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Novembre 2009

Mannheimer e il partito di Fini
La scommessa della disgregazione del PdL
di Senator

     Per Mannheimer il partito di Fini, nell’ipotesi di un distacco dal Partito della Libertà vale il 6%, calcolo difficile, ovviamente, fondato su intenzioni formulate in un momento nel quale un’elezione, quella per le regioni, è troppo vicina ed un’altra, quella per il rinnovo del Parlamento, è ancora lontana. Un dato, dunque, che lo stesso Mannheimer ritiene necessario assumere con prudenza considerato per il gradimento per Fini non può essere convertito oggi, come non era ieri, in voti.
     La simpatia per il leader dell’ex Alleanza Nazionale nasce soprattutto a sinistra in relazione alle sue prese di posizione laiche e controcorrente in tema di immigrazione. E qui non è chiaro quanto sia vero il consenso e quanto, invece, le posizioni che Fini assume in contrasto con il Partito siano apprezzate perché in dissenso da Berlusconi.
     Devo dire che il 6% mi pare obiettivamente troppo, un po’ meno dei voti che AN aveva quando si presentava da sola nell’ambito della coalizione di Centrodestra. Va considerato, infatti, che i colonnelli che tenevano il partito sono passati armi e  bagagli  all’obbedienza di Berlusconi, prima Gasparri, poi La Russa, infine Matteoli. A Fini in consiglio dei Ministri resta solo Andrea Ronchi, fedelissimo quanto modesto.
     Il Fini che non riesce ad essere grato a quanti s’impegnano per lui, che si circonda di personaggi il più delle volte estremamente modesti, non ha un controllo apprezzabile delle restanti milizie di AN, mentre le sue iniziative “corsare” hanno profondamente deluso quanti negli anni si sono battuti per una scelta nazionale, ispirata ai valori cattolici, ad una destra moderata ma decisa a rivendicare un ruolo di equilibrio all’interno del sistema. Un partito di destra, si potrebbe dire, parafrasando una vecchia definizione della Democrazia Cristiana, che guarda al centro.
     Quella ipotesi è svanita, ritrovatosi improvvisamente Fini, laico e anticlericale, ha gelato le simpatie della Chiesa ed ora appare poco affidabile al centro ed a destra.
     Quel 6% mi pare troppo. Più concreto dimezzarlo. Ma forse Fini ricucirà con Berlusconi e resterà con lui nella speranza, che a mio giudizio è assolutamente priva di fondamento,  di succedergli.
29 novembre 2009

Poveri figli!
L’idiozia del nome inventato
di Senator

     Ancora una volta Verissimo supera se stesso e getta nello scompiglio la gente normale, quella che ha come nome quello del nonno o della nonna o di qualcuno degli amici di famiglia o, magari, quello di un uomo illustre della storia della letteratura o dell’arte, quasi sempre il nome di un santo o di una santa.
     Da tempo va di moda il nome… di moda, con la conseguenza che, poiché la moda cambia abbastanza rapidamente, quel nome indica anche, più o meno, l’anno di nascita che, specie per le signore diventa difficile nascondere. Non oggi, naturalmente, ma quando gli “anta” cominceranno a pesare.
     A Verissimo, dunque, intervistata dalla Tofanin si esibisce un ospite ricorrente, quella Lory Del Santo, della quale poco dicono le cronache artistiche, molto di più quelle mondane. Ebbene la Lory racconta di aver scelto per il figlio due nomi di fantasia e ride alla grande quando racconta che alla domanda del figlio sul significato del nome la tenera mammina non ha saputo rispondere. E giù a ridere, mentre l’altro ospite fisso, un manierato signore che dirige Chi, del quale non  riesco a ricordare il nome, mi sembra Alfonso Signorini, si sganascia dalle risate dicendo che ormai Giuseppe, Marco, Antonio, ecc. li portano i cani.
     Da notare che Canale 5, dove va in onda Verissimo, è una delle reti del Presidente del Consiglio, quel signore che parla sempre della famiglia, dei suoi buoni rapporti con la Chiesa, del culto della tradizione e, per questo, riceve il voto delle mamme e delle nonne, entusiaste di questo disinvolto personaggio che domina con la sua pesante presenza televisiva e giornalistica l’opinione pubblica, spesso raccontando barzellette.
     Guarda le sue televisioni il Presidente del Consiglio? Dubito ne abbia tempo, ma farebbe bene a seguire ogni tanto gli spettacoli che propina agli italiani.
     Nel dubbio rimandiamo ogni giudizio, ma solo per carità di patria perché non credo che non abbia avuto ritorni su certi spettacoli a dir poco discutibili, sul piano del costume e della morale. Il che non vuol dire “viva i bacchettoni” ma semplicemente che un po’ di buon gusto dovrebbe escludere di sghignazzare su nomi che portano centinaia di migliaia di italiani in ricordo di virtuosi uomini di fede.
     Ma il buon gusto da tempo ha lasciato il posto alla volgarità, negli spettacoli come in politica.
29 novembre 2009

Nei servizi di interesse comunitario
Pubblico: perché non funziona
di Salvatore Sfrecola

     Mi sono sempre chiesto cosa voglia dire “meno Stato più mercato” e perché privato sia “bello” anche nei servizi di interesse comunitario, da ultimo i servizi idrici. “In paesi in cui l’amministrazione è inefficiente e non corrotta, i  monopoli privati regolati funzionano meglio dei monopoli pubblici: la proprietà privata aumento l’efficienza, mentre il regolatore limita i prezzi”, scrive Luigi Zingales su L’Espresso in edicola in questi giorni.
     E’ì certamente vero ma perché il pubblico è inevitabilmente sintomo di inefficienza. Non dovrebbe esserlo. La funzione pubblica dei servizi di interesse comunitario, l’acqua, la nettezza urbana, il trasporto pubblico su gomma e su rotaia possono, e in alcuni momenti storici ed in altre realtà sono, efficienti, hanno disponibilità di risorse e le destinano all’esercizio dell’attività cui sono preordinati. Il personale “sente” l’orgoglio di  essere al servizio dello Stato, cioè della comunità, e risponde alle sollecitazioni dei governanti con l’efficienza.
     Quando questo non accade non è colpa del pubblico in quanto tale. E’ colpa della classe  politica che trascura di destinare risorse a questi servizi, pone al vertice delle strutture amministratori incapaci ma fedeli che non sanno governare le realtà e gestire nel rispetto dei principi di economicità, efficienza ed efficacia.
     E’ proprio nel caso della gestione del servizio idrico che questa situazione si manifesta in tutta la sua drammaticità. In un Paese ricco di acque, che, infatti, vengono esportate in tutto il mondo, con acquedotti che perdono oltre il 50 per cento della loro capacità, spesso per fare gli interessi di privati che “gestiscono” la risorsa, con tariffe ridicole nella logica, sbagliata, che l’acqua non debba costare che pochi spiccioli è evidente che si arriva presto, come è accaduto da noi, al collasso del sistema, per cui è necessario privatizzare per restituire un minimo di efficienza al sistema.
     Ora si teme l’aumento delle tariffe. Sarà inevitabile. Un gestore privato che si propone di ricavare un utile dall’investimento deve in qualche modo acquisire risorse dall’utenza che, per parte sua, deve entrare nell’ottica che un servizio va pagato se vuole il controllo delle falde e l’igiene degli impianti.
     E qui ancora una volta torna il ruolo del pubblico. In funzione di regolazione, innanzitutto, delle tariffe e dei servizi, e di controllo del buon funzionamento del complesso della gestione in relazione all’interesse pubblico presente nel settore in modo prepotente.
     Pubblico e privato a confronto dunque.  L’esperienza insegna che vi sono state strutture pubbliche efficientissime ed altre ve ne sono ancora quando manager capaci sono stati messi al posto giusto, quando la politica ha fatto buone scelte, cioè vere scelte politiche, nell’interesse comunitario.
     Anche l’espressione  “meno Stato più mercato” va vista alla luce delle varie esperienze nelle quali i due elementi si combinano in forme diverse. Ad esempio nella fase della rinascita dell’economia italiana dopo il primo ed il secondo dopoguerra  è stato essenziale l’apporto delle imprese pubbliche nello sviluppo di produzioni che un privato non sarebbe stato in grado di portare avanti con lo stesso impegno  e nella realizzazione di lavori che esigevano grossi investimenti. Si pensi ad ITALSTAT che ha realizzato anche all’estero grandi opere pubbliche aprendo la strada anche ai nostri imprenditori.
     Questo equilibrio pubblico-privato è saltato nell’orgia antistatalista che non ha compreso le ragioni di una sinergia che in altre realtà continua a dare sicurezza a settori importanti della produzione e del lavoro e ad assicurare  occupazione consistente e qualificata.
     Al tempo del Fascismo, quando fu creato l’Istituto pr la Ricostruzione Industriale (I.R.I.) e nella prima Repubblica a quelle imprese sono stati preposti manager di valore che, anche quando erano di stretta osservanza  politica avevano professionalità e dignità nell’esercizio della funzione. C’è stata anche corruzione, è vero, ma non a scapito dell’efficienza delle imprese. Una corruzione che oggi continua in un clima di vasta inefficienza. E in un contesto di impunità per i processi che si prescrivono e che si prescriveranno ancor di più se saranno stabiliti tempi di durata dei processi incompatibili con le condizioni dell’apparato giustizia.
28 novembre 2009

Napolitano: basta tensioni
Un monito autorevole ma che (forse) rimarrà inascoltato
di Senator

     Ancora un “monito” di Napolitano, come oggi si legge nelle prime pagine dei giornali, un richiamo a tutti ad abbassare i toni. E’ l’interesse del Paese, “che deve affrontare seri e complessi problemi di ordine economico e sociale” e “richiede – dice il Capo dello Stato – che si fermi la spirale di una crescente drammatizzazione, cui si sta assistendo, delle polemiche e delle tensioni non solo tra opposte parti politiche ma tra istituzioni investite di distinte responsabilità costituzionali”.
     Una dichiarazione evidentemente preoccupata, resa ai giornalisti dal Presidente al termine dell’udienza con l’Anmil. “Va ribadito – ha continuato il Capo dello Stato – che nulla può abbattere un governo che abbia la fiducia della maggioranza del Parlamento, in quanto poggi sulla coesione della coalizione che ha ottenuto dai cittadini-elettori il consenso necessario per governare”. “E’ indispensabile che da tutte le parti venga uno sforzo di autocontrollo nelle dichiarazioni pubbliche, e che quanti appartengono alla istituzione preposta all’esercizio della giurisdizione, si attengano rigorosamente allo svolgimento di tale funzione E spetta al Parlamento – ha concluso il Presidente Napolitano – esaminare, in un clima più costruttivo, misure di riforma volte a definire corretti equilibri tra politica e giustizia”.
     Un monito che forse rimarrà inascoltato. Infatti in prossimità delle elezioni Berlusconi è convinto che vestendo gli abiti del perseguitato riuscirà a convogliare voti sulla coalizione. Ma attenzione, non si possono trascurare le tensioni interne al Partito della Libertà che qualcuno potrebbe essere indotto ad accrescere ed enfatizzare, anche a rischio di una sconfitta elettorale che potrebbe costituire occasione per la resa dei conti all’interno del Partito tra ex di Forza Italia ed ex di Alleanza Nazionale, anche in vista del possibile rafforzamento della Lega.
     Che la resa dei conti sia iniziata lo dimostra l’azione di Fini che ogni giorno alza sempre più il tono della polemica entrando nella battaglia politica a gamba tesa per un evidente desiderio di riprendere un ruolo politico che ha perduto all’atto della confluenza di AN nel PDL e della sua ascesa alla Presidenza della Camera.
     Va notato che il Capo dello Stato nel suo messaggio ai contendenti ha detto che nulla può abbattere il governo “in quanto poggi sulla coesione della coalizione”, proprio quello che Fini si appresta a mettere in forse con la sua azione un po’ maramaldesca nel momento in cui Berlusconi è in evidente difficoltà nei suoi rapporti con la magistratura gestiti malissimo fin dal 1994, quando la proposta, boccata da Scalfaro, di portare al Ministero della giustizia l’avvocato Cesare Previti è stato un innegabile segnale del timore del Premier che la sua pregressa attività di imprenditore fosse occasione di inchieste giudiziarie sul modo con il quale la sua ricchezza si era consolidata nel tempo.
     Mal consigliato dai suoi avvocati Berlusconi, ragionando da imprenditore che deve affermare le sue ragioni ad ogni costo, ha attaccato a fondo e ripetutamente con toni che non si addicono ad una persona delle istituzioni ottenendo come risposta l’arroccamento della categoria a difesa anche delle minoranze chiassose e politicizzate. Invece di isolarle il Cavaliere ha dato loro l’aura del martirio. Un errore che ho ripetutamente segnalato invitando il Premier a licenziare i suoi consulenti in materia di giustizia per riprendere con le toghe un dialogo dai toni propri di un confronto istituzionale.
     Niente da fare. Escluso che Berlusconi sia uno sciocco è evidente che teme, più esattamente che ha qualcosa da temere. Di serio.
     Per questo è probabile che il monito di Napolitano rimarrà privo di conseguenze pratiche. Non crede nell’effetto positivo neppure  il Presidente che con quel “in quanto poggi sulla coesione della coalizione” sembra prevedere una faida interna i cui sviluppi potrebbero far cadere il governo.
28 novembre 2009

Al Ristorante “Sangallo”
Gli autori festeggiano con amici e colleghi il nuovo libro
(la responsabilità della P.A. e dei suoi dipendenti)

     Fiammetta Palmieri, magistrato di Tribunale, Salvatore Sfrecola, Viceprocuratore generale della Corte dei conti, e Paola Maria Zerman, Avvocato dello Stato, Autori del libro “La responsabilità della P.A e del pubblico dipendente”, edito da Il Sole 24 Ore nella collana Enti Locali, in libreria da qualche giorno, hanno incontrano amici e colleghi per un brindisi al Ristorante “Sangallo”, in via dei Coronari, a Roma.
    Notati tra i presenti, Don Sforza Ruspoli, Principe di Cerveteri, Pasquale de Lise, Presidente aggiunto del Consiglio di Stato, Luigi Giampaolino, Presidente dell’Autorità sui contratti pubblici di lavori  e forniture,  accompagnato dal Consigliere Giuseppe Borgia e dal Capo di Gabinetto Luigi Caso, con la Signora Valeria Procaccini, Magistrato di Tribunale, la dottoressa Donatella Palma, Dirigente del servizio risorse umane e tecniche dell’Autorità, il Presidente di Sezione del Consiglio di Stato Giuseppe Faberi, una folta rappresentanza di Avvocati dello Stato, colleghi della coautrice e coordinatrice del testo, Paola Zerman,  Giancarlo Mandò, Avvocato Generale aggiunto, il Vice Avvocato Generale Glauco Nori, il Segretario generale dell’Avvocatura Generale, Ruggero Di Martino, gli avvocati Alessandro De Stefano, Vittorio Cesaroni, Francesco Meloncelli, con il padre, Professor Achille, Consigliere di Cassazione, Angelo Venturini, Rosario Di Maggio, dell’Avvocatura distrettuale di Palermo, ed i praticanti che collaborano con l’Avv. Zerman, Maria Vittoria Grazini e Pietro Sabelli,   il Consigliere di amministrazione della RAI, Angelo Maria Petroni, il Presidente di Fintecna e Direttore dell’Agenzia del Demanio, Maurizio Prato, i magistrati della Corte dei conti, Consigliere Antonio Frittella, i vice procuratori generali Lucio Alberti, Marco Smiroldo,  Massimo Di Stefano, Massimiliano Minerva, Roberto Benedetti, il Procuratore regionale delle Marche, Maurizio Mirabella e Signora Gabriella, il Presidente di Borsa Elettrica Alfonso Maria Rossi Brigante, con la moglie Anna Maria Rita Lentini,  Consigliere della Corte dei conti, Donatella Scandurra magistrato alla Corte di Ancona, il dottor Emilio Croce, Presidente dell’ENPAF  e dell’Ordine dei farmacisti di Roma, Beatrice Meniconi, avvocato, fresca vincitrice del Consorso a referendario della Corte dei conti, Ada Vitanza, magistrato ordinario, Maria Monteleone, Sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, Elisabetta Viviani, musicista,  il giudice Daniele Cenci, del Tribunale di Perugia, i componenti del Consiglio Superiore della Magistratura Cosimo Ferri e Giulio Romano, Salvatore Italia, Presidente di Arcus s.p.a., la società che gestisce la valorizzazione della cultura, con il Direttore Generale, Ettore Pietrabissa, e l’Avvocato Cinzia Circi, il Professor Emanuele Itta, già consigliere economico dei Vice Presidenti del Consiglio Fini e D’alema, la dottoressa Marina Gileno, dirigente della Procura regionale della Corte dei conti del Lazio, la dottoressa Licia Grassucci,  dirigente del Consiglio di Stato, la dottoressa Giuseppina Panunzio del Ministero dello Sviluppo Economico, con il marito Igino De Angelis, la Signora Lina Aglietti, assistente del Consigliere Sfrecola, la Signora Doriana Petrozzi, con il marito Ing. Maurizio Ciccone, dirigente ISPF  dell’Autorità di vigilanza  sui contratti pubblici,.
     Amici dei tre autori anche il Consigliere di Cassazione Umberto De Augustinis, il Consigliere della Corte dei conti, Massimo Amato Lasalvia, entrambi vice capo del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Consigliere di Stato Ermanno Di Francisco, i giudici Corrado Bile, Maria Teresa Poli, anch’essi al DAGL, Giuseppina Leo e Debora Sulpizi, magistrati, l’avvocato Cristina Piga, il Professore Arnaldo Morace Tinelli, di Tor Vergata, Paolo Papadia dell’ISVAP.
     Tra le autorità militari il Colonnello  Vito Augelli, Comandate del Nucleo di polizia tributaria di Roma, il Tenente Colonnello Fabio Pisani, Comandante del Gruppo Tutela Spesa Pubblica, il Generale di Corpo d’armata dei Carabinieri Goffredo Mencagli, Consigliere del Ministro della difesa, il Generale Sergio Filipponi, il Colonnello Pierluigi Vestrucci, Comandante dei Carabinieri della Corte dei conti.
     Tra i rappresentanti dell’Avvocatura, l’Avvocato Stefania Ricci, della Regione Lazio, l’Avvocato Gianclaudio Picardi, dell’ANAS, e per il libero Foro,  i Professori Filippo de Jorio,  Giuseppe Gugliuzza e Pietrangelo Jaricci,   l’Avvocato Andrea Altieri, legale della Consip,  l’Avvocato Laura Lunghi,  di BancaIntesa, cultore di Diritto amministrativo europeo nella Facoltà di giurisprudenza della LUMSA.
     Tra gli amici degli autori che operano nel settore industriale, la dottoressa Rossana Berini, delle relazioni esterne di  FINMECCANICA con il marito Professor Edmondo Terzoli, l’avvocato Vincenzo Cappiello, Amministratore delegato di FINTECNA Immobiliare, con la Signora Anna Maria, avvocato. l’Ing. Leonello Del Signore,  di Finmeccanica, l’Ing. Adriana Elena, di Astrall, il Direttore generale dell’INSEAN, Grande, il dottor Roberto Ramelli di Celle, ex dirigente di  ALITALIA,     con il figlio, Ing. Filippo, l’ing. Matteo D’addetta, con la moglie, dottoressa Giovanna Scittarelli, psicologa e psicoterapeuta, e la figlia avvocato Valeria, di Wind, il Prof. Giulio De Rossi, Primario ematologo dell’Ospedale Romano Bambino Gesù con la Signora Anna Maria, il Prof. Armando Calzolari con la moglie, Signora Cola Villani, docente di Scienza delle finanze alla Sapienza, il Prof. Adalberto Thau, la Professoressa Dina Nerozzi, neuropsichiatra E poi Anna Maria Ramazzotti, un passato nelle pubbliche relazioni di Banca Fideruram, l’editore Luciano Lucarini con la Signora Grazia, Marco Bufacchi, Francesca Caneva,  Demetrio Crucitti,  Ingegnere  RAI. Fabrizio Giulimondi, della Segreteria del Sindaco di Roma, la dottoressa Angela De Giorgio, Capo della Segreteria del Vice Ministro alle infrastrutture, Castelli, il dottor Giovanni Di Leo, Commercialista, Nives Severo e il Marito Vito, la dottoressa Rossella Tangredi, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Giovanni Battista, brooker assicurazioni con la Signora Roberta Alasia, prossimi sposi, Giuseppe Girone, dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di appalti e forniture, già collaboratore del Consigliere Sfrecola al Gabinetto del Vicepresidente del Consiglio, Gianfranco Fini, e segretario di redazione della Rivista “Amministrazione e Contabilità dello Stato e degli Enti pubblici”, il dottor Fabrizio Marconi Fabrizio, Banca d’Italia
     Per il Sole 24 Ore, editore del libro, la Dottoressa Irene Chiappalone ed il dottor Gianluca Pergolo.
     Numerose foto sono state scattate da Enrico Para, di Imperofotografico, fotografo ufficiale del Presidente della Camera dei deputati.
   Per le famiglie degli autori Raffaele Palmieri e Maria Teresa Caiazzo, il papà e la mamma di Fiammetta Palmieri, con la sorella Giovanna.  magistrato anch’essa, le figlie del Consigliere Sfrecola, Elena, con il Marito Mario Pirozzi, di Selex, e Maria Elisabetta, alle prime esperienze di lavoro presso  l’Avvocatura della Regione Lazio, il fratello, dottor Paolo e la cugina Andreola Rufo, il fratello dell’Avv. Zerman, ingegnere  Antonio consulente di Enav e del Ministero delle infrastrutture.
27 novembre 2009

La morte del transessuale Brenda
Un rogo sospetto
di Senator

     Spetta all’autorità di pubblica sicurezza ed alla magistratura chiarire con rapidità cause ed eventuali responsabilità della morte del transessuale Brenda, all’attenzione della cronaca dopo le rivelazioni sul caso Marrazzo.
     Non è la sola morte. Anche Gianguarino Cafasso, lo spacciatore indicato da uno dei carabinieri arrestati come “confidente”, è morto a settembre per una crisi cardiaca addebitata ad una overdose, in un hotel sulla via Salaria.
     Cafasso, scrive l’ANSA, “legato a un transessuale di nome Jennifer, che era presente al momento della sua morte, era molto conosciuto negli ambienti dei viados di via Gradoli. Secondo i carabinieri sarebbe stato Cafasso nei primi giorni di luglio a segnalare la presenza di un ‘festino’ nell’appartamento di via Gradoli”.
     Morti misteriose, quelle di Cafasso e Brenda? Forse no. Ma spetta alla magistratura chiarire tutti i dubbi. Perché le voci che indicano nei “clienti” di Brenda e delle sue “compagne” personaggi della politica devono essere smentite dall’inchiesta, raspidamente. Altrimenti ci terremmo per anni il sospetto che quelle morti siano da addebitare a chi non vuole che si sappia qualcosa di compromettente.
     L’Italia non può permetterselo. Ne va della democrazia.
22 novembre 2009

Se il docente richiede prestazioni sessuali in cambio di un buon voto. Quando l’immagine pubblica non è tutelata
di Salvatore Sfrecola

     Ore 15,15, Rai Uno, Domenica in, Massimo Giletti, che la conduce insieme a a Pippo Baudo,  porta in trasmissione due episodi nei quali l’immagine della scuola, per l’esattezza dell’università, viene gravemente lesa dal comportamento di due docenti. Uno a Catania, che conduce esami a porte chiuse, l’altro, a Matera, che si intrattiene con le studentesse nel suo studio promettendo un buon voto in cambio di effusioni e palpeggiamenti. Una non ci sta, interviene la Polizia che predispone un sistema di sorveglianza con telecamere. I fatti vengono accertati e il docente denunciato. In sede penale viene condannato a seguito di patteggiamento.
     E’ lesa l’immagine dello Stato e dell’università, luogo di cultura nella quale chi insegna giura fedeltà alla Repubblica ed alle sue leggi. Il danno è gravissimo agli occhi dei cittadini, indotti a perdere fiducia nelle istituzioni. Si sa come ragiona la gente. Non sarà l’unico episodio. Magari mezzo voto strappato per simpatia umana, senza alcuna contropartita, diventa un fatto sul quale si mormora.
     Ebbene un episodio come quello di Matera, che danneggia l’immagine di una pubblica istituzione, sarebbe stato oggetto dell’azione di risarcimento del danno “all’immagine”, appunto,  da parte del Procuratore regionale della Corte dei conti. Cosa c’entra direte. Invece c’entra il giudice contabile in quanto l’immagine è un bene, sia pure immateriale, che la Pubblica Amministrazione ha nel suo patrimonio, un bene che, una volta leso, esige un risarcimento. Ebbene il risarcimento del danno prodotto allo Stato o ad un ente pubblico è, secondo la Costituzione (art. 103, comma 2) di competenza della Corte dei conti.
     Ma forse si doveva dire era, quantomeno nel caso di specie. Infatti con un decreto legge dell’agosto di quest’anno (il n. 103 del 4 agosto) è stato stabilito che il danno all’immagine è perseguibile solo in caso di delitti contro la Pubblica Amministrazione (peculato, corruzione, concussione, ecc.) ovvero per un altro reato che abbia causato un danno erariale segnalato dal Procuratore della Repubblica al collega Procuratore della Corte dei conti. Ebbene in un caso come questo è dubbio che il P.M. penale nel momento in cui esercita l’azione con la richiesta di rinvio a giudizio ne darebbe notizia al Procuratore regionale della Corte dei conti per l’ovvia ragione che quel comportamento, come l’abuso sessuale, ma possiamo fare l’esempio del docente pedofilo, non appare ai suoi occhi produttivo da solo di un danno all’erario.
     Quel che appare irrazionale ed è stato nel breve tempo di vigenza della norma già segnalato alla Corte costituzionale è che il danno all’immagine è inscindibilmente collegato ad un illecito penale, mentre la giurisprudenza della Corte dei conti ha affermato, in ciò trovando il consenso della Cassazione, che il danno all’immagine prescinde dall’eventuale profilo penale della condotta illecita ed attiene al pregiudizio che l’azione o l’omissione gravemente colposa del dipendente provoca allo Stato.
     Un altro caso di ridotta tutela dello Stato indotta da leggi ad personam perché non è dubbio che dietro l’iniziativa vi sia qualche processo intentato a carico di uno dei tanti intoccabili della politica.
15 novembre 2009

Signor Preside, si vergogni!
Un cencio sporco la bandiera nazionale del liceo Virgilio
di Salvatore Sfrecola

     Un tempo era uno dei licei classici più prestigiosi di Roma,in via Giulia 38, nel cuore della Città barocca. Contendeva al Visconti ed al Tasso, il mio liceo, la palma della migliore istruzione superiore. Mi auguro che la scuola attinga ancora quei livelli di eccellenza.
     Dove non eccelle, invece, è nel rispetto del tricolore nazionale, la bandiera della Patria, che fa pessima mostra di se, accanto al vessillo dell’Unione Europea, ai lati del portone d’ingresso. Ridotta ad un cencio sporco, lì evidentemente da molto tempo.
     Non si vergogna il Preside di quella bandiera così maltrattata? Quale insegnamento offre ai suoi studenti, i futuri cittadini italiani, con quella bandiera vilipesa? Cosa devono pensare i giovani romani che frequentano la scuola e quanti passano accanto al palazzo? Che il simbolo d’Italia, dello Stato, non merita alcun rispetto?
     Si vergogni Preside! La sua scuola impartisce non solo nozioni, ma avvicina alla cultura, ai “saperi” come con brutto neologismo si usa dire. Tra questi è importante tutto ciò che viene dalla tradizione umanistica del nostro Paese, da quello spirito nazionale, coltivato da poeti, filosofi, storici, letterati, che attraverso i secoli ha mirato all’unità della Patria, quella che ci apprestiamo a celebrare tra poco meno di due anni.
     Quella   bandiera, Preside, anche se lei evidentemente la disprezza, è il simbolo di un Paese e della sua storia e merita rispetto per i giovani che si apprestano ad entrare nel mondo del lavoro come cittadini e professionisti, e per tutti coloro che passano in via Giulia, per gli stranieri che affollano una delle strade più belle di Roma e che sono abituati, nei rispettivi paesi, a ben altro rispetto per la bandiere.
     Vergogna, Preside, lei mantenendo in quelle condizioni la bandiera d’Italia, offende l’immagine stessa del Paese e della Scuola, quella con la “S” maiuscola, laddove l’insegnamento diventa cultura, ereditata dal passato e protesa verso il futuro.
15 novembre 2009

Dalla tutela alla violenza delle minoranze
di Salvatore Sfrecola

     Canale 5, ore 10 di oggi,  domenica 15 novembre, va in onda la replica di Verissimo, trasmissione condotta da Silvia Tofanin, una bella ragazza, disinvolta e simpatica, se da qualche tempo non ci bombardasse con messaggi che esaltano l’omosessualità.
     Non seguo la trasmissione per cui m’imbatto in essa solo quando faccio zapping. Inevitabilmente incappo delle divagazioni omosessualistiche della Tofanin il che significa, statisticamente, che il tema è ricorrente, ossessivamente, direi.
     Ora non è dubbio che in un Paese civile massimo deve essere il rispetto per le persone per le loro idee, quindi anche per le loro tendenze sessuali. E’ il tema della non discriminazione, della tutela delle minoranze, sul quale si sono versati litri d’inchiostro, espressione consueta anche nell’era del computer, per dire che nessuno deve essere emarginato per le proprie idee politiche e religiose e per i gusti personali seguiti. Lo dice la nostra Costituzione, è regola fondamentale della Carta dei diritti europea.
     Tuttavia dev’essere chiaro che la non discriminazione non può trasformarsi in imposizione nei confronti delle maggioranze. In una parola, stiamo passando dalla tutela delle minoranze, giustissima, alla violenza delle minoranze, del tutto intollerabile, con pericoli di reazione non auspicabili.
     Credo che sia evidente a tutti questa situazione certificata dal tentativo di introdurre nell’ordinamento giuridico italiano una norma cosiddetta antiomofobia che vorrebbe punire chiunque in qualche modo critichi le tendenze omosessuali. Con evidente limitazione del diritto di opinione.
     L’iniziativa, nella quale si riconoscono vasti settori del Parlamento (la tirannia della ricerca del consenso!) sta proprio a significare che gli ambienti gay si sono resi conto di aver tirato troppo la corda e di essere passati dalla difesa dei diritti all’imposizione di un costume che continua, fortunatamente, ad essere di una minoranza, chiassosa ma sempre minoranza. E corrono ai ripari con una norma chiaramente illiberale, che nega la libertà di manifestazione del pensiero.
     Spiego il “fortunatamente”. Liberi tutti di pensare come vogliono e di praticare tutte le tendenze sessuali che desiderano, ma è certo che la società, come dice la Costituzione, si base sulla famiglia formata da un uomo e da una donna, come si deduce, se non altro, dal fatto che la Carta fondamentale valorizza la procreazione, l’educazione e l’istruzione dei figli. E le coppie omosessuali sono naturalmente  sterili.
      Ripeto, massimo rispetto per tutti, ma nessuna violenza delle minoranze.
15 novembre 2009

Palazzo Chigi e dintorni
Rumors sul Governo: Letta Vicepresidente,
Catricalà Sottosegretario?
di Senator

     Dopo i malesseri che nel Partito della Libertà hanno accompagnato e seguito l’annuncio della riduzione dell’IRAP, ennesimo scoop elettoralistico del Premier subito ridimensionato dal suo Ministro dell’economia (se ne parlerà più avanti) e le polemiche prese di posizione di Bossi, strenuo difensore di Tremonti, Berlusconi ha compreso che non poteva dare la Vicepresidenza al timoniere di via XX Settembre, già troppo forte nel governo per via della disponibilità dei conti pubblici che gli danno un potere assoluto sui cordoni della borsa.
     Così il Cavaliere ricorre al Gran Mediatore, a quel Gianni letta che dal 1994 gli assicura un efficace coordinamento dell’azione di governo negli ultimi tempi compresso dalla prepotente personalità del Ministro dell’economia che nelle vicende di contenuto economico e finanziario domina la fase preparatoria del Consiglio dei Ministri, da sempre in mano a Letta ed al Capo del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi, il Consigliere di Stato Claudio Zucchelli.
     Per riequilibrare i poteri all’interno del Governo Berlusconi vuole dare la Vicepresidenza a Letta e portare a Palazzo Chigi Antonio Catricalà, Presidente dell’Autorità per la vigilanza sul mercato, Consigliere di Stato, Grand Commis, già suo diretto collaboratore come Segretario Generale della Presidenza del Consiglio, che sente da tempo il desiderio di passare ad un importante incarico politico. Giovanissimo Consigliere di Stato Catricalà appartiene a quell’area di intellettuali di area socialista, allievi di Giuliano Amato e Franco Bassanini che con  l’Avvocato dello Stato Antonino Freni e Franco Frattini hanno occupato vari posti del potere ministeriale ed a Palazzo Chigi dove Amato e Bassanini sono stati Sottosegretari, Freni e Frattini Segretari generali.
     Si ricostituirà così un team già efficacemente sperimentato per gran parte della legislatura 2001-2006 (memorabile lo scontro Fini-Catricalà sul funzionamento dell’Ufficio del Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle politiche antidroga, allora retto del Prefetto Pietro Soggiu, quando Catricalà incassò l’appoggio incondizionato di Berlusconi). L’intesa tra Letta e Catricalà è stata sempre ottima. Grande capacità di coordinamento delle varie realtà ministeriali Catricalà si avvale di uno staff di fedelissimi che senza dubbio riporterà a Palazzo, soprattutto Luigi Fiorentino al quale aveva affidato l’importante Dipartimento del personale e Paolo Troiani, Consigliere di Stato, che già svolge funzioni di vicesegretario generale con Manlio Strano, prossimo al pensionamento ma che sarà certamente ripescato come Consigliere di Stato o della Corte dei conti. Per lunghi anni Capo della segreteria del Consiglio dei Ministri Strano è stato insignito proprio da Letta del premio dell’eccellenza. Tra i due l’intesa è perfetta.
     Con un team di ferro Berlusconi spera di riprendere in mano quel coordinamento dell’azione di governo che la Costituzione gli assegna ma che, di fatto, è in mano a chi conosce le questioni della finanza e può dare l’ok su tutte le scelte che implicano impegni di spesa.
     Più tranquillo sul versante del Governo Berlusconi può dedicare più tempo alle questioni politiche, a cercare di esorcizzare l’incubo Fini. Il Presidente della camera è partito all’attacco, sente che il Cavaliere potrebbe essere disarcionato presto dai giudici che gli sono addosso per le sue pregresse attività d’imprenditore, mentre la sua immagine, deteriorata all’estero, rischia anche in Italia, in un Paese che un po’ ammira un po’ invidia i furbi e gli spregiudicati, quando hanno il potere. Con la conseguenza che se quel potere vacilla tutti voltano le spalle. La vicenda politica e umana di Mussolini deve essere un incubo per il Cavaliere che oggi teme anche per le sue sostanze che hanno avuto una espansione geometrica da quando è sceso in politica. I maligni dicono proprio per salvarsi dai suoi guai giudiziari preannunciati e dalle banche creditrici.
     “Chi troppo in alto va cade sovente”, dice un vecchio proverbio. Lo sa anche Berlusconi, come tutti i potenti che però sembrano accecati dal loro potere e si ritengono invincibili e immortali. E inevitabilmente credono che la storia sia stata scritta per gli altri.
15 novembre 2009

La responsabilità della P.A.
Brindisi per un libro
     Fiammetta Palmieri, Salvatore Sfrecola e Paola Maria Zerman, Autori del libro “La responsabilità della P.A e del pubblico dipendente”, edito da Il Sole 24 Ore nella collana Enti Locali, in libreria da qualche giorno, incontrano gli amici per un brindisi al Ristorante “Sangallo”, in via dei Coronari (angolo Piazza San Salvatore in Lauro), 180, dalle 18 alle 20 del 26 novembre 2009.
14 novembre 2009

Lascia perplessi la proposta di legge sulle intercettazioni
di Davide Steccanella *

     E’ vero che continua “a cambiare” (mi pare di avere già contato 3 o 4 diverse stesure.) ma l’ultima proposta di legge per modificare le norme processuali in materia di intercettazioni telefoniche presta il fianco a fondate censure, al punto che sorge il sospetto che pur partendo da una giusta esigenza di riformulazione (troppi, in effetti, i riscontrati abusi.) si voglia di fatto eliminare tale mezzo di ricerca della prova.
     Due in particolare le “novità” che meriterebbero di essere più compiutamente rivisitate, una di “merito” e l’altra di “organizzazione pratica”, la prima infatti attiene ai presupposti autorizzativi da parte del Giudice, e la seconda invece alle modalità di tale autorizzazione.
     La dizione prescelta ” sussistenza di gravi indizi di reità” al posto di “gravi indizi di reato” infatti sembra imporre al Pm richiedente di dovere reperire gravi indizi a carico di un soggetto prima di potere sottoporre ad intercettazione telefonica la sua utenza , con il che non si capisce la necessità di ricorrere a tale mezzo giacché un Pm che ha già raccolto gravi indizi di reità a carico di un soggetto ne chiede o l’arresto o il rinvio a giudizio.
     Viceversa la precedente dizione che parlava di gravi indizi d i reato era assai più logica, perché imponeva al Pm richiedente di individuare aliunde gravi indizi in ordine al fatto che un certo reato era stato commesso (magari da altri) prima di richiedere al Giudice di intercettare le conversazioni private di un certo soggetto.
     Peraltro la nuova dizione risulta assai pregiudizievole per lo stesso indagato “autorizzato”, giacché sarà tutt’altro che facile in seguito di indagine liberarsi del fardello di una tale pronuncia incidentale in materia di gravi indizi a proprio carico, in tutto e per tutto equiparabile ad una pronuncia negativa del Tribunale del riesame in relazione all’art. 273 Cpp.
     La seconda anomalia è quella che imponendo ogni volta una delibazione collegiale in sede autorizzativa (3 Giudici) si finirebbe con il rendere in breve “incompatibili” al successivo Giudizio di merito tutti i Giudici in forza ad un determinato distretto, visto che eccezion fatta per i Tribunali di Milano, Roma e Napoli, non è che l’organico dei Magistrati penali altrove dislocati sia poi così nutrito, in pratica il Pm si troverebbe di fronte alla scelta concreta se intercettare o processare un determinato Tizio, il che stride con i più elementari principi del nostro Ordinamento penale finalizzato ovviamente più al Giudizio di merito da parte del Giudice, piuttosto che alla “sacralità” della indagine del Pm.
     Tra l’altro non è chi non veda la assurdità di prevedere il controllo di ben 3 Giudici per la mera autorizzazione alla intercettazione e magari la valutazione finale di merito del contenuto di tale intercettazione in capo ad un solo Giudice monocratico (sic !!!)
     Senza contare che anche la previsione di un materiale trasbordo dell’intero fascicolo di indagine dalla Procura richiedente al competente Tribunale distrettuale del capoluogo, per la valutazione indiziaria della richiesta appare destinata a creare non pochi problemi organizzativi di personale e di spesa.
     In conclusione così come formulata la citata riforma assomiglia tanto ad una “abolitio legis”, scelta magari pure legittima, ma forse a quel punto sarebbe stato meno ipocrita. dirlo !  

*  Avvocato, del Foro di Milano. Intervento tratto dal blog Postilla delle Riviste IPSOA www.avvocatosteccanella.com

Gli equivoci del politichese
Serve una Giustizia per il cittadino non per il Palazzo
di Iudex

     C’è un equivoco che alimenta il dibattito di questi giorni sulla Giustizia. “Non faremo nessuna riforma contro i magistrati”, dicono gli uomini del potere, soprattutto quelli che sono all’opera per cambiare i codici e la Costituzione.
     Non c’è dubbio che dicano la verità. La riforma non sarà  “contro” i giudici, per il semplice fatto che non può essere per definizione contro chi amministra la giustizia. I magistrati applicano la legge, quella che il Parlamento sovrano approva nelle forme previste dalla Costituzione.
     Da questo punto di vista chi dice quelle cose è sincero.
     Infatti, la riforma annunciata che le associazioni dei magistrati e molti esperti giuristi temono non è “contro” giudici e pubblici ministeri ma “per” politici e imprenditori, come dimostrano le iniziative assunte negli ultimi anni in tema di prescrizione, di appellabilità delle sentenze, di ridefinizione di alcune fattispecie criminose, come il falso in bilancio. Sono leggi ad personam, come si dice polemicamente, leggi fotografia che anche quando sembrano generali e astratte in realtà servono solo ad alcuni, tutti personaggi che hanno problemi seri con la giustizia.
     Sono leggi che non interessano il cittadino. In questo senso sono leggi “contro” il cittadino comune, cioè contro la stragrande maggioranza degli italiani che saranno pure disordinati e irrispettosi del Codice della strada, nel senso che non mettono le cinture di sicurezza e usano il cellulare mentre guidano, lasciano la macchina chiusa in seconda fila, magari davanti ai cassonetti, ma non sono né corrotti né corruttori, non frodano il fisco (spesso perché non ne hanno la possibilità, come i lavoratori dipendenti) e viaggiano avendo obliterato il biglietto dell’autobus.
     Quelle leggi sono contro il cittadino perché impediscono non solo il perseguimento dei reati contro la pubblica amministrazione, che essendo “pubblica” è di tutti, uno strumento dello Stato per governare, ma perché rendono l’azione dei pubblici ministeri e dei giudici inadeguata alle esigenze. Per tutti la questione delle intercettazioni telefoniche, strumento essenziale non solo nella lotta alla corruzione ed alla criminalità organizzata, che da qualche parte si vorrebbero drasticamente limitare per un problema di soldi, che si potrebbero risparmiare se, ad esempio, lo Stato non appaltasse il servizio ma lo gestisse in proprio.
     Un’attività corruttiva non si accerta con qualche ora di ascolto. Esige maggiore impegno, considerato che i concorrenti nel reato temono di essere controllati e sono prudenti, diluiscono le conversazioni, spesso dirette solo a stabilire occasioni di incontro.
     Questa legge, se fosse approvata come è stata immaginata ed abilmente illustrata dal Presidente del Consiglio in un convegno di imprenditori che lo hanno freneticamente applaudito (chissà mai perché!), ridurrebbe drasticamente le capacità investigative delle procure e le impedirebbe per alcuni reati particolarmente odiosi, quello di pedofilia, ad esempio, o di sequestro di persona, se non fosse possibile attribuirli all’iniziativa della criminalità organizzata.
     Il mio non è un processo alle intenzioni, non solo perché molte leggi “singolari” dalla c.d. “Cirielli” al c.d. “Lodo Alfano” costituiscono  un precedente specifico sotto gli occhi di tutti, ma perché tutto il dibattito sulla Giustizia è indirizzato verso l’affermazione di modifiche normative, di carattere sostanziale e processuale, che non giovano assolutamente al cittadino il quale, per il processo penale vuole decisioni rapide perché, se persona offesa dal reato, desidera che il responsabile sia condannato e, se è imputato ma innocente, sollecita ugualmente una pronuncia in tempi brevi perché sia riconosciuta la sua innocenza. Ugualmente nel settore della giustizia civile l’attore, chi chiede il riconoscimento di un diritto, non vuole lasciarlo in eredità a figli e nipoti. La lentezza della giustizia civile è “contro” gli imprenditori seri, soprattutto gli stranieri che per le disfunzioni dei nostri tribunali rinunciano ad investire in Italia.
     Di tutte queste cose non si parla mai. Il Presidente del Consiglio e leader del Partito di maggioranza vuole spuntare le unghie ai pubblici ministeri ed immagina riforme a misura dei suoi interessi. “Senso dello Stato zero”, direbbe ancora, come ha detto frequentemente, Gianfranco Fini che, infatti, frena sulla riforma, vuol, vederci chiaro. Anche lui, come tutti i politici,  ha qualche amico con problemi giudiziari ma sa distinguere tra le vicende di queste persone e la Giustizia che deve assicurare un servizio al cittadino, uno dei primi e dei più importanti, da quando esistono gli ordinamenti generali, quelli che dal ‘500 abbiamo cominciato a chiamare “stati”.
7 novembre 2009

P.S. Mi sia consentita un’annotazione al bell’editoriale di Iudex che potrebbe essere accusato di fare un processo alle intenzioni rispetto a dichiarazioni di rispetto della magistratura e della sua indipendenza  che esponenti della maggioranza non si stancano di ripetere ad ogni piè sospinto.
     Il fatto è, per riassumere brutalmente il pensiero del nostro editorialista, che l’indipendenza della magistratura forse non sarà toccata ma certamente i magistrati, soprattutto quelli del Pubblico Ministero, saranno messi in condizione di non nuocere (ai delinquenti), perché saranno “rivisti” alcuni reati ed i Procuratori della Repubblica, ribattezzati “Avvocati dell’accusa”, saranno privati di alcuni significativi poteri investigativi.
     E’ presto fatto. Ed è certo che qualcuno dirà che è una riforma “liberale”!
     A questo proposito, e sempre per chiarire che non facciamo un processo alle intenzioni, vale la pena di ricordare una recentissima norma, voluta dalla maggioranza, con l’assenso del Governo, che limita la possibilità per le Procure della Corte dei conti di esercitare l’azione per il risarcimento del danno all’immagine, prevedendola ai soli casi e nei modi previsti dall’articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97, che si riferisce ai delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale (peculato, corruzione, concussione, ecc.). Forse che il docente pedofilo o quello che violenta l’alunna non ledono gravemente l’immagine ed il prestigio dell’Amministrazione?
     Ma non sono tecnicamente delitti contro la P.A. Per cui il P.M. della Corte dei conti non potrà chiedere il risarcimento del danno all’immagine, un bene, è bene ribadirlo, che appartiene allo Stato e agli enti pubblici, come diritto personalissimo la cui lesione evidentemente determina un danno patrimonialmente valutabile
Salvatore Sfrecola

Fini si smarca da Berlusconi e Il Giornale lo bacchetta
di Senator

     Di tanto in tanto Gianfranco Fini si smarca da Berlusconi. Lo ha fatto all’indomani del discorso “del predellino” quando il Cavaliere preannunciò la nascita del Partito della Libertà. “Siamo alle comiche finali”, sentenziò il leader di Alleanza Nazionale bocciando l’iniziativa. Poi dovette fare marcia indietro e schierarsi e avviare la dissoluzione del suo partito nel nuovo soggetto politico.
     Ma cosa cerca Fini? Quali obiettivi intende perseguire? L’analisi è complessa come il personaggio. A Fini Alleanza Nazionale andava da tempo stretta, troppa nostalgia, poca cultura, in genere e politica in specie, troppi avvezzi al piccolo cabotaggio, soprattutto negli enti locali, dove gli ex missini, arrivati al potere, spesso sono stati attratti dalle lusinghe del potere economico. E che dire dei “colonnelli”, un “grado” troppo elevato per alcuni di essi. Ex attivisti di base, picchiatori, spesso con modesti titoli di studio, senza professione che non sia l’iscrizione all’albo dei giornalisti per aver scritto su qualche foglio del partito o della sezione, questi personaggi Fini li ha tollerato, ma non li ha mai amati .
     Un po’ per la sua naturale freddezza, un po’ perché costruire l’immagine di uomo delle istituzioni esige il distacco dalle scorie dei camerati della prima ora, Gianfranco Fini ha assunto via via un tono intellettuale, un look nuovo, buone letture, soprattutto nei week end invernali  quando non può uscire per le immersioni, qualche prefazione acuta ai libri di Sarkozy, pubblicati dal fedelissimo editore Lucarini, uno che ci tiene a fare l’Einaudi della Destra, che ha creato una casa editrice ad hoc, Nuove Idee, che ha rilevato Il Borghese, che diffonde i suoi libri attraverso una distribuzione capillare efficientissima.
     Rimasto praticamente solo, con uno sparuto di finiani che proprio in questi giorni si vanno contando, il Presidente della Camera approfitta della sua visibilità per difendere le istituzioni, il Parlamento soprattutto, costretto ad una vita grama dall’impossibilità di varare leggi di spesa per la mancanza assoluta di risorse da destinare a copertura delle nuove iniziative.
     Non che lo faccia strumentalmente. Fini crede nelle istituzioni. E’ il retaggio della sua cultura di destra, è il fastidio che sente alle iniziative di Berlusconi in tema di riforme. “Senso dello Stato zero” ripete da anni ad ogni incontro con il Cavaliere e il leader padano. Anche di Bossi Fini farebbe volentieri a meno.
     Con Berlusconi, in particolare, c’è  anche una reciproca antipatia, un fastidio che solo l’educazione e la convenienza non fa emergere che di tanto in tanto. A Fini dà fastidio quello che Montanelli chiamava “il bottegaio”, cioè l’imprenditore che non riesce ad andare al di là dei propri interessi, che non diventa uomo “dello Stato”, che semmai tenta di piegare in ogni modo alla sua volontà tutti coloro che vengono in contatto con lui. Che ove trovi contrasti piega le istituzioni. Non lo ha fatto neppure Mussolini che aveva un grande rispetto per l’amministrazione dello Stato, in particolare per gli organi di garanzia, dalla Ragioneria Generale alla Corte dei conti. Ugualmente per la magistratura. Tanto che quando ha voluto prevaricare l’opposizione e gli oppositori ha creato il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, lasciando fuori gli organi  della giustizia ordinaria.
     Ma anche Berlusconi non sopporta Fini. Quel giovanotto alto, lui che soffre per i centimetri che lo separano dalla media degli italiani, Berlusconi lo trova decisamente indigesto. Lo vede come un potenziale successore e teme che possa mirare a scalzarlo anzitempo, magari flirtando con l’opposizione. Oggi addirittura con il Capo dello Stato che Fini ha ripetutamente difeso dalle intemperanze del Cavaliere.
     Soprattutto Berlusconi non riesce a vederci chiaro nelle mosse di Fini. Oggi il Giornale titola a tutta pagina “caro Fini, adesso parla chiaro”. Quel “corsaro” della politica  non va giù all’inquilino dio Palazzo Chigi, troppa guerra di movimento, troppo estro in questa o in quella dichiarazione che contraddice ciò che aveva detto il giorno prima e che contrasterà con quel che dirà più avanti.
     L’imprenditore non capisce il politico di razza, che sconcerta, cambia posizione, rivendica le radici cristiane dell’Europa in sede di Convenzione Europea, ma poi vota “no” al referendum sulla legge 40, fa lavorare i suoi sul tema della famiglia, in una commissione con i più bei nomi del settore, e poi l’abbandona, che se ne esce sull’ora di corano e poi critica Strasburgo per la sentenza sul crocifisso.
     Dove vuole andare Fini, si chiede Berlusconi. Non vuole la leaderschip del Partito della Libertà che sa non potrà mai avere. Punta al Quirinale? E’ probabile. Il ruolo è adatto a lui, che non si vuole assumere responsabilità di gestione del potere, cui sarebbe costretto se volesse andare a Palazzo Chigi. Comprende che la sua posizione può conquistargli simpatie a sinistra. E poi la Presidenza della Repubblica lo porterebbe anche fuori dell’agone partitico. Potrebbero giovarsene i Tremonti, i Formigoni, gli Scajola e tutta quella pletora di “delfini”   scalpitanti che osservano attentamente le immagini del Cavaliere per lo scrutano per vedere se mostra i segni del tempo e della stanchezza. Insomma, stanno sulla riva del fiume in attesa che passi la barca che porterà il Presidente imprenditore in vacanza, magari in un’isola lontana a leccarsi le ferite di uno scontro con la magistratura che con un po’ di senso delle istituzioni avrebbe evitato fin dal 1994 e che, invece, ha accentuato su suggerimento dei suoi avvocati.
 6 novembre 2009

Guida pratica
RESPONSABILITÀ della P.A. e del pubblico dipendente, di Fiammetta Palmieri, Salvatore Sfrecola, Paola Maria Zerman,
a cura di Paola Maria Zerman, Il Sole 24 Ore, ? 49

     Da ieri nelle librerie, aggiornato alla L. 69/2009 (risarcimento danno da ritardo), alla L. 99/2009 (azione collettiva) e alla L. 141/2009 (correttivo “anticrisi”), questo volume, edito da Il sole 24 ore nella collana Enti Locali, costituisce un esempio di strumento a carattere pratico ma completo ed aggiornato.
     “Se dietro ogni libro c’è una filosofia – ha scritto Paola Maria Zerman, avvocato dello Stato, curatrice del lavoro, nella presentazione del volume – , questo testo potrebbe rinvenirla nelle parole di Göethe: «se hai esperienza devi renderti utile».
     “Forti di una lunga esperienza di lavoro e di studio sui temi della responsabilità civile, penale e amministrativa della pubblica amministrazione, oggetto quotidiano della nostra attività professionale – scrive ancora la curatrice – abbiamo voluto mettere a punto un volume che fosse un utile strumento di orientamento nelle varie tematiche non solo per una vasta gamma di operatori, amministratori e funzionari pubblici, avvocati, magistrati, ma anche per tutti coloro che si preparano a partecipare a concorsi nelle pubbliche amministrazioni o in organismi privati che con quelle intrattengono relazioni commerciali, spesso di rilevante interesse economico. Siamo infatti consapevoli di come il giurista si trovi, non di rado, disorientato nel labirinto di una normativa poco chiara, risultato di una stratificazione di modifiche e integrazioni, spesso parziali, se non persino contraddittorie”.
     Per questo motivo gli autori hanno cercato una formula fortemente innovativa, utilizzando delle «mappe concettuali» che fossero una guida nei complessi e, a volte, tortuosi meandri delle varie fattispecie di responsabilità: da quella medica, alla lesione degli interessi legittimi, alle varie ipotesi di responsabilità penale, contabile e contrattuale in materia di appalti pubblici. Nella convinzione che schematizzare non significhi banalizzare. “La sintesi richiede precisione, immediatezza e, forse, un approfondimento anche maggiore rispetto all’esposizione
analitica (a volte oscura) delle diverse posizioni di dottrina e giurisprudenza. Ed è
quest’ultima che abbiamo privilegiato, nelle sue più recenti pronunce, per dare contezza dei vari istituti nella loro struttura e funzionamento ai fini dell’individuazione delle varie fattispecie di colpa o danno.
     Gli Autori ritengono di aver fatto un utile lavoro, “offrendo un contributo di chiarezza, che non esimerà comunque i nostri lettori dall’impegno di ulteriori approfondimenti, con l’augurio che il testo li incoraggi in tal senso”.
5 novembre 2009

La sentenza della Corte “dei diritti dell’uomo”
L’Europa delle culture negate
di Salvatore Sfrecola

     Lascia attoniti la sentenza della  Corte europea dei diritti dell’uomo che condanna l’Italia per l’esposizione del crocifisso nelle scuole. Lascia attoniti ed inquieti, perché la sentenza nega il valore della tradizione del nostro Paese della quale quel simbolo è parte essenziale ed ha accompagnato la storia culturale dell’Italia dall’Impero romano ad oggi, attraverso secoli ricchi di straordinario fervore nei quali il diritto, la letteratura, la filosofia e la scienza hanno irradiato la Penisola e il mondo.
     Simbolo religioso, ma anche civile il crocifisso, se quell’Uomo che vi è stato appeso per espiare un delitto che non era un delitto (l’essersi proclamato figlio di Dio), che per i cristiani è figlio di Dio e Dio anch’egli, per tutti è Colui che ha condannato una volta per sempre le società ordinate sulla distinzione tra liberi e schiavi. E, fatti uguali dinanzi a Dio, identica uguaglianza gli uomini hanno rivendicato dinanzi al potere civile, in un percorso doloroso nel quale il riconoscimento dei diritti è giunto con molto ritardo e lotte cruente, sostanzialmente con lo stato costituzionale prodotto della rivoluzione francese.
     Sempre chi lottava per l’uguaglianza dei diretti si è riferito a quell’insegnamento lontano, nel tempo e nello spazio, secoli addietro quando in Palestina in un percorso tra Galilea e Giudea il Nazareno andava predicando uguaglianza e pari dignità tra gli uomini, ebrei e gentili.
     Quell’insegnamento è alla base della cultura occidentale, anche di quella parte più laica, illuminista e libertaria che ritrova l’origine dei diritti nella natura ma che deve fare i conti con la parola del Vangelo. Né può negare che i valori religiosi concorrono con quelli civili nello sviluppo di un idem sentire che rappresenta le radici culturali dell’Europa.
     Ebbene, quelle radici sono negate dalla sentenza di Strasburgo, nel momento in cui la pronuncia della Corte dei diritti dell’uomo esclude la rilevanza della cultura dei singoli paesi, le tradizioni attraverso le quali quelle comunità si sono formate e sono giunte ai nostri giorni con un bagaglio di istituzioni che incarnano valori ampiamente condivisi e li tutelano. In sostanza nega che l’Europa sia un’unione di Stati ma anche di culture, di tradizioni, di esperienze che vanno salvaguardate se non vogliamo che la mortificazione delle nazionalità metta in pericolo la stessa unità politica del Continente.
     In Italia tra i valori nazionali, culturali e della tradizione popolare, c’è il Crocifisso. Va dunque tolto dalle aule scolastiche dove i giovani sono educati ad apprezzare tutte le espressioni del pensiero per farne patrimonio della loro personalità? Strasburgo vuole negare parte essenziale della nostra storia? Cosa direbbero allora questi giovani guardando una cattedrale, ammirando la statua di un Pontefice o di un Santo di quelle che adornano strade e palazzi o quadri nelle pinacoteche, se l’arte che ci distingue nel mondo è innegabilmente soprattutto religiosa. Dovremmo chiudere i musei e le sale concerto, considerato che gran parte della musica è di ispirazione religiosa?
     L’assurda sentenza della Corte che nega i diritti della cultura dell’uomo si commenta da sola.
4 novembre 2009

Politica e Costituzione
di Salvatore Sfrecola

     Non poteva non reagire. E così il giornale “di famiglia”, cioè Il Giornale, ha bacchettato il Professor Giovanni Sartori che in un editoriale sul Corriere della Sera del 31 ottobre, “La costituzione immateriale”, aveva contestato che Berlusconi possa rivendicare una sorta di primazia istituzionale per essere, come il Presidente del Consiglio ripete spesso, l’unica autorità pubblica eletta direttamente dal popolo.
   La risposta, con un titolo a nove colonne Il “Corriere” licenzia Berlusconi, è affidata alla penna effervescente di  Marcello Veneziani, notista forbito, scrittore facondo, ideologo della Destra tradizionale e, pertanto, inviso a Fini. Uno scrittore-giornalista che leggo sempre con piacere, anche se talvolta non condivido una certa populistica berluscomania, per la quale certo il Cavaliere ha di ben altri “scrittori”.
     Ragionevole e ragionata l’impostazione di Veneziani per controbattere le tesi di Sartori sull’ampiezza del consenso e sulle motivazioni che spingono la gente a votare a Destra come a Sinistra. Un voto, a volte, stanco, quasi per abìtudine, perché non si trova qualcuno di meglio,  un voto a volte “contro”. Ma tant’è. Sulla scheda c’era scritto Berlusconi e quel voto è per il partito e per il suo leader.
     Questa analisi del voto non mi entusiasma e non mi convince ai fini del nostro approfondimento sulle tematiche costituzionali che Sartori affronta tra Costituzione in senso formale e Costituzione in senso materiale, cioè tra testo scritto e sua concreta attuazione nella realtà della vita istituzionale.
     La tesi non ha convinto neppure Senator che ha navigato tra le acque burrascose delle opposte tesi, per giungere alla conclusione che il problema è mal posto. Infatti, il nodo centrale della questione politico costituzionale va individuato nella circostanza che l’elezione popolare “non fa del Presidente del Consiglio un soggetto legibus solutus, non processabile per reati che la Procura della Repubblica ritiene abbia commesso nella sua vita privata e professionale”. Una disciplina che ammettesse questa diversità in forza del consenso elettorale determinerebbe una gravissima disparità di trattamento non ammissibile in un regime liberale, in uno stato di diritto nel quale, per definizione, tutti sono uguali dinanzi alla legge.
     La tesi che vorrebbe il Presidente del Consiglio non processabile per poter svolgere le funzioni proprie della sua carica, in quanto eletto dal popolo, confonde consenso politico e regole del diritto. In nessun paese il consenso giustifica un regime giuridico singolare, nel senso che la persona non possa essere assoggettato alle regole che valgono per tutti i cittadini.
     E’ stato già detto ma vale la pena di ricordarlo. L'”anomalia” italiana, secondo la quale il Presidente del Consiglio è sottoposto a procedimenti giudiziari, va ribaltata nel senso che è anomalo che un soggetto sottoposto ad accertamenti giudiziari possa ricoprire la carica di capo del Governo. Infatti in ogni paese chi incappa in guai giudiziari non  si candida, a volte non è neppure candidabile, e se l'”incidente” capita quando è in carica di solito si dimette, se non riesce a dimostrare in tempi brevi la sua innocenza.
     E’ un problema di moralità pubblica.
     Qui, invece, i politici pretendono di essere superiori alla legge. Che, se possono, la modificano.
     Che Paese è mai questo?
3 novembre 2009

Possibile ma improbabile
La politica estera dell’Europa la guiderà D’Alema?
di Erasmus

     I giornali lo hanno chiamato Ministro degli Esteri dell’Unione Europea. In realtà si chiamerà Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza: così il Trattato di Lisbona definisce il responsabile europeo della politica estera il quale ricoprirà anche il posto di vicepresidente della Commissione. Nell’esercizio di entrambi questi ruoli potrà avvalersi dell’istituendo Servizio europeo per l’Azione esterna, una diplomazia comune. Un ruolo importante per una Unione che a piccoli ma sicuri passi si avvia verso una dimensione più politica, per contare nel concerto delle nazioni, pere dire la sua sulle grandi questioni della politica della pace e dell’economia internazionale.
     Così in questa vigilia fervida di iniziative e di proposte  si cominciano a delineare compromessi, come quello che vorrebbe che quella prestigiosa carica fosse ricoperta da un esponente della sinistra europea rappresentata dal PSE. Si fanno dei nomi e spunta quello di D’Alema, ex Presidente del Consiglio e Ministro degli esteri. E subito Berlusconi e Frattini manifestano apprezzamento per l’ipotesi. Fuori dai confini nazionali, con quel carattere che non gli permette di conquistare soverchie simpatie l’ex entant prodige del Partito Comunista Italiano, passato con cauta attenzione attraverso la sua metamorfosi, fino all’attuale Partito Democratico, darebbe lustro al nostro Paese ed al suo partito senza pesare sul Governo. Immagino anche che ne sarebbe lieto Bersani che certo non gradisce un alleato-sponsor ingombrante come il Presidente di ItalianiEuropei.
     Ha speranze D’Alema? Un nome fatto troppo presto rischia di entrare nel tritacarne delle correnti che in Europa non sono meno insidiose di quelle nostrane.
     C’è un inglese sullo sfondo Miliband, ma non è escluso un outsider. Tony Blair è stato impallinato dai suoi, dai tedeschi e da tutto il Benelux. Potrà tornare ad essere un concorrente credibile? La candidatura inglese è forte per definizione. Se l’Europa vuole fare significativi passi avanti anche nei rapporti con gli Stati Uniti un inglese è il candidato ideale ad  Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza. Il Regno Unito, da sempre alla finestra potrebbe essere indotta dalla prestigiosa carica offerta ad una personalità d’oltre Manica ad un impegno più significativo nella fase complessa dell’avvio del dopo Lisbona.
     D’altra parte Blair è una personalità di grande prestigio internazionale, con solide relazioni in tutte la capitali d’Europa. Stiamo a guardare. Per parte sua il presidente Napolitano, parlando a Madrid pochi giorni fa si è augurato che i leader europei sappiano scegliere “personalità adeguate”, capaci di rafforzare le istituzioni Ue, un identikit, è stato fatto notare, al quale D’Alema corrisponde come ex premier, ex ministro degli Esteri, vice presidente dell’Internazionale socialista.
     Intanto le diplomazie sono al lavoro.
3 novembre 2009

La “questione morale” in Italia
di Roberto de Mattei

     Il “caso Marrazzo”, dopo il “caso Boffo” e le vicende legate al nome del presidente Berlusconi, ha riproposto con forza all’attenzione dell’opinione pubblica la gravità della “questione morale” in Italia.
      Per i mass-media la rilevanza dello scandalo Marrazzo non deriva dal fatto che l’ex presidente della Regione Lazio fosse un frequentatore abituale di transessuali, ma dall’estorsione di cui egli è stato vittima, e forse complice. Nella vita privata infatti, secondo i mezzi di comunicazione, ognuno è libero di comportarsi a proprio piacere
     Con ciò l’Italia si avvia a celebrare degnamente i 150 anni della propria unificazione (marzo 2011). La classe politica risorgimentale predicò infatti il principio “libera Chiesa in libero Stato”, che sancisce la separazione della sfera religiosa da quella politica; negò, di conseguenza, l’esistenza della morale religiosa come fondamento del nuovo Stato unitario, anche se affermò la necessità di una morale “laica” a cui avrebbe dovuto ispirarsi la vita pubblica. Il romanzo Cuore di Edmondo de Amicis è lo specchio di questa concezione ottocentesca, che cercava di conservare il trinomio Dio, Patria e Famiglia, dissociandolo dalla Chiesa cattolica, che ne costituisce la fonte naturale.
     I regimi politici cambiarono: all’Italia liberale succedette quella fascista e a questa l’Italia repubblicana e resistenziale; ma i regimi e le ideologie di volta in volta dominanti non riuscirono a sradicare i buoni sentimenti e principi degli italiani. Poi, a partire dagli anni Sessanta del Novecento, accaddero tante cose nella vita politica e religiosa del nostro Paese: l’apertura a sinistra, il Concilio Vaticano II, il Sessantotto. Da allora l’Italia ha vissuto una Rivoluzione nei costumi e nella mentalità più devastante di una guerra mondiale
     La guerra del 1915-1918 fece in Italia 600.000 morti; quella del 1940-1945 ne provocò 450.000. Quante sono le vittime dell’aborto, della droga, della Rivoluzione sessuale, della depressione conseguente alla crisi della famiglia e alla perdita dei valori tradizionali? Si contano a milioni e sono vittime non solo fisiche, ma morali. Ciò che esse hanno perduto non è solo il corpo, ma l’anima, la ragione, la speranza di vivere con dignità e la fiducia in una vita futura felice, oltre la morte. La crisi è spirituale e non è solo italiana, ma europea e mondiale. Non è in frantumi soltanto la morale della Chiesa, ma anche quella laica, fondata sul diritto naturale.
     Il caso Marrazzo è esemplare. Nessun commentatore ha osato pronunciare un giudizio sul comportamento dell’ex presidente della Regione dal punto di vista della morale, religiosa o laica che sia. Si parte dal presupposto che la vita privata degli uomini politici sia una sfera intoccabile, del tutto scissa da quella pubblica. L’azione pubblica è certamente più importante di quella privata. Per questo, lo abbiamo scritto, è preferibile un uomo politico immorale, ma contrario alla legalizzazione dell’immoralità, ad un altro uomo politico virtuoso nella vita privata, ma favorevole ad istituzionalizzare l’immoralità nelle leggi e nel costume.
     Tuttavia, i cittadini hanno il diritto ad essere rappresentati da uomini totalmente integri e a conoscere e valutare la vita privata dei loro rappresentanti, per potere fare comunque le proprie scelte, alla luce dei principi morali in cui credono. E anche la trasgressione morale conosce diversi livelli di gravità. Oggi però si è perso il metro di giudizio e, ancora prima, si è smarrita l’idea stessa del Bene e del Male, del vizio e della virtù, del lecito e dell’illecito. L’unica cosa importante è non infrangere la legge. Purché non vi sia reato tutto è permesso. E’ la legge positiva, frutto della volontà mutevole degli uomini, a stabilire le leggi della convivenza civile. Non esistono, e guai ad evocarle, regole immutabili, principi assoluti, valori non negoziabili. L’unico peccato, nella società permissiva, è il moralismo, ovvero l’atteggiamento di chi ritiene che la morale non cambia, perché stabile e permanente   è la natura dell’uomo.
     Oggi il continuo divenire e trasformarsi della morale è incarnato dalla figura del transessuale. Si tratta di una negazione dell’immutabilità della natura e delle sue leggi vissuta, ostentata, imposta, se è vero che il ministro delle Pari Opportunità Mara Carfagna vorrebbe includere esplicitamente nel reato di omofobia la categoria transessuale, criminalizzandone la critica.
     Con transessuale, si badi, non si intende chi, con un intervento chirurgico ha voluto definire un’incerta identità sessuale e conduce poi una vita coerente e regolata, ma chi sceglie una condizione sessualmente ambivalente per mercificare il proprio corpo. Quale giustificazione può darsi per chi fruisce di questo mercato? E se questa giustificazione esiste, magari riconducendola alla libertà di autodeterminazione, come negare analoga giustificazione a chi volesse consumare un atto sessuale con un fratello o una sorella, con un animale o con un cadavere? Nella perversione umana non c’è fine ed il marchese de Sade ha già teorizzato tutte le possibilità.
     I mezzi di comunicazione ignorano le leggi morali e spesso le combattono. I cattolici però, di fronte agli scandali, non possono restare in silenzio, come oggi sembra accadere. Non si tratta di accusare l’ex presidente Marrazzo, ma di stigmatizzare la natura del peccato che lo ha portato alla sua uscita di scena. Ci vorrebbe la voce di un profeta dell’Antico Testamento, di un san Francesco di Assisi o di una santa Caterina da Siena per gridare ai quattro venti che se il transessuale è un fratello per il quale, come per ogni altro uomo, Gesù Cristo ha versato il suo sangue, la filosofia e la pratica transessuale sono un abominio, frutto del coerente processo di degradazione della società contemporanea.
     Una società che rinnega la natura umana e si abbandona alle tendenze sregolate è condannata ad essere spazzata dalla storia, come tante volte è accaduto. E’ per evitare l’annientamento delle nazioni europee, di cui parla il messaggio di Fatima, che occorre risvegliarsi, ricomponendo la frattura tra politica e morale che costituisce il peccato di origine dell’Italia risorgimentale.
3 novembre 2009

     P.S. L’articolo di Roberto de Mattei, Professore ordinario di Storia del Cristianesimo nella Facoltà di Storia dell’Università Europea di Roma e Vice Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, diffuso da Corrispondenza Romana,  è un pezzo “forte”, che richiama valori e principi largamente condivisi dalla gente, anche se troppo spesso tenuti nell’intimo e non esternati.
     Non fa moderno, è politicamente scorretto richiamare valori morali, come quello che de Mattei pone a fondamento della sua analisi dei fatti che si snodano lungo anni di storia tormentata della società italiana. Tuttavia il richiamo alla morale cattolica, che personalmente condivido, non può escludere che una larga condivisione di valori accomuni credenti e non in una visione della vita e della società che la tradizione ci ha consegnato come espressione di un insegnamento morale che la gente rispetta perché intimamente condiviso. E spesso consegnato nelle norme giuridiche che disciplinano diritti e doveri.
     Ad esempio, poiché de Mattei ha parlato della morale sessuale, ricordo ancora una volta che nell’antica Roma, nella quale era abbondantemente tollerata l’omosessualità, la legge romana ammetteva solo il matrimonio tra un uomo ed una donna, Per cui Modestino (III sec. d.C.) insegnava che “nuptiae sunt coniunctio maris et feminae et consortium omnis vitae divini et umani iuris communicatio” (D. 23,2,1).
    Quanto alla non velata critica antirisorgimentale che percorre l’articolo di de Mattei desidero ricordare che nell’Italia laica e liberale nessuna tolleranza venne mai ammessa nei confronti di corrotti e corruttori e che mentre destava scandalo tra politici e cittadini il crac della Banca Romana, in Parlamento, al grido di “bigamo”, Francesco Crispi subiva le conseguenze della sua vita privata sregolata.
     Per dire che gli italiani sono migliori della loro classe dirigente e di come li dipingono giornali e televisioni vittime di una pruderie che insegue solo l’auditel.
Salvatore Sfrecola

I poteri che ha e quelli che vorrebbe avere
Berlusconi e la Costituzione
di Senator

     Continuerà certamente a tenere banco,   e  già oggi si registra la reazione stizzita del Giornale, la riflessione di Giovanni Sartori su “La costituzione immateriale”, con la quale ieri, sul Corriere della Sera, ha detto, come sempre, la sua  sulla tesi del Presidente del Consiglio che assume di essere l’unica autorità pubblica eletta direttamente dal popolo e quindi meritevole di una speciale considerazione anche sul piano costituzionale, in atto non riconosciuta dalla vigente Costituzione ma delineata dalla realtà del consenso popolare.
     In sostanza, per completare la definizione delle tesi, si vorrebbe delineare una netta distinzione tra Costituzione formale, quella scritta nel documento approvato dall’Assemblea costituente a fine 1947, e la Costituzione “materiale”, come la Carta fondamentale viene in concreto applicata sulla base delle indicazione di un insieme di forze operanti nella società le quali siano portatrici di una visione della società e dello stato “e riescano a farla prevalere” (Mortati).
     Sartori ricorda che la tesi di Berlusconi è stata delineata dai suoi avvocati anche in occasione della discussione dinanzi alla Corte costituzionale in sede di giudizio sul c.d. “lodo Alfano”. In pratica nel confronto tra le tesi che vorrebbero il Presidente del Consiglio un primus inter pares oppure un primus super pares Berlusconi sarebbe, in forza dell’investitura popolare, un primus super pares o, forse qualcosa di più.
     Riassume Sartori che, secondo il Presidente del Consiglio e leader del partito della libertà, egli avrebbe “il diritto di prevalere su tutti gli altri poteri dello Stato (questione di diritto), perché lui e soltanto lui è “eletto direttamente dal popolo” (questione di fatto)”. Con la conseguenza che “se l’asserzione di fatto è falsa, anche la tesi giuridica che ne deriva risulta infondata”.
     La conclusione non mi convince e comunque il ragionamento è male impostato e, in fin dei conti, giova al Cavaliere.
     Sartori, infatti, si diffonde in calcoli che dimostrano come la reclamata investitura popolare non ci sia, ma è dubbio che, ancorché ci fosse, il Presidente del Consiglio potrebbe ritenersi legittimamente destinatario di una norma che lo esentasse dai processi. Tanto è vero che, nella ricostruzione di Sartori, secondo la quale “viene diffusa l’idea che la costituzione formale sia oramai superata da una “costituzione materiale” per la quale Berlusconi incarna la volontà della maggioranza degli italiani; il che gli attribuisce il diritto, in nome del popolo, di scavalcare, occorrendo, la volontà degli organi che non sono eletti dal popolo (tra i quali la Corte costituzionale e il capo dello Stato)”, il “lodo Alfano” ha ricompreso nel privilegio processuale le massime quattro cariche dello Stato, Presidente della Repubblica, Presidenti delle Camere e Presidente del Consiglio, delle quali le prime tre sono elette dal Parlamento, cioè dai rappresentanti del popolo. Lo stesso popolo del quale Berlusconi incarnerebbe la volontà in virtù di un’elezione nella quale il suo partito lo designa, in caso di successo elettorale, futuro leader del Governo.
     Tuttavia essere eletto dal popolo non fa del Presidente del Consiglio un soggetto legibus solutus, non processabile per reati che la Procura della Repubblica ritiene abbia commesso nella sua vita privata e professionale. Non lo stabilisce la Costituzione formale non potrebbe desumersi da una Costituzione materiale che non può alterare il sistema della ripartizione dei poteri. Sicché giudicare spetta ai giudici e non è consentito che nell’ordinamento vi siano soggetti, perdonatemi il bisticcio, “non soggetti” alla legge. In virtù del principio fondamentale in uno stato di diritto secondo il quale tutti sono uguali dinanzi alla legge. E di una regola della democrazia secondo la quale la volontà della maggioranza non è comunque idonea a sovvertire le regole dello stato di diritto, a meno di voler uscire da questa configurazione costituzionale dell’assetto dei poteri.
     In sostanza non è tanto importante accertare se Berlusconi è stato votato o meno dalla maggioranza degli italiani, perché “il voto per Berlusconi è in realtà soltanto il voto conseguito dal Pdl. Che ha ottenuto nel 2008?il 37,4% dei voti validi, ma il 35,9% dei votanti e il 28,9% degli aventi diritto”,  e perché sono inclusi i voti di An e il voto in un sistema “bipolare” non è solo “per” ma anche “contro”. Per cui non è necessariamente un voto sulla persona e soprattutto non è un voto dal quale si può desumere che l’elettore abbia voluto l’irresponsabilità del Presidente del Consiglio. Anche io ho votato la maggioranza, contro un centrosinistra dalle idee confuse, che arruolava Prodi e Bertinotti, Fioroni e Salvi, Binetti e Ferrero, irresoluta e priva di idee, ma non ho mai pensato di offrire un salvacondotto al Premier per fatti che avrebbe commesso da imprenditore. In sostanza, per me quella in favore di Berlusconi è stata una scelta di necessità, il “male minore”. Nella considerazione che comunque votavo un movimento politico nel quale c’è di tutto e il contrario di tutto, quindi anche più d’uno che la pensa come me.
      Per l’ovvia considerazione che coloro i quali assumono compiti di direzione della comunità devono essere rispettosi delle leggi la cui osservanza impongono ai cittadini. Né si può ammettere che la volontà popolare, che esprime un voto a favore di una certa maggioranza e di un determinato leader, costituisca implicito assenso ad una impunità che nessun ordinamento democratico ha mai consentito. Basti ricordare le inchieste giudiziarie sul potentissimo Presidente degli Stati Uniti d’America  Bill Clinton e sul premier israeliano Olmert, costretto alle dimissioni.
1° novembre 2009

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