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Marzo 2010

Il voto è un diritto e un dovere civico.
Ma i partiti imparino a presentare candidature credibili
di Salvatore Sfrecola

     Secondo l’art. 48 della Costituzione, al primo comma, “sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne che hanno raggiunto la maggiore età”. Con la precisazione, al comma successivo, che “il suo esercizio è dovere civico”.
      Non sono, dunque, i partiti, com’è naturale, a chiamare gli italiani al voto, è la stessa Carta fondamentale che afferma che quel gesto che facciamo nel segreto della cabina elettorale è espressione di un diritto politico fondamentale, il primo e il più importante dei diritti, ma anche un dovere “civico”, nel senso che nessuno deve far mancare il suo apporto alla conduzione della cosa pubblica, alla scelta dei soggetti che, con varia responsabilità, saranno chiamati a trasformare le indicazioni contenute nell’indirizzo politico elettorale in scelte di governo ai vari livelli, nello Stato, nelle regioni, nelle province e nei comuni.
     Perché, dunque, qualcuno si astiene, anzi molti secondo quel che si verifica in molte democrazie occidentali, da ultimo in Francia, dove nelle scorse settimane il rinnovo delle amministrazioni locali ha visto ha registrato un rilevante calo dei votanti.
     Anche in Italia, oggi e domani, si teme che gli elettori, complice magari una bella giornata di una Primavera appena entrata nel calendario, possano disertare le urne, con evidenti effetti sul successo dei vari schieramenti. Non nella misura di un tempo, quando alcune parti politiche risentivano meno delle assenze a causa della maggiore “fedeltà” del proprio elettorato. Da qualche tempo l’assenteismo colpisce tutti gli schieramenti più importanti in misura sostanzialmente equivalente.
     Quale le ragioni in questa astensione dall’esercizio di un diritto che è anche un dovere? Un caso particolare, considerato che difficilmente si rinuncia ai diritto, soprattutto “politico”, legato al nostro essere cittadini.
     Il fatto è che nell’esercizio di questo diritto i cittadini sono condizionati dalle scelte dei partiti, dalle candidature che presentano agli elettori per le varie cariche, nel caso di oggi i Presidenti delle Regioni e delle Province ed i sindaci, insieme ai componenti degli organi collegiali che dovranno esprimere scelte importanti per la comunità e controllare chi governa.
     Scelte importanti, dunque, alle quali non è facile sottrarsi da parte del cittadino che, giorno dopo giorno, è in condizione di verificare come la parte politica ai vari livelli di governo ha gestito le risorse messe a disposizione dai medesimi cittadini attraverso il prelievo fiscale e tariffario in relazione agli obiettivi di politica economica e sociale indicate all’atto delle precedenti elezioni.
     Eppure spesso quel cittadino rinuncia a questo diritto fondamentale, critica, bofonchia all’indirizzo dei partiti ma non vota. Il fatto è che, evidentemente, leggendo le liste non identifica persone che ritiene idonee a rappresentare le sue scelte e a dar corpo alle sue critiche. Non è solo un fenomeno italiano, come abbiamo visto, ma diffuso nelle democrazie occidentali. Anzi negli anni passati sulla base degli indici la percentuale dei votanti in Italia era più elevata che in molti paesi dell’Europa occidentale.
     “Mal comune mezzo gaudio”?    Questa volta non possiamo accettare il proverbio e dobbiamo analizzare il fenomeno e comprendere le ragioni per le quali spesso, troppo spesso, la protesta del cittadino non assume la forma del voto. Il fatto è che i partiti. come ho già accennato, presentano liste nelle quali il cittadino non si identifica, nelle quali non è in condizione di identificare la persona che possa rappresentare le sue scelte.
     Guardando le candidature la difficoltà del cittadino nella scelta è obiettivamente comprensibile. Abbondano personaggi del sottobosco politico, spesso senza alcuna esperienza di governo, neppure a livello  del più minuscolo degli enti locali o di istituzioni o aziende che gestiscono servizi pubblici locali.
      E’, questa, una grande responsabilità dei partiti che ne denunciano il carattere autoreferenziale  il senso della casta, ripetutamente denunciato, la sostanziale estraneità alle esigenze dei cittadini, ai bisogni variegati di una società i cui problemi continuano ad essere sostanzialmente ignorati, soprattutto quelli di più lungo periodo che non consentono un immediato effetto elettorale.
     Anni addietro Indro Montanelli, il toscanaccio  irriverente che tante staffilate ha riservato ai partiti chiamò i cittadini alle urne sostenendo che sarebbe stato necessario votare comunque, sia pure “turandosi il naso”.
    Siamo in quelle condizioni. L’esperienza delle passate consiliature regionali non ha dimostrato adeguata capacità di gestione delle politiche pubbliche più rilevanti, a cominciare dalla sanità che rivela ovunque disfunzioni, spesso intollerabili inefficienze se non autentici crimini a carico dei più deboli, sempre sprechi di risorse, corruzione.
     Generalizzare non è mai giusto. Non voglio farlo neppure io, ma è certo che le risorse pubbliche, quelle, ripeto, messe a disposizione dai cittadini non vengono spese con oculatezza, come sarebbe necessario per un minimo di rispetto.
     Dobbiamo votare, sia pure turandoci il naso, andando a ricercare i candidati che ci sembrano più vicini alle nostre idee, che immaginiamo sapranno dar loro corpo. Forse i partiti capiranno che non possono propinarci mestieranti della politica e forse arriveranno ad individuare nella società civile, come oggi si dice, personalità delle professioni, delle arti e dei mestieri che siano identificabili per un desiderio di contribuire al bene comune, che andranno a presiedere le regioni, le province e i comuni ed a lavorare nei consigli nell’interesse vero della gente, non delle lobby e di quanti hanno finanziato la campagna elettorale, che sapranno a fine mandato fare un rendiconto morale ma anche personale, finanziario del lavoro svolto. Insomma che non si saranno arricchiti con la politica.
28 marzo 2010

Nuovo appello del Capo dello Stato
Si onora la Costituzione rispettando tutte le istituzioni dello Stato democratico
di Salvatore Sfrecola

     Ennesimo appello di Giorgio Napolitano, un richiamo forte perchè siano rispettate le istituzioni, in ossequio alla Costituzione.
     Il Capo dello Stato ha fatto una breve dichiarazione al termine della cerimonia di commemorazione dei martiri delle Fosse Ardeatine.  “Sono qui – da detto il Presidente della Repubblica – per ribadire che cosa abbiano rappresentato, nel segno del superamento della tragica esperienza della guerra e della barbarie nazista, la fondazione dello Stato democratico e la Costituzione che noi dobbiamo onorare anche rispettando tutte le istituzioni dello Stato democratico”.
     “Se ci sono i giovani che partecipano – ha aggiunto Napolitano, che nell’occasione ha incontrato e salutato folti gruppi di studenti – non è mai un rito, è un modo di rivivere l’esperienza tragica del passato. Ho il dovere, come si sa e come è scritto nella Costituzione, di rappresentare l’unità nazionale. Non penso ad altro che a questo: a come a tenere unito il Paese, a contribuire per la mia parte a tenere unito il Paese”.
     Perché questo ennesimo richiamo al rispetto delle istituzioni? Evidentemente il Capo dello Stato rileva segni preoccupanti di sfaldamento che alterano le condizioni della vita democratica mettendo in discussioni non già le scelte della politica, come è naturale che sia, ma il ruolo e le funzioni delle istituzioni che possono ovviamente essere riformate ma meritano rispetto per la funzione che svolgono per il funzionamento della democrazia nel nostro Paese.
     Quando il Capo dello Stato si riferisce alle istituzioni evidentemente ha a mente quelli che Montesquieu chiamava i “poteri” dello Stato, quelli che esprimono la funzione legislativa, quella amministrativa, quella giudiziaria.
     Non è dubbio che oggi, spesso, troppo spesso le istituzioni siano oggetto di aggressioni scomposte, non per una critica giusta e necessaria in un ordinamento libero alle decisioni assunte nell’esercizio delle funzioni proprie dei poteri, alle leggi, ai provvedimenti del Governo, alle sentenze della magistratura. In particolare, infatti, la magistratura viene giornalmente delegittimata agli occhi dei cittadini in quanto additata da alcuni come espressione politica, struttura parallela di partiti politici. Il tiro di tanto in tanto è aggiustato dicendo che “parte” della magistratura è politicizzata, che “alcuni” Pubblici Ministeri svolgerebbero con le loro inchieste un ruolo obiettivamente politico.
     Queste aggressioni, vere e proprie aggressioni se condotte da parte di persone che hanno responsabilità di governo, cioè di soggetti la cui attività è sottoposta al controllo di legittimità della Magistratura, costituiscono una inammissibile ingerenza, al limite dell’eversione.
     Questo, io credo, voglia dire il Capo dello Stato che assiste, fio giorno in giorno, a critiche corrosive a singole iniziative giudiziarie e, di contro, ad esaltazione di sentenze che fanno comodo.
     Il fatto di giudicare una sentenza secondo l’interesse personale di questo o quel politico è espressione di una negazione del ruolo delle istituzioni  che in fin dei conti rivela una scarsa considerazione delle regole della democrazia e dello stato di diritto. Non da uomini politici nel senso più altro dell’espressione che sottolinea la funzione della politica rispetto alle esigenze della comunità, ma da capi di fazioni che curano gli interessi propri e della propria parte.
24 marzo 2010

La nuova Italia Anticristiana
di Bruno Lago

     Un bel pezzo l’ editoriale del Prof. Galli Della Loggia sul Corriere della Sera del 21 marzo, che ha avuto il merito di richiamare l’attenzione sulla crescente secolarizzazione delle società europee (culminata qualche tempo fa nel dibattito sulle radici giudaico- cristiane del continente poi escluse dal testo della Costituzione europea) e soprattutto sulle correnti di pensiero sempre più prevalenti nel nostro Paese fortemente ostili alla Chiesa Cattolica.
     Il dibattito si è subito acceso e già lunedì altri autorevoli commentatori, religiosi, politici e storici sono intervenuti dividendosi tra sostenitori delle tesi di Galli Della Loggia e critici che non ritengono che si possa parlare di accresciuta ostilità verso la Chiesa.
     Vorrei commentare anche io l’articolo, non per iscrivermi all’una o all’altra di queste fazioni, ma da un’angolatura diversa, quella di chi si aspettava dallo storico un contributo divulgativo nei confronti del grande pubblico circa il ruolo della Chiesa, per non rimanere solo al livello di una disquisizione fra intellettuali.
     Nel suo fondo l’illustre editorialista scrive che in particolare in Italia è in atto un attacco distruttivo che imputa alla Chiesa Cattolica tutta una serie di colpe con “?un radicalismo enfatico nutrito d’acrimonia? una contestazione sul terreno dei principi, un chieder conto dal tono oltraggiato e perentorio che dà tutta l’idea di voler preludere ad una storica resa dei conti”. Il Prof. Galli Della Loggia si dice colpito, anche se come non credente, dalla “ovvietà ideologico culturale della posizione anticristiana, la sua facile diffusione, oramai anche in ambienti e strati sociali non particolarmente colti ma medi , anche popolari”.
     L’editorialista cita tre motivi più significativi “dietro questa grande trasformazione dello spirito pubblico del Paese?. Al primo posto l’ingenuità modernista, l’illuminismo divenuto chiacchiera da bar?.modernità sembra voler dire che gli unici limiti legittimi sono quelli che ci poniamo noi stessi. Le vecchie autorità sono tutte morte e al loro posto ha diritto a sedere solo la Scienza”. Il secondo motivo è che “la Chiesa e tutto ciò che la riguarda ricadono nella condanna liquidatoria del passato che in Italia si manifesta in una ampiezza che non ha uguali?. pensare in termini storici sta diventando una rarità?Sempre più diffusi? l’ignoranza della storia e l’antistoricismo, l’applicazione dei criteri di oggi sui fatti di ieri: da cui la ridicola condanna di tutte le malefatte ?..addebitabili al Cristianesimo, a maggior gloria di un eticismo presuntuoso che pensa di avere l’ultima parola su tutto”. Il terzo motivo “il cinismo secolare dell’antropologia italiana che appena sente predicare il bene sospetta subito il male. Quel feroce tratto nazionale che per principio non può credere in alcuna cosa che cerchi la luce che miri oltre e tenga lo sguardo rivolto in alto , perché ha sempre bisogno di abbassare tutto alla sua bassezza”.
     Certamente un editoriale di notevole spessore, degno di un grande intellettuale che bolla con disprezzo e sarcasmo i luoghi comuni della ” intellighenzia” anti cristiana che tanta presa ha su un pubblico smemorato, ancora intriso di ideologie vetero-marxiste e pronto ad inseguire le mode. Un pubblico che poi, paradossalmente, rimane in rispettoso silenzio di fronte ad eventi eccezionali come l’agonia e la morte di Giovanni Paolo II, accorgendosi con stupore della partecipazione del mondo per la grandezza dell’Uomo, con la Sua fede in Dio ed i Suoi insegnamenti.
     Peccato però che, come dicevo all’inizio, il Prof. Galli Della Logica non abbia voluto fare nel suo pezzo anche un po’ di “divulgazione” storica per contrastare i pregiudizi anti-cristiani diffusi in buona parte dell’opinione pubblica, che raffigurano la Chiesa come un’organizzazione retriva e sorda ad istanze di modernità, nel nome di una fede che teme la ragione, il progresso scientifico e le istanze della società moderna. Per questo sarebbe stato utile ricordare ai lettori meno colti o informati il ruolo ed il contributo fondamentale del Cristianesimo e della Chiesa Cattolica nella formazione della civiltà occidentale, proprio partendo da quella concezione unica sin dalle origini del mondo cristiano della dignità di ogni essere umano in quanto figlio di Dio, il valore di base delle moderne democrazie che rende tutti gli uomini uguali. Lo stesso diritto occidentale è figlio del diritto canonico che fu il primo sistema legale moderno europeo. Il diritto internazionale poi si è sviluppato attorno alle intuizioni di Padre de Vitoria, un sacerdote spagnolo preoccupato della tutela dei diritti degli indios del Nuovo Mondo schiacciati dagli interessi delle nuove potenze coloniali.
     Più in generale, perché non ricordare al grande pubblico che è stata la Chiesa cattolica a preservare e tramandare la cultura attraverso la tradizione monastica dopo la caduta dell’impero romano, fondando nel tempo università in tutta l’Europa e consentendo un dibattito intellettuale libero ed esaltando la ragione umana ed il rigore e la razionalità degli studi? Quanti sanno che i monaci avevano creato una rete di fattorie modello, centri di allevamento, laboratori di erboristeria medicinale contribuendo a migliorare la qualità della vita delle popolazioni? Che dire poi dei grandi contributi scientifici, spesso dimenticati, dove molti religiosi sono stati i capostipiti di nuove scienze come la geologia e la sismologia, o anche nella fisica visto che il padre della teoria atomica moderna era un gesuita? Abbiamo dimenticato che l’astronomia è stata sostenuta ed incoraggiata dalla Chiesa dal tardo Medioevo fino all’Illuminismo come dimostrato dal fatto che molti crateri lunari portano il nome di scienziati o matematici gesuiti che per primi li avevano osservati? Anche le opere di carità della Chiesa hanno rappresentato la base di un sistema di assistenza sociale poi sviluppato dagli Stati, la creazione di ospedali, con lo sviluppo della medicina e l’assistenza agli infermi, sempre a tutela dei più deboli. Attività in cui la Chiesa è ancor oggi fortemente impegnata con migliaia di religiosi, di parrocchie che assistono e prestano servizi alla popolazione sul territorio, spesso supplendo alle carenze del welfare statale.
Ricordare queste cose non significa sostenere che la Chiesa non abbia commesso degli errori per i comportamenti e la responsabilità di singoli suoi esponenti. Ma gli errori sono certamente irrilevanti rispetto al contributo determinante offerto dalla Chiesa attraverso i secoli alla società civile sia come portatrice di valori morali che ispiratrice di un ordinamento sociale teso al progresso umano. Peccato che parte di questa società civile si riveli oggi in modo crescente “anti cristiana” – come sostiene Galli Della Loggia – per ragioni ideologiche e morali o peggio perché influenzata da quanti sono portatori di interessi di parte.
24 marzo 2010

 ” L’Europa giace, sui gomiti appoggiata:
da Oriente a Occidente giace, fissando,
Il volto con cui fissa è il Portogallo”
 (Fernando Pessoa: ” Mensagem “, 1934)

Strategia Europa 2020
di Europeo*  

Strategia di Lisbona 2000-2010, Trattato di Lisbona, nuova strategia di Lisbona, cioè strategia Europa 2020.
I versi del grande poeta lusitano suonano profetici. C’è qualcosa di incompiuto ancora, c’è  continuità nella incompiutezza,  in Europa c’è la prosecuzione di ciò che negli anni ’30 del secolo passato Fernando Pessoa osservava?. da Lisbona: l’Europa giace.
Quel qualcosa ora porta  praticamente da 10 anni e si spera non  definitivamente –  e solo per un gioco di parole ? – il nome di Lisbona in ogni nuovo passaggio della costruzione europea.
Comincia a prendere forma il sistema dei nuovi interventi europei per il prossimo decennio. Dopo la scarsa performance della Strategia di Lisbona del primo decennio del nuovo millennio.
La Commissione europea ha lanciato il 3 marzo 2010 la strategia Europa 2020 al fine di uscire dalla crisi e di preparare l’economia dell’UE per il prossimo decennio.
          La Commissione individua tre motori di crescita, da mettere in atto mediante azioni concrete a livello europeo e nazionale:
crescita intelligente (promuovendo la conoscenza, l’innovazione, l’istruzione e la società digitale)
crescita sostenibile (rendendo la nostra produzione più efficiente sotto il profilo delle risorse e rilanciando contemporaneamente la nostra competitività)
crescita inclusiva (incentivando la partecipazione al mercato del lavoro, l’acquisizione di competenze e la lotta alla povertà).
La strategia Europa 2020 delinea un quadro dell’economia di mercato sociale europea per il prossimo decennio, sulla base di tre settori prioritari strettamente connessi che si rafforzano a vicenda: crescita intelligente, sviluppando un’economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione, crescita sostenibile, promuovendo un’economia a basse emissioni di carbonio, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva, e crescita inclusiva, promuovendo un’economia con un alto tasso di occupazione, che favorisca la coesione sociale e territoriale.
I progressi registrati verso la realizzazione di questi obiettivi saranno valutati sulla base di cinque traguardi principali rappresentativi a livello di UE, che gli Stati membri saranno invitati a tradurre in obiettivi nazionali definiti in funzione delle situazioni di partenza:
– il 75% delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni deve avere un lavoro;
– il 3% del PIL dell’UE deve essere investito in R&S;
– i traguardi “20/20/20” in materia di clima/energia devono essere raggiunti;
– il tasso di abbandono scolastico deve essere inferiore al 10% e almeno il 40% dei     giovani deve avere una laurea o un diploma;
– 20 milioni di persone in meno devono essere a rischio di povertà.
Per raggiungere questi traguardi, la Commissione propone una serie di iniziative prioritarie. Realizzare queste iniziative è una priorità comune, che richiederà interventi a tutti i livelli: organizzazioni dell’UE, Stati membri, autorità locali e regionali:
– L’Unione dell’Innovazione – riorientare la politica in materia di R&S e innovazione in funzione delle sfide principali, colmando al tempo stesso il divario tra scienza e mercato per trasformare le invenzioni in prodotti.
– Youth on the move – migliorare la qualità e l’attrattiva internazionale degli istituti europei di insegnamento superiore promuovendo la mobilità di studenti e giovani professionisti.
– Un’agenda europea del digitale – trarre vantaggi socioeconomici sostenibili da un mercato unico del digitale basato sull’internet superveloce.
– Un’Europa efficiente sotto il profilo delle risorse – favorire la transizione verso un’economia efficiente sotto il profilo delle risorse e a basse emissioni di carbonio.
– Una politica industriale per la crescita verde – aiutare la base industriale dell’UE ad essere competitiva nel mondo post-crisi, promuovere l’imprenditoria e sviluppare nuove competenze.
– Un’agenda per nuove competenze e nuovi posti di lavoro – porre le basi della modernizzazione dei mercati del lavoro onde aumentare i livelli di occupazione e garantire la sostenibilità dei nostri modelli sociali a mano a mano che i figli del baby boom andranno in pensione
– Piattaforma europea contro la povertà – garantire coesione economica, sociale e territoriale aiutando i poveri e le persone socialmente escluse e consentendo loro di svolgere un ruolo attivo nella società.
La natura di Europa 2020 presuppone un livello più elevato di leadership e di responsabilità. La Commissione invita i capi di Stato e di governo ed assumere la titolarità di questa nuova strategia e ad approvarla in occasione del Consiglio europeo di primavera. Occorre inoltre potenziare il ruolo del Parlamento europeo.
          I metodi di governance saranno rafforzati affinché gli impegni vengano tradotti in azioni concrete in loco. La Commissione monitorerà i progressi. Le relazioni e le valutazioni nell’ambito di Europa 2020 e del “patto di stabilità e crescita” saranno elaborate contemporaneamente (pur rimanendo strumenti distinti) per migliorare la coerenza. In tal modo, le due strategie potranno perseguire obiettivi analoghi in materia di riforme pur rimanendo due strumenti separati.
Il Parlamento europeo il 10 marzo 2010 ha sollecitato un approccio più ambizioso alla crisi attraverso un maggior coordinamento delle politiche economiche nazionali, unito a sanzioni e incentivi per garantire l’attuazione della “strategia UE 2020”.
Chiede poi di assicurare la stabilità dell’euro, intensificare la vigilanza finanziaria, completare il mercato unico e sostenere le PMI. Ha chiesto inoltre di promuovere la formazione, riformare i sistemi di sicurezza sociale e aumentare la flessibilità dei lavoratori e dell’età pensionabile.
La precedente strategia di Lisbona 2000-2010 “non ha dato i risultati auspicati”, anche a causa dell’assenza di incentivi efficaci e di strumenti vincolanti a livello comunitario.
Ritenendo quindi che la strategia Europa 2020 dovrebbe fornire un approccio alla crisi economica “ambizioso, più coerente e mirato”, il Parlamento esorta l’abbandono del “metodo aperto di coordinamento” e chiede di ricorrere a tutte le pertinenti disposizioni del trattato di Lisbona “per coordinare le riforme economiche e i piani d’azione degli Stati membri”. Invita poi la Commissione a proporre nuove misure e “possibili sanzioni” per gli Stati membri che non
attuano la strategia UE 2020 e incentivi per quanti invece lo fanno.
I governi dovrebbero anche indicare come utilizzano i fondi UE per conseguire gli obiettivi stabiliti, mentre i finanziamenti dell’Unione “dovrebbero essere subordinati ai risultati e alla compatibilità con gli obiettivi della strategia”.
Sulla scorta della comunicazione della Commissione “Europa 2020”, il Consiglio europeo del 25-26 marzo 2010 sarà invitato ad esprimere il suo accordo sul quadro generale della nuova strategia dell’Unione per la crescita e l’occupazione. In particolare sarà invitato a mettere a punto la governance della strategia e a convenire un numero limitato di obiettivi quantitativi a livello dell’UE, che saranno successivamente tradotti in obiettivi nazionali differenziati.
In tale ambito il Consiglio europeo valuterà gli sforzi che l’Unione europea e gli Stati membri stanno compiendo per far fronte all’attuale crisi economica. Rivestono particolare importanza al riguardo questioni quali l’attuazione di strategie di uscita coordinate ed i progressi, sia a livello dell’UE, sia su scala globale, in settori determinanti quali la vigilanza e la regolamentazione finanziarie.
Ben Bernanke , presidente della Fed, dice che ” il destino dell’economia mondiale e’ legato alle fortune di poche gigantesche banche “.
Forse siamo riusciti ad evitare l’apocalisse atomica. Non sappiamo ancora come affrontare l’apocalisse ecologica. Ma rischiamo di soccombere all’apocalisse bancaria-economica.
L’Unione Europea non sa che cosa fare con il piccolo levantino imbroglio greco. E se arriva il turno dei grandi imbrogli continentali?
Come rimediarvi?  non vi e’ traccia di diagnosi in Europa 2020.
C’è qualche stato europeo che vince alla lunga in questo gioco?  “Politics as usual ” mentre il Titanic affonda? C’e’ il tempo per evitare l’iceberg?
A  60 anni dalla Dichiarazione Schuman aspettiamo ancora  lo stato federale europeo capace di decidere in modo democratico.
Il  nazionalismo continua a  far  da guardia ai bidoni degli stati nazionali. Ritardando l’arrivo della federazione europea, il nazionalismo impedisce la bonifica degli stessi stati.
23 marzo 2010

P.S. Con lo pseudonimo di Europeo inizia la collaborazione a Un Sogno Italiano un nostro amico, docente universitario di economia internazionale, europeista convinto ed entusiasta delle migliori performance dell’Unione. Le sue riflessioni sono, come sempre, puntuali e tempestive, proiettate verso l’Europa che verrà e che auspichiamo.

Lo Stato, le istituzioni, i partiti
di Salvatore Sfrecola

     Nella democrazia che ricerca il consenso sulle emozioni più che sulla ragione e sulle ideologie, la piazza, l’esibizione “muscolare”, come ha scritto oggi Senator, è essenziale per gestire il consenso. E’ la piazza che stabilisce quanti sono convenuti, non la Questura. E se questa dice che a San Giovanni erano intorno a 150 mila  è chiaro che per gli elettori del Popolo della Libertà sono oltre un milione, come ha detto il leader carismatico. Il quale ha anche dato dei messaggi che guardano al futuro, alle riforme  che sostituiscono la ragione della discesa in campo di Berlusconi. In primo luogo quelle che dal consenso assumono la forza per governare. Infatti in questi ultimi giorni, e sulla piazza, il Cavaliere è tornato a chiedere l’elezione “diretta” del Presidente della Repubblica o del Presidente del Consiglio.
     Evidentemente le due ipotesi di riforma non sono equivalenti, nel senso che non incidono nello stesso modo sul sistema costituzionale.
     Nella nostra Costituzione il Presidente della Repubblica ha funzioni di garanzia super partes. Lo è stato nel comportamento concreto di tutti i Capi dello Stato, anche quando hanno avuto alle spalle una militanza partitica significativa. Saragat è stato Segretario del Partito socialdemocratico, Pertini un  rilevante esponente del Socialismo. Così Napolitano, anche se ha sempre svolto il ruolo di “Padre Nobile” del Partito Comunista Italiano e dei partiti che gli sono succeduti. Sono stati tutti figli della Costituente che quel ruolo di garanzia e di equilibrio ha disegnato, fin dalle norme che hanno stabilito il sistema di elezione del Presidente.
     Questo vuol dire che l’elezione diretta del Presidente della Repubblica sarebbe destinata a modificare radicalmente il ruolo del Capo dello Stato, tanto è vero che chi la chiede parla di presidenzialismo o semipresidenzialismo. Una scelta che ha rilevanti controindicazioni, nel senso che farebbe del Presidente della Repubblica non più il garante imparziale ma una parte, non più l’arbitro ma un giocatore, il capitano della maggioranza.
     Va bene se si ritiene che un arbitro non serva. Se si opta per consegnare le istituzioni ad una determinata maggioranza, con tutte le conseguenze che ne derivano nella gestione del potere, considerato che le scelte di chi governa sono solo alla lontana racchiuse nell’indirizzo politico elettorale che ha determinato la maggioranza. Nel senso che le linee programmatiche dei partiti sono sempre piuttosto generiche e non conoscono i dettagli che poi vengono messi in campo nella legislazione e nell’amministrazione. Un esempio per comprendere. Il taglio delle intercettazioni, che Berlusconi propone da anni non è certo che sia condiviso dagli elettori del Popolo della Libertà, considerato che l’esperienza ha dimostrato che senza intercettazioni non si combattono alcuni reati. Per tutti la corruzione, ma anche la pedofilia, il sequestro di persona, ecc..
     Dunque il Berlusconi che assume di poter perseguire tutti gli obiettivi della sua politica per aver avuto il consenso elettorale non può dimostrare che quei voti sono andati a lui anche perché avrebbe proposto di spuntare un’arma essenziale contro il malaffare. Magari al grido “non vogliamo essere spiati!”. Ma chi non vuole essere spiato. Non certo il cittadino comune che al massimo racconta per telefono le barzellette o parla delle corna dell’amico. Non vogliono essere spiati coloro i quali hanno da dire cose indicibili!
       Diversa è l’ipotesi di eleggere direttamente il Presidente del Consiglio. Può essere una scelta funzionale al tipo di democrazia maggioritaria, tendenzialmente stabile, dal momento che il Capo del Governo sarebbe individuato nel leader della maggioranza, sia in caso di bipartitismo o di bipolarismo, nel senso che agli elettori fossero presentati due schieramenti, anche multipartitici, ma con un Presidente designato.
     Potrebbe essere una cosa buona sotto il profilo della stabilità dei governi, nel senso che la coalizione sarebbe costretta a rimanere coesa perché la sua crisi determinerebbe la caduta del governo e, quindi, difficoltà di riproposizione del medesimo schieramento con lo stesso leader.
     In questo caso appare ancora evidente l’utilità di un Presidente della Repubblica super partes a   garanzia del buon funzionamento delle istituzioni che sono di tutti, non solo di chi in quel momento governa.
     Il tema va approfondito allo scopo di assicurare quei contrappesi che consentono, di fronte ad un potere esecutivo forte, il rispetto delle regole della democrazia e la dialettica parlamentare.
     Un tema per i prossimi mesi, dopo le regionali. Un tema che potrà tornare utile riprendere ma che sarà condizionato inevitabilmente dall’esito delle elezioni. Perché un diverso equilibrio anche all’interno della coalizione, con Fini che guarda a Casini ed all’ipotesi di un più ampio centro, potrebbe  mandare in soffitta tanto il progetto presidenzialista quanto quello semipresidenzialista, tanto il premierato forte, d’ispirazione germanica.
21 marzo 2010

Berlusconi: la piazza e l’incubo delle urne
di Senator

     Comunicatore come pochi Silvio Berlusconi va in piazza per galvanizzare il suo elettorato che sente sfuggirgli dopo le vicende delle liste respinte dai giudici, ancora ieri sera. Perché l’attacco alla magistratura, che ha costantemente caratterizzato la sua azione “politica” dal 1994, comincia a dimostrare i suoi limiti. Passi per i Pubblici Ministeri “di sinistra”, che lo accusano di reati che, tutto sommato, sono tipici degli imprenditori, ma sulle liste si sono pronunciati la Corte d’Appello, i Tribunali amministrativi regionali di Milano e Roma e il Consiglio di Stato. Tutti “di sinistra”? Certamente no e la gente lo sa, lo capisce.
     Ma il Premier insiste, deve insistere, deve mantenere il punto, anche per distrarre l’opinione pubblica dalle difficoltà del momento, tra riduzione dei posti di lavoro e dei consumi (oggi Repubblica titola “si taglia anche il caffè al bar”). E proclama dal palco di San Giovanni che sono più di un milione i partecipanti alla manifestazione, che secondo la Questura (un organo del Governo) erano appena 150 mila. Come 25 mila erano quelli che applaudivano Bersani e Di Pietro qualche giorno fa a piazza del Popolo.
     Il Cavaliere mostra i muscoli ma teme le urne perché legge i sondaggi, come ha detto Pierferdinando Casini, e sa che non sono buoni, che la gente è preoccupata e non si accontenta più delle promesse o delle affermazioni indimostrate e indimostrabili nelle quali il Presidente del Consiglio “migliore degli ultimi 150 anni della storia d’Italia” si avventura impunemente sfruttando abilmente il mezzo televisivo.
     Qualche brandello di verità comincia ad emergere sui giornali “vicini”. Si comincia parlare di “incapaci”, troppi al governo e dintorni. Un dato denunciato da questo giornale dalla sua fondazione.
     In verità l’unico dato certo è l’incapacità dell’opposizione di rappresentare un’alternativa valida. Un po’ perché quando è andata al governo ha prodotto poco o niente, un po’ perché continua la stanca litania dei luoghi comuni che una forza che vuol essere alternativa non può premettersi se vuole conquistare il governo.
     Ma le preoccupazioni di Berlusconi vanno al di là del voto, al dopo. Quanto, a conti fatti, sarà evidente che la Lega raccoglierà, non solo al Nord, vasti consensi, frutto di una politica accorta, di vicinanza alla gente e di capacità di governo delle realtà locali, quelle dove si misura la rispondenza dell’azione di regioni, province e comuni alle esigenze quotidiane delle popolazioni, fatte di servizi e di vivibilità delle città. Con una moralità mediamente superiore a quella delle altre formazioni politiche.
    All’aumento della Lega, al probabile successo dell’UDC e al malessere degli ex di Alleanza Nazionale, che fanno tanto pensare ad una possibile scissione dal Partito della Libertà, Berlusconi non ha argomenti. Sono suoi alleati e deve far buon viso a cattivo gioco, nonostante veda in prospettiva un pericolo concreto, quello della formazione di un nuovo centro, da Bossi a Casini, passando per Fini (a proposito il Presidente della Camera non era sul palco di San Giovanni), che limiterebbe molto la sua leadership e le sue ambizioni quirinalesche.
     Ce n’è abbastanza per turbare i sonni del Cavaliere, che certamente avrà più voti di quelli che la sua politica di questi anni meriterebbe, ma sempre meno di quelli che gli servono per andare avanti nelle riforme che, come ha rimarcato ancora una volta Casini, non riesce a fare, nonostante la forte maggioranza che il PdL vanta in Parlamento. Sintomo di malessere ma anche della inadeguatezza di una compagine “inventata” dal leader, raccogliticcia fatta di amici e di amici di amici, fedelissimi, tutti. Quel che conta. Che poi sappiano fare ministri, sottosegretari, deputati, senatori, assessori, ecc., è una variabile residuale, come dice un mio amico esperto di economia e di statistiche.
21 marzo 2010

Presentato a Perugia il Libro sulla Responsabilità della P.A. e del pubblico dipendente, di F. Palmieri, S. Sfrecola e P. M. Zerman
di Gianni Torre

     Moderato dalla Professoressa Antonietta Confalonieri, si è svolto ieri a Perugia,  il preannunciato convegno di studio sulla Responsabilità della P.A. e del pubblico dipendente, organizzato dall’Unione Forense e da Il Sole 24 Ore,  nel corso del quale è stato presentato l’omonimo libro scritto da Fiammetta Palmieri, magistrato di tribunale in servizio presso il Dipartimento per gli Affari Giuridici e Legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri,  Salvatore Sfrecola, Vice procuratore generale della Corte dei conti e nostro direttore, e  Paola Maria Zerman, Avvocato dello Stato che ha anche curato il coordinamento del testo.
     In una sala affollatissima, messa a disposizione dalla  Fondazione della Cassa di Risparmio di Perugia, in corso Vannucci, i lavori si sono aperti con le relazioni degli Autori alle quali hanno fatto seguito interventi di grande spessore del Procuratore Generale della Corte dei conti, Mario Ristuccia, che nella mattinata aveva visitato la Procura regionale dell’Umbria, del Presidente del Tribunale Amministrativo Regionale dell’Umbria, Piergiorgio Lignani, del Presidente della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti, Lodovico Principato, del Giudice Daniele Cenci, del Tribunale di Perugia, del  Prof. Daniele Mantucci, Ordinario di Istituzioni di diritto privato nell’Università delle Marche.  Ha portao il suo saluto il Procuratore regionale della Corte dei conti per l’Umbria, Agostino Chiappiniello.
     Pubblico attentissimo, molti magistrati, avvocati, il Consiglio dell’Ordine aveva assicurato ai partecipanti quattro crediti formativi, rappresentanti delle Forze di Polizia, Finanza e Carabinieri, il Convegno è stato guidato  con grande abilità dalla Professoressa Confalonieri, docente di Procedura penale,  la quale oltre a stimolare l’attenzione dei presenti sulle tematiche oggetto dell’incontro e del libro ha saputo raccordare i vari profili della responsabilità della P.A. seguendo gli interventi dei relatori.
     Mario Ristuccia, Procuratore generale della Corte dei conti, una lunga esperienza nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali della Corte dei conti (è stato Presidente della Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, responsabile del Massimario e direttore della Rivista della Corte dei conti), ha fatto il punto sull’evoluzione normativa in tema di giustizia contabile, delineando gli spazi che le leggi e la giurisprudenza della Corte dei conti  riservano alle fattispecie di danno di cui conosce la Corte dei conti.
     Molto interessi ha riscosso la relazione del Presidente del T.A.R., Lignani, il quale ha ricostruito la vicenda della risarcibilità dei danni da lesioni di interessi legittimi, dopo la nota sentenza n. 500 delle Sezioni Unite della Cassazione che l’ha ammessa, fino alla vicenda della cosiddetta pregiudiziale amministrativa, quale condizione per il risarcimento, che vede su posizioni contrapposte Cassazione e Consiglio di Stato.
     Lignani ha indicato, con rigore logico, quali secondo la sua visione delle complesse problematiche sono i limiti alla risarcibilità delle lesioni di interessi legittimi, considerato il ruolo di tutela degli interessi generali che spetta alla Pubblica Amministrazione.
     Il Presidente Principato, che presiede la Sezione giurisdizionale dell’Umbria, in una corposa relazione, nella quale ha spaziato sulla giurisprudenza più significativa in tema di società pubbliche, specialmente di quelle create dagli enti locali. Ha richiamato l’esigenza di non abbandonare, anzi di perfezionare ed aggiornare il controllo sui conti di quanti gestiscono denaro pubblico.
     Di Daniele Cenci è piaciuto al vasto uditorio la rivendicazione del ruolo del magistrato, dell’equilibrio con il quale deve esercitare la funzione giurisdizionale affermando che la giustizia deve essere credibile ma anche prevedibile, nel senso che chi viola la legge deve sapere che dovrà subire una sanzione, senza le incertezze che troppo spesso caratterizzano la Giustizia italiana.
     Daniele Mantucci, civilista con una vasta esperienza amministrativa (è stato anche Difensore Civico di Foligno) ha   parlato del rapporto tra cittadino ed amministrazione auspicando che si possa giungere ad un rapporto connotato dall’imparzialità e della trasparenza.
     Si replicherà ancora in altre città. Il tema della responsabilità della P.A. è di grande interesse, per le conseguenze di fatti lesivi di diritti e di interessi che riguardano l’Amministrazione ed i propri dipendenti quando questa denuncia alle Procure regionali della Corte dei conti i danni che con dolo o colpa grave sono stati commessi da amministratori e impiegati.
17 marzo 2010

Forte malcontento negli ambienti della destra spagnola nei confronti di Berlusconi per il salvataggio del Gruppo Prisa
di Senator

     Madrid 13 marzo 2010 – Mancavo dalla Spagna da alcuni mesi. Incontrando amici del Partido Pupular  ho potuto constatare non solo che perdura la scarsa considerazione per il nostro Paese, che avevo potuto verificare anche dalla lettura dei giornali, ma un vero e proprio malcontento negli ambienti della destra e del centro (e cattolici), furibondi e letteralmente disgustati per  l’intervento di salvataggio che Mediaset ha effettuato nei confronti del Gruppo Prisa (Canale 4 – El Pais – etc.) non solo perché notoriamente di sinistra ma anche perché ha sempre duramente attaccato Berlusconi e l’Italia! E’ guerra aperta tra i popolari ed il Gruppo. Infatti, nessun rappresentante del Pp parteciperà a nessun titolo a trasmissioni televisive, radiofoniche o rilascerà dichiarazioni a giornalisti del Gruppo Prisa. Le prenotazioni di spazi pubblicitari sui media del Gruppo sono state tutte annullate
     Il salvataggio è considerato una vera e propria coltellata alle spalle dell’alleato Partido Popular. Un aiuto, in sostanza a  Josè Luis Rodriguez Zapatero oggi in grave difficoltà per la crisi economica che il Governo spagnolo ha fin qui gestito con evidente superficialità.
     Tutti si chiedono dove finisca l’operazione finanziaria e dove comincia una scelta politica del Presidente imprenditore che sim esalta per la sua partecipazione al Partito Popolare Europeo dove siedono i parlamentari spagnoli di Josè Maria Aznar eMariano  Rajoy.
     Un’operazione spregiudicata, certamente, dagli esiti finanziari che non siamo in condizione di valutare ma dalle conseguenze gravissime sul piano dell’immagine politica.

Haiti: è nato Jim Malte!

     Appena ha dato alla luce il proprio bambino nel centro medico di Darbonne, una giovane mamma haitiana ha deciso di chiamarlo Jim Malte in omaggio alle cure ricevute dal Corpo di soccorso internazionale dell’Ordine di Malta. Il piccolo Jim, tra gli ultimi nati della capitale dell’isola, è infatti tra gli assistiti del Malteser International, che ha concentrato l’azione di soccorso umanitario e sanitario in primo luogo verso i bambini, gli orfani e le mamme in difficoltà sopravvissute al sisma che ha provocato 200mila morti ed oltre un milione di senzatetto.
     Il Corpo di soccorso dell’Ordine ha assistito nei primi due mesi oltre 7.000 superstiti tra la capitale Port-au-Prince e le cittadine di Léogane e Darbonne. In collaborazione con i partner locali, i volontari dell’Ordine sono riusciti a distribuire cibo, saponi, materassi, coperte e generi di prima necessità a più di 1.000 sopravvissuti e a 90 bambini di un orfanotrofio che è stato completamente raso al suolo dal sisma a Léogane. A Petit Guave, insieme all’organizzazione Arche Nova, il Malteser International assicura l’acqua potabile a 700 famiglie. A Milot, nel nord del Paese, dove l’Ordine sostiene da molti anni l’ospedale Sacre Coeur, i volontari distribuiscono ogni giorno migliaia di razioni di cibo ai feriti del terremoto e alle loro famiglie, che hanno trovato rifugio nel centro medico.
13 marzo 2010

Al peggio non c’è mai fine!

     “Così un uomo mediocre, grossolano, di eloquenza volgare ma di facile effetto, è un perfetto esemplare dei suoi contemporanei. Presso un popolo onesto, sarebbe stato tutt’al più il leader di un partito di modesto seguito, un personaggio un po’ ridicolo per le sue maniere, i suoi atteggiamenti, le sue manie di grandezza, offensivo per il buon senso della gente a causa del suo stile enfatico e impudico. In Italia è diventato il capo del governo. Ed è difficile trovare un più completo esempio italiano”.
     “Ammiratore della forza, venale, corruttibile e corrotto, cattolico senza credere in Dio, presuntuoso, vanitoso, fintamente bonario, buon padre di famiglia, ma con numerose amanti; si serve di coloro che disprezza, si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, di profittatori; mimo abile, e tale da fare effetto su un pubblico volgare, ma, come ogni mimo, senza un proprio carattere, si immagina sempre di essere il personaggio che vuole rappresentare.”
Elsa Morante
(Qualunque cosa abbiate pensato, il testo, del 1945, si riferisce al Cavalier  Benito Mussolini)

P.S. C’è da dire che rileggendo la storia e facendo qualche confronto potremmo dire, richiamando un proverbio tramandatoci dalla saggezza popolare, che “al peggio non c’è mai fine”, enunciazione ricorrente se ad una ricerca su Google i risultati che ci dà sono 672.000   in 0,24 secondi!
13 marzo 2010

Dum Romae consulitur…
di Salvatore Sfrecola

Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur, mentre a Roma si discute, Sagunto è espugnata (Tito Livio, Storie, XXI, 7). La locuzione sconsolata pronunciata dagli ambasciatori di Sagunto che, giunti a Roma, chiedevano un intervento dell’esercito romano per respingere l’assedio del generale Cartaginese Annibale Barca alla città provocò a Roma lunghe discussioni finché la città spagnola, costretta alla resa, fu rasa al suolo, torna in mente a sentire le parole di Emma Marcegaglia, Presidente di Confindustria, con “Un richiamo forte alla politica” dai microfoni del Tg2.
La politica, secondo la leader di Confindustria, trascura di occuparsi della crisi e dell’impatto su imprese e lavoratori. Nell’intervista, la Marcegaglia sottolinea che in questi giorni nel dibattito politico si impone l’acceso clima preelettorale e così “non si sente più parlare di crisi, economia, crescita, dei problemi delle imprese e soprattutto dell’occupazione e dei lavoratori”. Mentre sarebbe “necessario e urgente prendere decisioni per tornare a crescere”.
“Siamo preoccupati e delusi – ha detto – perché l’economia italiana va ancora male ed è necessario e urgente prendere decisioni per tornare a crescere”.
Parole da sottoscrivere  se “a pochi giorni dalle elezioni non si sente più parlare di programmi”, neppure degli interventi per sostenere la crescita, le imprese e l’occupazione”. Il tema “è scomparso dal dibattito politico”.
“Nel 2009, anno di una crisi devastante, abbiamo guardato poco al futuro perché dovevamo gestire l’emergenza, insieme ovviamente al governo e ai sindacati. Abbiamo avuto – dice la Presidente di Confindustria – un grande senso di responsabilità, abbiamo lavorato sugli ammortizzatori sociali, e sul credito, però oggi diciamo che è necessario concentrarsi sulla crescita perché e proprio questo che ci chiedono le imprese e i lavoratori”.
A volte sembra che le difficoltà che la crisi porta con se, di difficile soluzione, vengano accantonate a bella posta, per distrarre l’attenzione, per non far percepire che, in realtà, le idee sono scarse e, all’evidenza, insufficienti.
Così ogni occasione è buona per indirizzare l’attenzione dell’opinione pubblica verso obiettivi politici che sembrano enfatizzati a bella posta.
E’ accaduto spesso, non solo in Italia. A volte distrarre l’opinione pubblica serve ad allentare la tensione sui problemi dell’economia e del lavoro. Può essere una scelta saggia, se non diminuisce l’impegno sulle cose da fare. Per farle.
Se non è così, se si ricerca la distrazione dell’opinione pubblica per nascondere insufficienze di proposta e di realizzazione vuol dire che è necessario cambiare uomini e metodi. Subito.
10 marzo 2010

Consiglieri pasticcioni
di Salvatore Sfrecola

Valerio Onida, già Presidente della Corte costituzionale, intervenendo nei mesi scorsi ad un convegno di studio organizzato da ASTRID ha detto che mai dagli uffici delle amministrazioni erano usciti testi normativi tanto tecnicamente modesti. Eppure Gabinetti ed Uffici legislativi sono pieni di dirigenti di valore ed a dirigerli sono stati chiamati, Avvocati dello Stato e magistrati, ordinari, del Consiglio di Stato e della Corte dei conti.
Come può accadere, dunque, che vedano la luce sulla Gazzetta Ufficiale testi che si potrebbe dire non avrebbe scritto neppure una matricola di giurisprudenza alle prime armi? Il fatto è che questi personaggi subiscono la pressione dei politici, non riescono a far fronte alle più invereconde richieste. Ritengono che il loro primo compito sia quello di tradurre in norme giuridiche la volontà del politico in quel momento al potere. Non di consigliarlo per il meglio ma di tradurre in norme, sia come sia, la volontà politica. E se questa è espressa da persone modeste ma intolleranti è evidente che anche il risultato sarà modesto, anzi modestissimo.
Perché questi consiglieri non si ribellano, perché non dicono ai loro referenti politici che quel che chiedono non si può fare o non si può fare come essi chiedono? L’impressione, per la mia conoscenza dell’ambiente, è che manchi in questi uomini, pur professionalmente dotati, il coraggio di contrastare i politici, di dir loro che quel che chiedono è incostituzionale oppure tecnicamente sbagliato.
Non hanno coraggio. Non vogliono rischiare il posto. E in questo senso sono quelli che io chiamo da tempo “cattivi consiglieri”, dei quali amano circondarsi i politici modesti.
Cattivi consiglieri e quindi anche pasticcioni, come è sotto gli occhi di tutti in questi giorni.
Lo ha ribadito oggi Massimo Franco nel suo fondo sul Corriere della Sera. “La sensazione sconfortante – ha scritto – è che il decreto sulle liste elettorali alla fine rischi di non servire a nulla. Finora non ha salvato quella del Pdl in provincia di Roma; e le altre due, di Roberto Formigoni in Lombardia e di Renata Polverini nel Lazio, sono state riammesse comunque dalla magistratura dopo i ricorsi. Insomma, la forzatura voluta dal centrodestra si è scontrata con il primato della legge regionale. La decisione presa ieri dal Tribunale amministrativo del Lazio complica la strategia di palazzo Chigi. Non è da escludersi per oggi un colpo di scena all’Ufficio elettorale di Roma, in attesa del Consiglio di Stato. Ma rimane la somma di pasticci giuridici e politici che la maggioranza è riuscita ad accumulare nella sua fretta di rimediare agli errori”.
” L’obiettivo di far votare tutti era e rimane giusto. Il modo in cui Silvio Berlusconi e la sua coalizione hanno cercato di perseguirlo si è rivelato subito così segnato dall’affanno da diventare scomposto”.
Un pasticcio, insomma, che può avere gravi conseguenze politiche, innanzitutto di disaffezione per questi politici che non sanno neppure presentare una lista, un adempimento che da sempre caratterizza l’azione dei partiti che intendono partecipare alla competizione elettorale. Allo stesso tempo l’accanimento dell’opposizione contro il partito dei pasticcioni, giusto sul piano di stretta legalità, appare troppo legato al desiderio di sfruttare fino in fondo l’insperata occasione di correre da soli.
A destra e a manca è una desolazione. Nei partiti, che non sanno presentare una lista e nei collaboratori tecnici che non sanno confezionare una credibile e decente normativa giuridica o suggerire altra soluzione costituzionalmente corretta.
Un pasticcio, un pasticciaccio brutto che peserà a lungo sulla nostra fragile democrazia che avrebbe bisogno di rinforzarsi, non già di rimanere impantanata nella palude del piccolo cabotaggio. Che non porta lontano. Anche gli scandali di questi giorni, le penose conversazioni di lestofanti capaci di tutto dimostrano che è calato perfino il livello dei mascalzoni e dei delinquenti.
9 marzo 2010

A proposito del decreto legge “interpretativo” del procedimento elettorale
Democrazia e legalità
di Salvatore Sfrecola

A conclusione della  querelle politico-giuridica connessa alla vicenda della contestata presentazione delle liste nel Lazio e in Lombardia con l’emanazione del decreto legge 5 marzo 2010 , n. 29, recante “Interpretazione autentica di disposizioni del procedimento elettorale e relativa disciplina di attuazione” s’impongono alcune riflessioni di metodo e di merito.
Leggiamo le premesse del decreto-legge, cioè i richiami alle norme ed i “ritenuto” e i “ravvisato”  che spiegano l’iter logico-giuridico seguito dagli autori del decreto-legge per spiegarne le ragioni e giustificarne le scelte, mai come in questa occasione fondamentali.
Alla base dell’iniziativa c’è il favor electionis “secondo i principi di cui agli articoli 1 e 48 della Costituzione che ha mosso l’iniziativa in relazione alla “straordinaria necessità e urgenza di consentire il corretto svolgimento delle consultazioni elettorali per il rinnovo degli organi delle Regioni a statuto ordinario fissate per il 28 e 29 marzo 2010 tramite interpretazione autentica degli articoli 9 e 10 della legge 17 febbraio 1968, n. 108, e dell’articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445”.
Nel rispetto, dunque, della necessità di assicurare ad un’importante competizione elettorale il confronto tra tutte le forze politiche che hanno manifestato la volontà di concorrere per l’assegnazione dei seggi nei consigli regionali del Lazio e della Lombardia il Governo ha ritenuto, ed il Capo dello Stato ha condiviso la scelta sotto il profilo del rispetto della Costituzione, che fosse possibile adottare norme di “interpretazione autentica” della normativa in tema di candidature “finalizzata a favorire la più ampia corrispondenza delle norme alla volontà del cittadino elettore, per rendere effettivo l’esercizio del diritto politico di elettorato attivo e passivo, nel rispetto costituzionalmente dovuto per il favore nei confronti della espressione della volontà popolare”.
In parole povere si è voluto affermare il principio che in una materia di rilevantissimo significato quale espressione della democrazia, come una competizione elettorale, la disciplina normativa vada interpretata in modo che alcune irregolarità meramente formali non influenti sulla volontà di chi manifesta la scelta di partecipare alle elezioni non siano ostative della validità delle candidature.
Il decreto legge precisa, in proposito, all’art. 1 che:
“Il primo comma dell’articolo 9 della legge 17 febbraio 1968, n. 108, si interpreta nel senso che il rispetto dei termini orari di presentazione della lista si considera assolto quando, entro gli stessi, i delegati incaricati della presentazione delle liste, muniti della prescritta documentazione, abbiano fatto ingresso nei locali del Tribunale. La presenza entro il termine di legge nei locali del Tribunale dei delegati può essere provata con ogni mezzo idoneo” (comma 1).
Al comma 2 si legge che “Il terzo comma dell’articolo 9 della legge 17 febbraio 1968,  n.108, si interpreta nel senso che le firme si considerano valide anche se l’autenticazione non  risulti  corredata  da  tutti  gli  elementi richiesti dall’articolo 21, comma 2, ultima parte,  del  decreto  del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n.  445,  purché  tali dati siano comunque desumibili in  modo  univoco  da  altri  elementi presenti  nella   documentazione   prodotta.   In   particolare,   la regolarità  della  autenticazione  delle  firme  non   è   comunque inficiata dalla presenza di una irregolarità meramente formale quale la  mancanza  o  la  non  leggibilità  del  timbro  della  autorità autenticante, dell’indicazione del luogo di  autenticazione,  nonché dell’indicazione della  qualificazione  dell’autorità  autenticante, purché’ autorizzata”.
     Il  comma 3 precisa che “Il quinto comma dell’articolo 10 della legge 17  febbraio  1968, n. 108, si interpreta nel senso che le  decisioni  di  ammissione  di
liste di candidati o  di  singoli  candidati  da  parte  dell’Ufficio centrale regionale sono definitive,  non  revocabili  o  modificabili dallo stesso Ufficio. Contro le decisioni di ammissione  può  essere proposto esclusivamente ricorso al Giudice amministrativo soltanto da chi vi abbia interesse. Contro le decisioni di eliminazione di  liste di candidati oppure di singoli  candidati  e’  ammesso  ricorso  all’Ufficio  centrale  regionale,  che  può  essere  presentato,   entro ventiquattro ore dalla comunicazione,  soltanto  dai  delegati  della lista alla quale la decisione  si  riferisce.  Avverso  la  decisione dell’Ufficio centrale regionale e’ ammesso immediatamente ricorso  al Giudice amministrativo”.
     Il comma 4 afferma che “Le disposizioni del presente articolo si  applicano  anche  alle operazioni  e  ad  ogni  altra  attività  relative   alle   elezioni regionali, in corso alla data  di  entrata  in  vigore  del  presente decreto. Per le medesime elezioni regionali i delegati che  si  siano trovati nelle condizioni di cui al  comma  1  possono  effettuare  la presentazione delle liste dalle ore otto alle  ore  venti  del  primo giorno non festivo successivo a  quello  di  entrata  in  vigore  del presente decreto”.
     Per spiegare la scelta il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si è rivolto  a due cittadini che l’hanno investito del problema in termini rappresentativi delle diverse possibili posizioni, il Signor Alessandro Magni, che lo aveva invitato  “a non firmare il decreto interpretativo” e la Signora M. Cristina Varenna che gli aveva scritto chiedendogli “di fare tutto quello che lei può per lasciarci la possibilità di votare in Lombardia chi riteniamo  ci possa rappresentare”, perché “se così non fosse, sarebbe un grave attentato al diritto di voto”.
“Egregio signor Magni, gentile signora Varenna, scrive il Presidente Napolitano, ho letto con attenzione le vostre lettere e desidero, vostro tramite, rispondere con sincera considerazione per tutte le opinioni dei tanti cittadini che in queste ore mi hanno scritto.
Il problema da risolvere era, da qualche giorno, quello di garantire che si andasse dovunque alle elezioni regionali con la piena partecipazione dei diversi schieramenti politici. Non era sostenibile che potessero non parteciparvi nella più grande regione italiana il candidato presidente e la lista del maggior partito politico di governo, per gli errori nella presentazione della lista contestati dall’ufficio competente costituito presso la corte d’appello di Milano. Erano in gioco due interessi o “beni” entrambi meritevoli di tutela: il rispetto delle norme e delle procedure previste dalla legge e il diritto dei cittadini di scegliere col voto tra programmi e schieramenti alternativi. Non si può negare che si tratti di “beni” egualmente preziosi nel nostro Stato di diritto e democratico.
Si era nei giorni scorsi espressa preoccupazione anche da parte dei maggiori esponenti dell’opposizione, che avevano dichiarato di non voler vincere – neppure in Lombardia – “per abbandono dell’avversario” o “a tavolino”. E si era anche da più parti parlato della necessità di una “soluzione politica”: senza peraltro chiarire in che senso ciò andasse inteso. Una soluzione che fosse cioè “frutto di un accordo”, concordata tra maggioranza e opposizioni?
Ora sarebbe stato certamente opportuno ricercare un tale accordo, andandosi al di là delle polemiche su errori e responsabilità dei presentatori delle liste non ammesse e sui fondamenti delle decisioni prese dagli uffici elettorali pronunciatisi in materia. In realtà, sappiamo quanto risultino difficili accordi tra governo, maggioranza e opposizioni anche in casi particolarmente delicati come questo e ancor più in clima elettorale: difficili per tendenze all’autosufficienza e scelte unilaterali da una parte, e per diffidenze di fondo e indisponibilità dall’altra parte.
Ma in ogni caso – questo è il punto che mi preme sottolineare – la “soluzione politica”, ovvero l’intesa tra gli schieramenti politici, avrebbe pur sempre dovuto tradursi in soluzione normativa, in un provvedimento legislativo che intervenisse tempestivamente per consentire lo svolgimento delle elezioni regionali con la piena partecipazione dei principali contendenti. E i tempi si erano a tal punto ristretti – dopo i già intervenuti pronunciamenti delle Corti di appello di Roma e Milano – che quel provvedimento non poteva che essere un decreto legge.
Diversamente dalla bozza di decreto prospettatami dal Governo in un teso incontro giovedì sera, il testo successivamente elaborato dal Ministero dell’interno e dalla Presidenza del consiglio dei ministri non ha presentato a mio avviso evidenti vizi di incostituzionalità. Né si è indicata da nessuna parte politica quale altra soluzione – comunque inevitabilmente legislativa – potesse essere ancora più esente da vizi e dubbi di quella natura.
La vicenda è stata molto spinosa, fonte di gravi contrasti e divisioni, e ha messo in evidenza l’acuirsi non solo di tensioni politiche, ma di serie tensioni istituzionali. E’ bene che tutti se ne rendano conto. Io sono deciso a tenere ferma una linea di indipendente e imparziale svolgimento del ruolo, e di rigoroso esercizio delle prerogative, che la Costituzione attribuisce al Presidente della Repubblica, nei limiti segnati dalla stessa Carta e in spirito di leale cooperazione istituzionale. Un effettivo senso di responsabilità dovrebbe consigliare a tutti i soggetti politici e istituzionali di non rivolgersi al Capo dello Stato con aspettative e pretese improprie, e a chi governa di rispettarne costantemente le funzioni e i poteri”.

Il decreto “salvaliste” non è passato inosservato anche in Vaticano. E Monsignor Domenico Mogavero, responsabile della Conferenza episcopale italiana per gli affari giuridici, ai microfoni della Radio Vaticana ha osservato che “cambiare le regole del gioco mentre il gioco è in corso è un atto altamente scorretto». «La democrazia – ha detto il vescovo – è una realtà fragile che ha bisogno di essere sostenuta e accompagnata da norme, da regole, altrimenti non riusciamo più a orientarci», se invece «dovesse essere diretta dall’arbitrio di qualcuno o se dovesse essere improvvisata ogni giorno mancherebbe la certezza del diritto, dei rapporti e delle prospettive». E ancora in merito ai problemi sorti in questi giorni ha osservato: «Non credo che in democrazia si possa fare una distinzione fra ciò che sono le regole e quello che è il bene sostanziale, le regole non sono un aspetto accidentale del vivere insieme, ma quelle che dettano il binario attraverso cui incamminarci”.
“La definizione giusta – ha detto Mons. Mogavero – è quella data dal Presidente della Repubblica quando ha parlato di un grandissimo pasticcio». «Le regole – ha detto ancora il vescovo di Mazara del Vallo – sono a garanzia e a tutela di tutti. A questo punto si legittima ogni intervento arbitrario con la motivazione che ragioni più o meno intrinseche o pertinenti mettono un gioco un valore, il valore della partecipazione oggi, e domani un altro valore». «Ci sono state leggerezze, manchevolezze, approssimazioni – ha rilevato mons. Mogavero – nell’affrontare il gioco democratico che non sono a favore di nessuno, forse siamo impreparati a una democrazia sostanziale”.
Che dire! E’ chiaro che le elezioni con un solo concorrente non costituiscono un confronto democratico, ma la responsabilità dell’errore è di chi è giunto tardi e con documentazione incompleta. Cosa significa, in sede di interpretazione autentica, che “la regolarità  della  autenticazione  delle  firme  non   è   comunque inficiata dalla presenza di una irregolarità meramente formale quale la  mancanza  o  la  non  leggibilità  del  timbro  della  autorità autenticante, dell’indicazione del luogo di  autenticazione,  nonché dell’indicazione della  qualificazione  dell’autorità  autenticante, purché’ autorizzata”.
Sul piano giuridico è una enormità, negazione palese delle regole più elementari che da sempre attengono alla forma dei documenti che sono identificabili proprio per quegli elementi formali che oggi vengono considerati sostanzialmente irrilevanti. E poi non c’è niente di interpretativo in questa norma. E’ innovativa, come quella che assume rispettato il termine di ingresso in Tribunale con un qualunque mezzo di prova.
E’ evidente che qualcosa non va nella decisione del governo. Come osserva la CEI. Infatti la responsabilità degli errori è dei rappresentanti del partito la cui lista è stata esclusa.
Tenerla fuori sarebbe stata una lesione della democrazia. Ma è evidente che la responsabilità ricade solo su chi ha sbagliato. E’ evidente, ma nessuno, in queste ore, lo ha detto nella forma e nei modi che avrebbe dovuto, anche perché per un valore altissimo come quello della democrazia ne è stato manomesso un altro, quello della legalità.
7 marzo 2010

Campidoglio, sala della Protomoteca
Paola Maria Zerman parla di famiglia e fisco

Successo di Paola Maria Zerman, Avvocato dello Stato ed apprezzata  collaboratrice de Un Sogno Italiano, ieri in un convegno sulla famiglia   organizzato dalla Professoressa Emilia Costa, docente di psichiatria nell’Università di Roma “La Sapienza”, che si è tenuto nella Sala della Protomoteca in Campidoglio, con la partecipazione di studiosi di varie discipline, come Giovanna Marcazzan, Giudice del Tribunale dei Minorenni, Paola Binetti, deputato e docente di neuropsichiatria infantile al Campus Biomedico di Roma. Ha moderato l’onorevole Marco Sciclari, intervenuto in rappresentanza del Sindaco, Gianni Alemanno, impegnato negli incontri per la candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2020.
In apertura Paola Zerman ha inquadrato il tema nel più vasto quadro dell’economia nazionale, sottolineando come da tempo gli studiosi hanno espresso piena consapevolezza della circostanza che al centro del modello di sviluppo del Paese è la questione del trattamento fiscale dei nuclei familiari.
L’interesse degli studiosi procede da alcuni punti fermi, ha precisato.
Innanzitutto dalla considerazione che la famiglia svolge un ruolo centrale nella vita economica, in quanto è formata da un nucleo di persone che esprimono ruoli diversi nella società e rispetto alle vicende dell’economia, tutti essenziali, lavoratori, aspiranti lavoratori, studenti, consumatori, risparmiatori, assistenti di persone malate o anziane. Uno spaccato della società che esige una considerazione sul piano fiscale, tenuto conto che il fisco è strumento di elezione della politica economica, nel senso che il livello di tassazione condiziona la formazione e lo sviluppo della famiglia e, in fin dei conti, della società.
È, dunque, necessario – ha affermato l’Avv. Zerman – affrontare il tema della condizione fiscale della famiglia “perché aiutare le famiglie è vera politica economica e sociale, capace di restituire loro prospettive di sviluppo e capacità di spesa e di risparmio, ciò che serve per far crescere il Paese”.
Prima di entrare nel merito del dato fiscale Paola Zerman ha richiamato alcuni principi, di ordine costituzionale, che impongono al legislatore l’adozione di misure che tengano conto del ruolo della famiglia. In primo luogo l’art. 31 Cost., comma 1, secondo il quale “la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose”.
Ora è evidente che le “misure economiche” possono essere di vario genere, quindi anche fiscali, in forma di deduzioni e detrazioni per tener conto degli oneri che sopportano le famiglie in particolare quelle “numerose”. Ciò in considerazione del ruolo che lo Stato riconosce alla famiglia, di “istruire ed educare i figli” (art. 30 Cost.), un valore che la Costituzione riconosce in quanto la procreazione è funzionale all’equilibrio della società fra le varie generazioni e al suo sviluppo nel tempo. In particolare, l’istruzione e l’educazione è un compito che i genitori si assumono per formare futuri cittadini e lavoratori.
Se, dunque, questi sono valori che meritano considerazione e agevolazioni è evidente – ha detto Paola Zerman – che il legislatore fiscale deve avere presenti due esigenze, quella di mettere in condizione le famiglie di svolgere il loro ruolo, non privato ma sociale, e quella di non discriminarle, considerando che l’art. 53 Cost., che impone a tutti di concorrere “alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”, va coordinato con l’art. 3 Cost. in quanto è evidente che la capacità contributiva deve tener conto del numero e della qualità dei soggetti che il reddito tassabile concorre a mantenere. Essendo evidente che il principio di parità di trattamento e di ragionevolezza risulterebbe violato se a parità di reddito un single fosse tassato come un padre di famiglia con mogli e figli privi di redditi autonomi. In proposito ha ricordato la richiesta del Forum delle Famiglie, supportata da oltre un milione di firme, di introdurre il c.d. quoziente familiare,  un sistema di tassazione che tiene conto del numero dei componenti della famiglia e quindi dei costi che la famiglia sopporta, ad esempio per il mantenimento e l’educazione dei figli.
Principio di parità di trattamento e di non discriminazione – ha detto la relatrice –  che trova un fondamento anche nella Carta del Diritti dell’Unione europea dacché il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia (art. 9) non può essere espressione di un diritto astratto perché “costituire una famiglia” significa che le leggi devono mettere in condizione i cittadini europei di costituire una famiglia. Un diritto ribadito dalla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali che all’art. 12 (Diritto al matrimonio) afferma che “Uomini e donne in età adatta hanno diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali regolanti l’esercizio di tale diritto”.
Il fatto è che nella disciplina dell’imposta personale sul reddito delle persone fisiche si è persa da tempo l’occasione per procedere ad una modulazione dell’imposta finalizzata alla correzione delle distorsioni presenti nell’attuale regime IRPEF, che penalizzano i contribuenti con familiari a carico e le famiglie monoreddito.
Il trattamento fiscale del nucleo familiare è infatti uno degli aspetti di maggiore importanza ai fini dell’analisi degli effetti distributivi del sistema tributario che, come detto, può influenzare il benessere delle famiglie mediante agevolazioni fiscali concesse ai nuclei con diversa numerosità e/o diverso numero di contribuenti.
“Come sancito dalla nostra Costituzione, ha detto Paola Zerman, il ruolo della famiglia nell’ambito della società risulta importante e meritevole di tutela. In termini economici si afferma che la famiglia produce esternalità positive, ossia benefici per l’intera collettività, attraverso le proprie decisioni di procreazione, che contribuiscono alla conservazione dell’equilibrio demografico, la sua capacità di rendere maggiormente egualitaria la distribuzione dei redditi, la tutela che garantisce ai soggetti deboli, il contributo alla creazione di capitale umano”.
Avviandosi alla conclusione e riprendendo un argomento a lei caro Paola Zerman ha sottolineato che l’interesse della classe politica per la famiglia sembra limitato alla vigilia elettorale quando tutti “riscoprono”  di valori che incarna per poi dimenticarsene ad elezioni concluse, soprattutto per quanto riguarda i profili fiscali. “Bisogna fare in modo – ha detto Paola Zerman – che la classe politica, sia pure con una ragionevole progressività, si dia carico di una riforma che instauri un sistema capace di effettiva equità fiscale. Altrimenti i contribuenti dovranno investire del problema la Corte costituzionale, la Corte di giustizia delle Comunità europee o la Corte dei diritti dell’uomo. Una strada certamente irta di ostacoli ma i principi costituzionali dei quali si è detto, in particolare con riferimento al ruolo della famiglia ed al principio di non discriminazione in rapporto al principio della capacità contributiva fanno ritenere praticabile la proposizione di una questione di costituzionalità nel corso di un giudizio tributario nel quale sia in qualche modo contestato il sistema di tassazione dei redditi familiari”.
“Ugualmente sembra proponibile – ha detto l’Avv. Zerman – ai sensi dell’art. 20 della Carta dei diritti dell’Unione europea contestare la validità della normativa fiscale italiana in rapporto al principio di uguaglianza che evidentemente è violato quando una identica misura di reddito sopporta oneri diversi.  Da ricordare, infine, che l’art. 33 della Carta dei diritti dell’U.E. afferma al primo comma che “È garantita la protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale”. La disposizione si basa sull’art. 16 della Carta sociale europea che a sua volta prevede il “diritto della famiglia ad una tutela sociale giuridica ed economica. Per realizzare le condizioni di vita indispensabili al pieno sviluppo della famiglia, in particolare per mezzo di prestazioni sociali e familiari, di disposizioni fiscali e d’incentivazione alla costruzione di abitazioni adatte ai fabbisogni delle famiglie, di aiuto alle coppie di giovani sposi, o di ogni altra misura appropriata”.
6 marzo 2010

Un Consiglio dei ministri che non discute, ratifica
di Senator

     Sempre più veloce il Consiglio dei ministri, tanto che è da dubitare che al suo interno si discuta. Di più, è probabile che i provvedimenti, più che essere illustrati siano soltanto annunciati.
    Lo abbiamo notato nei giorni scorsi. Dobbiamo sottolinearlo con riferimento alla riunione del 1° marzo durato solo 85 minuti, dalle 12,10 alle 13,35.
     In quel lasso di tempo il Consiglio ha approvato una serie di provvedimenti, tutti importanti, dopo aver osservato un minuto di silenzio in memoria di Pietro Antonio Colazzo, il coraggioso funzionario dell’Agenzia informazioni e sicurezza esterna, rimasto vittima dell’attentato di venerdì scorso a Kabul, ed aver ricordato la figura dell’avvocato Enzo Fragalà, barbaramente ucciso a Palermo nei giorni scorsi.
     Il Consiglio ha approvato il disegno di legge  che contiene “un importante pacchetto di norme per rafforzare la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”.
     Inoltre il Presidente Berlusconi ha annunciato che sottoporrà al Capo dello Stato la nomina di quattro Sottosegretari: la dottoressa Daniela SANTANCHE’ ( al programma di Governo), il senatore Guido VICECONTE (all’Istruzione, università e ricerca), l’onorevole Laura RAVETTO (ai Rapporti con il Parlamento), il senatore Andrea AUGELLO (alla pubblica amministrazione ed innovazione).
     Ed ecco i provvedimenti:
     su proposta del Ministro per le politiche europee, Andrea Ronchi:
     – lo schema di disegno di legge comunitaria per il 2010;
     su proposta del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Luca Zaia:
     – uno schema di disegno di legge per la valorizzazione dei prodotti agricoli provenienti da “filiera corta”;
     su proposta del Ministro della difesa, Ignazio La Russa, e del Ministro della giustizia, Angelino Alfano, e del Ministro per la semplificazione normativa, Roberto Calderoli:
–          – un disegno di legge per il conferimento della delega al Governo all’emanazione del codice delle missioni militari all’estero
     su proposta del Ministro per le politiche europee, Andrea Ronchi, e del Ministro dello sviluppo economico, Claudio Scajola:
     – un decreto legislativo che recepisce la direttiva 2007/65 in materia di esercizio di attività televisiva;
     su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, Giulio Tremonti:
     – un disegno di legge che dà seguito all’impegno assunto dall’Italia nei confronti del Fondo monetario internazionale per fronteggiare la crisi e contribuire all’assistenza finanziaria in favore dei Paesi più poveri;
     su proposta del Ministro della difesa, Ignazio La Russa:
     – un disegno di legge che prevede, in via sperimentale per un triennio, l’organizzazione di corsi di formazione a carattere teorico-pratico e di durata non superiore a tre settimane, riservati ai giovani presso reparti delle Forze armate;
     – uno schema di regolamento per la previsione del riconoscimento di cause di servizio e la corresponsione di adeguato indennizzo al personale impiegato in missioni all’estero;
     su proposta del Ministro per le politiche europee. Andrea Ronchi, e del Ministro della giustizia, Angelino Alfano:
–          – un decreto legislativo che stabilisce le sanzioni da comminare per violazioni al Regolamento comunitario n. 1523 del 2007, che vieta la commercializzazione, l’importazione e l’esportazione di pellicce di cane e di gatto, nonché di prodotti che le contengano;
     su proposta del Ministro della giustizia, Angelino Alfano:
     – uno schema di decreto legislativo che dà attuazione alla delega conferita al Governo dalla legge n.69 del 2009 con l’obiettivo di prevedere disposizioni di dettaglio che consentano ai notai, coerentemente con quanto previsto dal Codice dell’amministrazione digitale, di redigere atti pubblici in formato elettronico;
     su proposta del Ministro degli affari esteri, Franco Frattini:
     – due disegni di legge per la ratifica e l’esecuzione degli Accordi, rispettivamente, fra l’Italia ed il Malawi e fra l’Italia e la Repubblica popolare democratica di Corea, sulla promozione e protezione degli investimenti.
     E’ stato altresì approvato uno schema di regolamento, sul quale verrà sentito il Consiglio di Stato, che abroga il d.P.R n.303 del 2005 in materia di termini e di responsabili dei procedimenti amministrativi di competenza del Segretariato generale della Presidenza del Consiglio in considerazione della necessità di riformulare la materia alla luce di modifiche normative intervenute.
     Il Consiglio ha dichiarato lo stato d’emergenza per lo sversamento di materiale inquinante nel fiume Lambro. Al fine di consentire il proseguimento delle operazioni di protezione civile per la messa in sicurezza di alcune grandi dighe, è stato prorogato il relativo stato d’emergenza già dichiarato. E’ stato anche prorogato lo stato d’emergenza dichiarato nella regione Molise per far fronte ai danni causati da eccezionali avversità atmosferiche.
     Infine il Consiglio ha deliberato:
     su proposta del Presidente del Consiglio:
     – la nomina dell’avvocato Ignazio Francesco CARAMAZZA ad Avvocato generale dello Stato;
     – la nomina del professor Riccardo VENTRE a Consigliere della Corte dei conti;
su proposta del Ministro degli affari esteri:
–         – la nomina a ministro plenipotenziario di una ventina di consiglieri d’Ambasciata:
     Infine il Consiglio ha esaminato alcune leggi regionali, ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.
     Ebbene, a conti fatti, senza considerare il minuto di silenzio in onore di Pietro Antonio Colazzo, ai provvedimenti approvati il Consiglio ha dedicato mediamente solo 4,72 minuti. Il che vuol dire che, se consideriamo il peso di alcuni provvedimenti, come il pacchetto anticorruzione, che necessariamente avrà impegnato di più i nostri ministri, per alcuni non sarà stato neppure letto il titolo.
     Naturalmente va tutto bene. I provvedimenti passano per le riunioni preparatorie del Consiglio, presiedute da Gianni Letta, nel corso delle quali i provvedimenti vengono approfonditi da parte dei tecnici dei vari ministeri.
     Ma che non si discuta assolutamente in Consiglio appare certamente singolare In sostanza il Consiglio ratifica ciò che è stato deciso dai tecnici, sia pure sulla base delle indicazioni dei vari ministri.
     Tutto bene, ripeto, ma ho nostalgia dei Consigli nei quali discutevamo a tutto tondo sui riflessi dei vari provvedimenti e, in genere, sulle prospettive della politica governativa. Oggi sembra un Consiglio di amministrazione bloccato da un socio che detiene un pacchetto di azioni che ne fa un padrone del quale non può essere messa in discussione la volontà.
3 marzo 2010

Un gentiluomo, una persona perbene
E’ morto Pietro Mitolo
di Salvatore Sfrecola

     E’ morto Pietro Mitolo, ex parlamentare di Msi e An, deputato e senatore. Ingegnere chimico, nato il 27 aprile del 1921 a Bolzano, è stato anche europarlamentare.
     Era in Alto Adige il “grande vecchio” della destra, un uomo colto, un politico galantuomo nei confronti del quale, alla notizia della sua morte, tutti hanno avuto parole di grande stima.
     L’ho conosciuto nell’anticamera di Gianfranco Fini Vicepresidente del Consiglio. Attendeva di parlare della sua Bolzano, dei problemi della comunità italiana e della destra, stretta tra esuberanze di giovani promesse e l’inefficienza di altri. Parlava con commozione dell’Italia in quella terra ricca di contraddizioni ed ho imparato subito a stimarlo. Parlavo volentieri con questo garbato signore appassionato della politica nel senso più nobile del termine.
     Fini gli affidò l’incarico di seguire i problemi dell’Alto Adige, chiamato a cercare di risolvere i contrasti sorti all’interno del Pdl tra la corrente forzista di Michaela Biancofiore e quella del deputato Giorgio Holzmann (An), ma Mitolo si sentiva un incompreso. Le lunghe anticamere, l’aria di sufficienza con la quale alcuni della segreteria trattavano questo anziano parlamentare che veniva a chiedere per Bolzano, me lo hanno subito reso simpatico. Come sempre le persone perbene, indipendentemente dalle idee che professano, sono all’evidenza portatrici di valori grandi, come possono essere quelli della Patria.
     Così quando veniva a salutarmi per parlarmi “cinque minuti” e mi rendevo conto che era trascorsa un’ora non mi lamentavo mai. Attendevo che fosse lui a congedarsi.
      Lasciato Palazzo Chigi e ritornato alla Corte dei conti un giorno mi è venuto a trovare. E’ stata una lunga, simpatica conversazione. Ad un certo momento gli ho chiesto il motivo della visita. “Nessuno”, mi ha risposto, “se non che volevo scambiare qualche riflessione con lei”.
     Ci siamo scambiati gli auguri per Natale. Mi aveva promesso che sarebbe tornato a trovarmi. L’ultima apparizione pubblica di Mitolo è stata nei giorni scorsi nel consiglio comunale di Bolzano, da dove sedeva, quasi ininterrottamente, dal 1948.
     Non tornerà. Ma ricorderò sempre quel garbato sorriso, quell’ironia con la quale difendeva il suo ruolo politico difficile in una terra difficilissima, incompreso dai suoi che lo consideravano superato, un rompiscatole perché non aduso al piccolo cabotaggio, lui che con il fratello Andrea aveva portato in piazza migliaia di italiani per ricordare che quella terra è un pezzo di storia della Patria.
     Quando nel 2006 uscì il mio libro “Un’occasione mancata” ne volle comprare venti copie per regalarle ai giovani del partito “perché riflettano sulle cose da fare”, mi disse. Condivideva l’analisi dell’esperienza del governo di centrodestra consumatasi nell’inadeguatezza di uomini e programmi. Non riteneva che le cose fossero molto migliorate nel frattempo.
     Continuerà a guardare da Lassù la sua terra ed a commuoversi per l’Italia che, senza retorica, Lui ed io consideriamo, la Patria, la terra dei nostri padri.
1° marzo 2010

A proposito dell’esclusione della Polverini. Dalla competizione nella provincia di Roma
Un partito di matti. E un furbacchione
di Senator

Il  PdL i cui rappresentanti arrivano “tardi” nella presentazione della lista della candidata Polverini alla Presidenza della Regione Lazio nella Provincia di Roma, che così rimane esclusa, è “un partito di matti”, come titola oggi Il Giornale? Un partito nel quale domina confusione tra ex forzisti ed ex aennini alla ricerca di una rivincita rispetto ad una fusione imposta dall’alto di… un predellino? O non rivela piuttosto l’ennesima guerra per bande con ripicche e vendette che oppone Berlusconi allo scalpitante Fini?
Siccome a pensar male si fa senz’altro peccato ma si indovina quasi sempre,   secondo l’aurea intuizione di Giulio Andreotti, il sospetto che, ad onta dell’ira di rito, il Cavaliere abbia voluto “punire” l’indocile alleato alla rincorsa di una improbabile diarchia, se non di una prossima successione, per aver egli imposto una candidatura modesta ma “sua”, è molto plausibile e generalmente accolta dagli osservatori politici. D’altra parte i nostri lettori ricorderanno che la Bonino fu designata Commissario europeo da Berlusconi.
Insomma, ancora una volta Berlusconi ha voluto ridimensionare Fini.
Polverini modesta, dunque, anzi modestissima, scelta dal Presidente della Camera secondo la logica che ha sempre imperato tra i politici nostrani più recenti. Infatti, l’importante è che il candidato alla poltrona politica o amministrativa  “risponda” a chi lo designa, essendo una variabile assolutamente residuale quella se sia capace e adatto alla funzione che dovrà svolgere.
I migliori, da sempre, si circondano di capaci, i modesti di persone più modeste di loro.
Napoleone, tanto per richiamare un personaggio a me non particolarmente simpatico, si circondava di generali capaci e fortunati (teneva molto a questo requisito il corso) ma non temeva che gli facessero ombra.  Infatti non avrebbero mai potuto offuscare la gloria di un Imperatore che sapeva bene fare il suo mestiere.
Berlusconi e Fini, invece, hanno scelto di circondarsi di una pletora di mezze figure, tutte poi regolarmente premiate con posti di responsabilità politica e amministrativa, tranne poi a lamentarsi se le cose non vanno come avrebbero voluto. Qualche esempio? Impossibile, correremmo il rischio dio dimenticarne più di qualcuno.
Chi è causa del suo mal… viene fatto di dire.
Con questa classe politica e amministrativa il Paese va allo sfascio. Quando avremo leader capaci di dotarsi di staff di  professionalità adeguata alla funzione, in più con la colonna vertebrale diritta?
Quel giorno l’orizzonte degli italiani sarà più limpido.
1° marzo 2010

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