quelle sui valori, soprattutto se religiosi, devono essere trasversali e trovare una sponda in altre realtà politiche. Solo questo avrebbe evitato che l’enclave cattolica nel partito postcomunista avrebbe potuto contare dentro e fuori. Non hanno avuto coraggio. Bobba per assoluta inconsistenza politica, la Binetti per l’enorme presunzione che guida i suoi passi, di collegarsi con altre forze politiche dalle quali possono anche dissentire sui programmi politici ma che avrebbero avuto vicino nelle battaglie sulla difesa della vita e dei valori della civiltà cristiana. Ed alzare la voce e così essere tenuti da conto da Veltroni e dal suo vice, il “cattolico” Franceschini. Poveri teodem, che fine ingloriosa!
5 marzo 2008
Bertinotti: luoghi comuni e ipocrisie rifondarole
di Senator
Intervenuto a Porta a Porta, ieri sera il Presidente uscente della Camera, Fausto Bertinotti, ha snocciolato i più stantii slogan della Sinistra massimalista, eludendo i temi attuali della società e delle persone. E così, nel commentare l’iniziativa di Veltroni di candidare, accanto all’ex Presidente di Federmeccanica, Calearo, e di un operaio, il leader della Sinistra Arcobaleno ha rimarcato che, a suo giudizio, vi è una naturale inconciliabilità tra il “padrone sfruttatore” e lavoratore “sfruttato”, un linguaggio che non si sentiva da decenni, neppure nella polemica sindacalese. Ma non basta, incalzato da Casini sull’esigenza di un fisco più equo, capace di restituire risorse e serenità alle famiglie, Bertinotti chiede una generalizzata diminuzione delle tasse e soprattutto la lotta all’evasione fiscale, senza pensare che la famiglia è veramente al centro dell’economia e dovrebbe essere al centro dell’attenzione della classe politica. La famiglia è fatta di figli che costituiscono il futuro del Paese, di lavoratori, di aspiranti lavoratori, di anziani da assistere. E’, in sostanza, un mondo, rispetto al quale le scelte politiche danno la misura della loro effettiva concretezza. Come per il profilo del lavoro dei giovani e della scuola. Casini ha parlato di esigenze di lavoro e di rivalutazione del merito e di potenziamento della scuola. Bertinotti ha replicato chiedendo la fine della precarietà anche perché la scuola ha punte di eccellenza. Ecco, ha punte, solo punte, rare punte. In realtà la scuola italiana, come affermano tutte le rilevazioni europee è molto indietro rispetto agli altri paesi avanzati e rispetto alla nostra tradizione di un tempo. E così ha affossato il merito, disabituando i giovani al confronto con se stessi e con la società nella quale si dovranno misurare da professionisti. Il diplomificio italiano ha inondato il Paese di titoli di studio che non attestano un’effettiva preparazione, con la conseguenza di avvicinare al mondo del lavoro giovani impreparati, privi di una vera cultura di base, quindi con difficoltà di occupazione, facendone dei frustrati e dei ribelli nei confronti di uno Stato che pure ha dato loro un diploma. Caro Bertinotti, avrai i voti degli scontenti, degli eterni scontenti della Sinistra massimalista che nulla fanno per interpretare le esigenze effettive della società. Protestare, protestare, protestare non può essere più il grido di battaglia di una Sinistra moderna. E, infatti, non lo è a nessuna latitudine.
4 marzo 2008
Bobba: finta ingenuità
La vocazione dei cattolici di sinistra: portatori d’acqua alla Sinistra postcomunista
di Senator
Intervistato da La Stampa di ieri sulla situazione nel Partito Democratico dopo l’ingresso di Pannella e compagni, Luigi Bobba, senatore uscente e, purtroppo, probabilmente rientrante, cattolico non particolarmente coraggioso, “confessa” di “essere stato tra quelli che hanno evidenziato un’inquietudine diffusa al momento dell’accordo con i radicali”. Che delicatezza quell'”inquietudine” dell’ex Presidente dell’Azione Cattolica! Quanto pudore in quella timida espressione di dissenso! Macché, solo “inquietudine”, come una verginella che ha scoperto l’amore e non sa se cedere o no e quando cedere. Non il Bobba, ultimo erede di quella genia di cattolici “di sinistra”, più esattamente comunisti o postcomunisti che da anni costituiscono un impudico alibi per la Sinistra. Lui cede subito. Dice, Veltroni “ci ha spiegato che i radicali hanno accettato il nostro programma, nel quale non c’è alcun accenno all’eliminazione dell’8 per mille, all’abrogazione del Concordato e alla legalizzazione dell’eutanasia”. Capite? “Ci ha spiegato”! Tutto qui? E i valori, quelli forti dei quali i cattolici in politica dovrebbero essere aperti testimoni? E’ solo una questione di 8 per mille e di Concordato? E’ vero, non c’è il riferimento all’eutanasia, ma non basta. Ma veramente il senatore PD crede che i radicali non saranno la sua spina nel fianco? La verità è che il Bobba, e con lui gli altri “cattolici di sinistra” pensano più alla poltrona che ai valori, una poltrona che, senza personali consensi nella società civile, può essere assicurata loro solo da quell’infame legge elettorale che mette le scelte nelle mani dei segretari dei partiti. E barattano i valori nei quali, pure, dicono di credere. Dio fa impazzire coloro che vuol perdere: e così Bobba crede ipocriticamente di salvarsi la coscienza con quel Veltroni “ci ha spiegato”. E probabilmente non si vergogna neppure!
3 marzo 2008