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Ottobre 2013

Raffaele Squitieri Presidente della Corte dei conti
di Salvatore Sfrecola

Il grosso pubblico lo ha conosciuto in questi giorni, apprendendo dai giornali e dalle televisioni che, intervenendo in rappresentanza della Corte dei conti in alcune audizioni parlamentari sul disegno di legge di stabilità, aveva manifestato alcune perplessità sul provvedimento. Secondo i giudici contabili, infatti, la Tasi, “che moltiplica il suo peso rispetto a quello incorporato nella vecchia Tares e che lascia ai Comuni la facoltà di rideterminare l’aliquota, crea il presupposto di aumenti di prelievo da parte degli enti locali con aliquota Imu inferiore al massimo previsto dalla legge”. Una cauta riflessione che, non c’è dubbio, sarà piaciuta a molti.
Ma Raffaele Squitieri, che ieri il Consiglio dei ministri ha nominato Presidente della Corte dei conti, su designazione unanime del Consiglio di Presidenza della magistratura contabile, è personalità nota tra gli addetti ai lavori, all’interno della pubblica amministrazione e non solo. Fino a ieri Presidente della Sezione del controllo sugli enti e Presidente aggiunto, in precedenza ha ricoperto incarichi importanti nell’Istituto di viale Mazzini, impegnato soprattutto nel controllo ma anche nella giurisdizione avendo presieduto la Sezione giurisdizionale regionale per la Regione Molise.
Tra gli incarichi extragiudiziari va ricordato quello di Capo di Gabinetto del Ministro per i beni e le attività culturali e Presidente del Collegio dei revisori del CONI. In questo ambito Squitieri ha ricoperto altri importanti incarichi.
La sua nomina è stata accolta con grande soddisfazione dai colleghi, come dimostra il gran numero di messaggi trasmessi via mail sulla posta interna, che gli riconoscono grande capacità di lavoro anche nelle sedi collegiali dove si confrontano opinioni e indirizzi dottrinali e giurisprudenziali, attitudine ad assumere rapidamente decisioni dimostrata nel periodo nel quale, da Segretario Generale della Corte dei conti, ha svolto un ruolo fondamentale per il buon funzionamento dell’Istituto.
Dal nuovo Presidente i magistrati della Corte dei conti si attendono che l’ascolto del mondo politico e governativo, assicurato a Squitieri da amicizia e stima personali consenta alla Corte, alla quale di recente sono state attribuite importanti funzioni in materia di controllo su Regioni ed enti locali, di assumere un assetto organizzativo ed un profilo operativo adeguato alle aspettative di chi auspica un indirizzo di gestione delle risorse pubbliche conforme alle regole della legalità e dell’efficienza.
I colleghi si attendono, in particolare, una valorizzazione dei momenti collegiali allo scopo di assicurare, dopo averli adeguatamente dibattuti, indirizzi uniformi che diano alle deliberazioni della Corte l’espressione di pronunce dotate di certezze che aiutino amministratori e funzionari nel loro difficile compito a fronte di bilanci sempre meno ricchi in presenza di una crescente richiesta di servizi provenienti dalla comunità amministrata.
Un compito impegnativo, dunque, quello che attende Raffaele Squitieri sul più alto scranno della Corte dei conti, una Istituzione fondamentale del nostro ordinamento che ha appena festeggiato i 150 anni di vita nello stato unitario, che nel 1862 fu il primo giudice civile ad estendere la propria giurisdizione sull’intero Regno, come tenne a sottolineare Quintino Sella, Ministro delle finanze, in occasione dell’inaugurazione della Corte a Torino.
Primo giudice perché la preoccupazione degli statisti dell’epoca era quella di assicurare il buon andamento della finanza pubblica, allora come oggi gravata da un pesante debito pubblico. Con un sola differenza, non da poco. Che il debito pubblico con il quale l’Italia finalmente unita si trovava a fare i conti era in gran parte di origini che possiamo definire nobili, in quanto conseguenza delle spese sostenute per le guerre del Risorgimento, mentre oggi il peso del debito consegue a scelte dissennate lungo alcuni decenni, nel corso dei quali la regola è stata la sistematica violazione delle norme costituzionali sulla copertura delle spese.
Si è detto più volte che è stato la distribuzione di ingenti risorse è stata fatta dai governi degli anni ’60 e ’70 per assicurare la pace sociale. Il pericolo è che la si perda per l’aggravarsi della crisi economica.
In questo contesto, come dimostrano le parole di Raffaele Squitieri che abbiamo ricordato, la Corte dei conti continuerà a svolgere il suo ruolo di custode del pubblico erario con le azioni concrete e le riflessioni che offre all’attenzione di Governo e Parlamento.
30 ottobre 2013

L’Italia dei condoni ignora la legalità
L’agevolazione per chi ha danneggiato l’erario resterà una macchia per chi l’ha proposta
di Salvatore Sfrecola

Ogni volta si afferma solennemente che è l’ultimo, che è reso necessario dall’esigenza di voltare pagina, secondo nuove regole che siano in condizione di assicurare la legalità. Che si ricorre al condono per liberare le carceri sovraffollate, indegne di un Paese civile. Se, poi, è un condono fiscale il motivo è quello di “fare cassa” e di “scovare” gli evasori. Ugualmente se il condono riguarda abusi edilizi.
Ogni volta una bugia, della quale nessuno si vergogna, tanto la prossima volta a dirla è un altro.
In un paese civile, nel quale le istituzioni dello Stato siano ordinate ed ispirate al principio di legalità i condoni sarebbero inammissibili, sono la negazione del principio della certezza del diritto, premiano i “furbi”, coloro che hanno violato la legge, penale, tributaria o urbanistica, ed offendono le persone per bene, quelle che la rispettano.
Eppure in questo Paese, il quale un tempo si vantava di essere la “Patria del diritto”, che oggi constatiamo essere una impropria e immeritata etichetta, di condoni se ne fanno a iosa. Non solo, amnistie ed indulti, un tempo adottati “ad ogni morte di Papa”, che anche in questi giorni dividono l’opinione pubblica, tra quanti fanno prevalere un sentimento di pietà verso le condizioni inumane della detenzione e quanti preferirebbero che lo Stato costruisse nuove carceri o definisse modelli alternativi di punizione, soprattutto dopo che è stato reso noto che in stati a noi vicini, Regno Unito, Francia, Germania il numero dei detenuti è sostanzialmente identico al nostro, ma le condizioni di chi è in carcere sono migliori che in Italia.
I condoni non piacciono ai cittadini onesti e certamente non piace il condono cosiddetto “erariale” con il quale chi è stato condannato dalla Corte dei conti a pagare una somma per risarcire un danno finanziario o patrimoniale provocato allo Stato o ad un ente pubblico con dolo o colpa grave potrà corrispondere solo una parte della somma che il giudice ha ritenuto congrua.
Attenzione! È una cosa di una gravità estrema. La comunità è stata depauperata di valori finanziari o patrimoniali perché il condannato ha sperperato, ha danneggiato il patrimonio pubblico, ha leso gravemente l’immagine della pubblica amministrazione, e la classe politica, il Governo e il Parlamento, privano i cittadini-contribuenti del ristoro di quanto ha costituito danno. Un danno, è bene ricordare, che insieme ad altri danni (spese pazze, entrate non riscosse, ecc.) è la ragione prima delle tante imposte e tasse che gravano sui cittadini.
Così il governo emana il decreto legge n. 102 del 31 agosto il quale prevede, all’articolo 14, la “definizione agevolata in appello dei giudizi di responsabilità amministrativo-contabile”. Definizione ironica alla luce della norma che così si esprime: “1. In considerazione della particolare opportunità di addivenire in tempi rapidi all’effettiva riparazione dei danni erariali accertati con sentenza di primo grado, le disposizioni di cui all’articolo 1, commi da 231 a 233, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, e successive modificazioni, si applicano anche nei giudizi su fatti avvenuti anche solo in parte anteriormente alla data di entrata in vigore della predetta legge, indipendentemente dalla data dell’evento dannoso nonché a quelli inerenti danni erariali verificatisi entro la data di entrata in vigore del presente decreto, a condizione che la richiesta di definizione sia presentata conformemente a quanto disposto nel comma 2.
2. Ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui al comma 1, deve essere presentata, nei venti giorni precedenti l’udienza di discussione e comunque entro il 15 ottobre 2013, specifica richiesta di definizione e la somma ivi indicata non può essere inferiore al 25 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado; in tali casi, la sezione d’appello delibera in camera di consiglio nel termine perentorio di 15 giorni successivi al deposito della richiesta e, in caso di accoglimento, ai fini della definizione del giudizio ai sensi del comma 233, con decreto da comunicare immediatamente alle parti determina la somma dovuta in misura non inferiore a quella richiesta, stabilendo il termine perentorio per il versamento entro il 15 novembre 2013″.
Ironico quel riferimento “all’effettiva riparazione dei danni erariali accertati con sentenza di primo grado”. Una autentica bugia. L’effettiva riparazione non c’è. Ci sarebbe solo se il condannato pagasse il suo debito integralmente.
Una vergogna! A danno del cittadino.
Ma non basta, nonostante le critiche da più parti manifestate. Anche dai vertici della Corte dei conti, anche da questo giornale.
Così in sede di conversione il Parlamento inserisce due significative modifiche peggiorative, palesemente peggiorative degli interessi erariali.
Pagare il 25 per cento deve essere sembrato troppo ai nostri parlamentari per chi ha provocato danni di centinaia di migliaia di euro o addirittura milioni, come nel caso dei gestori delle slot machine. E così viene inserito il comma 2-bis con il quale si stabilisce che “qualora la richiesta di definizione agevolata in appello dei giudizi di responsabilità amministrativo-contabile? sia accompagnata da idonea prova dell’avvenuto versamento, in unica soluzione, effettuato in un apposito conto corrente infruttifero intestato al Ministero dell’economia e delle finanze, che provvede al successivo versamento al bilancio dello Stato o alla diversa amministrazione in favore della quale la sentenza di primo grado ha disposto il pagamento, di una somma non inferiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado, la sezione d’appello, in caso di accoglimento della richiesta, determina la somma dovuta in misura pari a quella versata”.
Ma non finisce qui. Non sia mai che quelli che hanno pagato il 25 per cento previsto dalla norma originaria ci debbano “rimettere”.
Nessun problema, il comma, il 2 ter prevede che “le parti che abbiano già presentato istanza di definizione agevolata ? precedentemente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, possono modificarla in conformità alle disposizioni di cui al comma 2 bis entro il 4 novembre 2013. Entro il medesimo termine, le parti, le cui richieste di definizione agevolata ? abbiano già trovato accoglimento, possono depositare presso lo stesso giudice che ha emesso il decreto istanza di riesame unitamente alla prova del versamento ? di una somma non inferiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado; la sezione d’appello delibera in camera di consiglio, sentite le parti, nel termine perentorio di cinque giorni successivi al deposito della richiesta e, in caso di accoglimento,?. con decreto da comunicare immediatamente alle parti, determina la domma dovuta in misura pari a quella versata”.
Insomma, fior di gentiluomini che hanno provocato danno erariale, compresi i concessionari delle slot machine, se la cavano pagando un misero 20 per cento di danni enormi quotidianamente ricordati dalla stampa.
La gravità della scelta del Governo è emersa nel corso del dibattito parlamentare sulla legge di conversione. Nell’occasione è stato ricordato che sotto il profilo ordinamentale, le nuove norme si innestano su quelle già in vigore (l’art. 1, commi 231-233, della legge n. 266 del 2005) già oggetto di favorevole scrutinio da parte della Corte costituzionale in una sentenza formalistica che nulla dice della grave lesione portata al sistema di garanzie ma si ferma a considerare aspetti meramente estrinseci del procedimento dinanzi al giudice di appello.
29 ottobre 2013

L’Associazione Magistrati della Corte dei conti esprime sconcerto e forte preoccupazione per le dichiarazioni del Presidente dell’ANCI e Sindaco di Torino, Piero Fassino, e del Sindaco di Napoli, Luigi De Magistris sulla invadenza dei controlli della Corte dei conti nei confronti dei Comuni
di Salvatore Sfrecola

In un comunicato stampa di questa mattina l’Associazione Magistrati della Corte dei conti “esprime sconcerto e forte preoccupazione per le dichiarazioni fatte dal Presidente dell’ANCI e Sindaco di Torino, Piero Fassino, e dal Sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, sulla invadenza dei controlli della Corte dei conti nei confronti dei Comuni”.
L’Associazione “nel ricordare che le funzioni giurisdizionali e di controllo esercitate dalla Corte dei conti sono svolte nell’interesse esclusivo dei cittadini e dello Stato-comunità, e che le stesse sono previste dalla nostra Costituzione (artt. 100 e 103) a tutela della sana e corretta gestione delle risorse pubbliche, e ai fini del coordinamento della finanza pubblica e della tutela dell’unità economica della Repubblica in relazione ai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, come ha più volte avuto modo di affermare la Corte Costituzionale, respinge con fermezza le affermazioni fatte dai due esponenti politici, non senza rilevare che in un Paese democratico gli amministratori pubblici devono rispondere ai cittadini contribuenti dell’impiego delle risorse pubbliche, e che non può invocarsi l’autonomia al solo fine di sottrarsi a controlli e responsabilità”.
“Nel ricordare, infine, che i controlli della Corte dei conti sono previsti dalla legge e vengono svolti nel pieno rispetto dell’autonomia degli enti locali nell’ottica del coordinamento e del conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, ritiene che le dichiarazioni rese dai due esponenti politici sono tanto più gravi in quanto fatte a fronte della grave situazione economica e finanziaria del Paese, in un momento in cui, mentre si chiedono ai cittadini sacrifici insostenibili, la cronaca continua a far registrare numerosi e gravi episodi di sperpero di denaro pubblico”.
Fin qui il comunicato.
Questo giornale ne ha già scritto con la “lettera aperta” all’On. Fassino mettendo in risalto il carattere inusuale delle espressioni usate da una personalità politica di primo piano e di riconosciuto equilibrio.
Perché, dunque, criticare i controlli, di legittimità e di gestione, svolti da una magistratura indipendente che, come ha messo in risalto il comunicato dell’Associazione, costituisce un insostituibile strumento di garanzia della legalità e della buona gestione? Perché gli amministratori della casa “di vetro”, come si usa dire della amministrazione pubblica, desiderano non trasparenza ma oscuramento, tanto che di essi alcuni hanno detto e scritto “forse hanno qualcosa da nascondere?”.
Non è certo questo, ne siamo certi, l’obiettivo di Piero Fassino e di Luigi de Magistris, dei quali è noto il culto della legalità. Molto più probabile è che i due sindaci siano stati sollecitati da qualche loro collaboratore aduso a gestire con disinvoltura i fondi di bilancio senza controlli. Sicché le verifiche della Corte, di legalità e sana gestione, costituiscono un fastidioso impaccio sulla strada della gestione disinvolta dei denari dei cittadini.
Non è una illazione la nostra. La cronaca giudiziaria e ciò che è sotto gli occhi di tutti i cittadini dicono di sprechi, di servizi inefficienti eppure costosi, di forniture a costi esagerati, di procedure assurde che penalizzano cittadini ed imprese. Basti guardare le condizioni delle nostre città con sedi stradali malamente rattoppate, marciapiedi impraticabili per disabili e persone anziane. Lavori lautamente pagati ma eseguiti nell’assoluta noncuranza delle regole dell’arte. Tanto i controlli ed i collaudi sono approssimativi e spesso mancanti o compiacenti.
Il cittadino ha molteplici motivi di lamentarsi di come gran parte delle nostre città sono amministrate. Che poi le risorse siano insufficienti è un fatto che nessuno nega. Ma occorrerebbe usarle al meglio, non dilapidarle.
Cosa c’entra in tutto questo l'”invadenza” dei controlli ce lo dovrebbero spiegare Fassino e de Magistris, controlli ex post, quindi non sospetti di ostacolare o rallentare l’azione amministrativa.
La polemica è, dunque, speciosa, avviata per compiacere la platea di amministratori spesso incompetenti e comunque convinti di poter avere le “mani libere” in ragione del consenso elettorale alla loro persona ed al programma esposto in occasione delle elezioni.
Anche questo è un equivoco ricorrente ma inammissibile in uno stato di diritto. Il consenso elettorale è espressione massima della democrazia ed individua coloro che i cittadini intendono governi la cosa pubblica secondo le indicazioni contenute nell’indirizzo politico elettorale e di governo. Tuttavia l’eletto, che risponde agli elettori delle scelte e delle realizzazioni, non per questo è legibus solutus.
Sarà giudicato per le sue realizzazioni dal corpo elettorale, se ha realizzato un campo di calcio, una piscina, un parco giochi o un’oasi per anziani. Ma se quelle opere saranno realizzate con dispendio di pubbliche risorse non è il corpo elettorale a giudicare ma un magistrato, che potrà essere un giudice penale, in presenza di reati, o la Corte dei conti se con dolo o colpa grave avrà causato danno all’ente: una spesa inutile o superiore al dovuto, una mancata entrata, la trascuratezza della gestione dei beni patrimoniali.
Da Fassino e de Magistris i cittadini si sarebbero aspettati un grazie alla Corte dei conti. Non è venuto questo riconoscimento. Con grande delusione delle persone perbene.
25 ottobre 2013

Lettera aperta all’On. Fassino
I controlli della Corte dei conti sugli enti locali: ci attendevamo un “grazie” è giunta una minacciosa censura
di Salvatore Sfrecola

Caro Sindaco Fassino,
mi consenta il tono cordiale per la stima antica che ho nei Suoi confronti, per il Suo senso dello Stato, per la Sua disponibilità al dialogo, apprezzata in numerose occasioni, fin da quando, essendo Lei Ministro della giustizia, ebbi occasioni di incontrarla nella mia veste di Presidente dell’Associazione Magistrati della Corte dei conti, insieme ai colleghi delle altre magistrature, per discutere della funzionalità del “sistema giustizia”, che non comprende solo la giustizia civile e penale ma anche quella amministrativa e contabile di cui è gran parte la Corte dei conti nelle sue duplici attribuzioni di controllo e giurisdizione di responsabilità per danno al pubblico erario.
Poi a Torino, dove ho svolto per quasi un triennio funzioni d Presidente della Sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, ho avuto occasione di parlare più volte con Lei dei problemi degli enti locali, sempre apprezzando l’equilibrio con il quale poneva i problemi ed indicava le soluzioni possibili, soprattutto quelle derivanti dalle limitazioni del “patto di stabilità interno” e, per il capoluogo piemontese, dalle conseguenze dei gravosi impegni finanziari per le manifestazioni sportive invernali degli anni passati e per le celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia.
Ed a proposito di celebrazioni per i 150 anni dello Stato unitario non posso non ricordare l’appassionata requisitoria che nella splendida cornice del Salone degli Svizzeri, a Palazzo Reale, il 12 novembre 2012, in occasione delle celebrazioni per l’istituzione della Corte dei conti, Lei indirizzò al Governo, al Parlamento ed alla classe politica nel suo complesso nel denunciare le difficoltà degli enti locali, gravati da servizi essenziali per il cittadino e pure a corto di risorse per poterli rendere nel modo migliore. Le chiesi anche di darmi il testo, che avrei voluto includere nel volume che raccoglieva le celebrazioni torinesi insieme a scritti per i 150 anni della Corte dei conti. Non lo ha scritto, evidentemente per la difficoltà di ricostruire quel che, a braccio, era stato particolarmente efficace e generalmente apprezzato. Quasi un “grido di dolore”, si potrebbe dire evocando il celebre discorso di Re Vittorio Emanuele II pronunciato in apertura dei lavori del Parlamento subalpino dinanzi al Barone Ubner ambasciatore dell’Imperatore d’Austria, per dire delle aspettative dell’Italia intera a divenire stato.
Quel “grido di dolore” oggi Lei, in qualità di Presidente dell’ANCI, indirizza da Firenze alla classe politica che negli anni non ha avuto la capacità di riordinare la finanza pubblica, statale e locale, per farne uno strumento di crescita dell’economia in una contesto ordinato di gestione dei servizi che il cittadino chiede allo Stato ed al proprio comune. Una incapacità che nell’ultimo ventennio ha raggiunto punte di estrema gravità, anche per l’inettitudine dimostrata dai nostri governi in Europa nella quale ha spesso prevalso la legge del più forte, come, del resto, accade da sempre nella storia e nella vita degli stati e delle persone.
Non si è saputo distinguere indebitamento corrente e impegno negli investimenti, tra ciò che pesa ed è destinato sempre più a pesare e ciò che è finalizzato alla crescita, come le spese per le infrastrutture, la tecnologia, la ricerca e la valorizzazione del nostro patrimonio storico artistico, la ragione del nostro turismo, e quanto, creando lavoro, assicura occupazione e introiti fiscali.
D’altra parte non si è riusciti a creare un equilibrato sistema fiscale che, da un lato, renda disponibili risorse per le famiglie, sempre più restie agli acquisti di beni e servizi, e dall’altro ponga a carico degli enti locali quei servizi che i cittadini chiedono e devono contribuire a pagare in una qualche misura compatibile con le loro sostanze e con gli equilibri della finanza.
Ma se la politica, ossessionata dal consenso, non è capace aumentare di qualche centesimo il costo dei biglietti del tram o della sosta delle auto, così gravando i bilanci delle aziende, se non si punta ad eliminare gli sprechi che sono frutto di insipienza gestionale che nasconde incapacità e, più spesso, corruzione è evidente che non si può chiedere allo Stato, come è accaduto nei tempi di vacche grasse, di coprire a pie’ di lista costi che sarebbe stato necessario ridimensionare da tempo.
È così accaduto che, di fronte alla crescente crisi della finanza ed agli sprechi quotidianamente denunciati dai media, Governo e Parlamento abbiano pensato di dover potenziare il sistema dei controlli amministrativi e contabili che una sciagurata riforma ha azzerato. Penso soprattutto ai Co.Re.Co., i Comitati regionali di controllo, che avevano svolto, sia pure con luci ed ombre, un ruolo importante nell’intercettare le spese illegittime. Lo dimostra la circostanza che, a seguito della loro soppressione con la legge Bassanini, non sono più pervenute alla Procure regionali della Corte dei conti denunce di illegalità e sprechi.
Così il decreto legge n. 174 del 2012 ha ripristinato una serie di controlli, soprattutto sulla gestione, affidandoli alla Corte dei conti, una magistratura e, pertanto, indipendente, che svolge da sempre questo compito che, ho ricordato a Torino in occasione dei 150 anni della sua istituzione, risale a molto prima di quella data, al XIV secolo, quando nel Ducato di Savoia operava a tutela della finanza e del patrimonio del sovrano.
Un giudice indipendente per garantire al cittadino che le risorse pubbliche sono effettivamente destinate alle finalità istituzionali, nel rispetto della legge e delle regole dell’efficienza, efficacia ed economicità che deve caratterizzare la gestione di risorse prelevate dalle nostre tasche.
Ma oggi questo controllo viene messo in discussione proprio da Lei, On. Sindaco Fassino. Infatti, riferisce l’ANSA, che il suo “grido di dolore”, invece di richiamare le amministrazioni alla loro, anche passata, responsabilità sia stato indirizzato al Governo centrale e, incomprensibilmente, alla Corte dei conti. “La spending review – riprendo dalla nota dell’Agenzia – è diventato uno strumento pensato e praticato dalle amministrazioni centrali dello Stato in modo punitivo quando non addirittura persecutorio verso gli enti locali. Per non parlare dell’estensione del tutto ultronea ed eccessiva di poteri alla Corte dei Conti e agli organi di controllo, a cui si è concessa un’invadenza del tutto inaccettabile”.
“So bene di usare parole aspre – avrebbe aggiunto – ma si deve sapere che questo è lo stato d’animo dei sindaci”. Da politico ha tenuto conto dell’umore dei Suoi colleghi.
Caro Sindaco, mi delude, moltissimo. E delude gli italiani. Infatti, avendo lanciato via Twitter: “Fassino Presidente ANCI ritiene i controlli della Corte dei conti “un’invadenza del tutto inaccettabile”. Mi delude, invece di ringraziare!” il messaggio è stato ritwittato da molti e collocato tra i preferiti. E c’è chi ha risposto “perché ficcate il naso dove non è gradito?”. Altri “che vergogna!”.
Infatti, dov’è la trasparenza della quale tanti si riempiono la bocca? La casa pubblica deve essere una “di vetro”. Invece si sono eliminati i controlli, si è ridimensionato il Segretario comunale, che non è più un funzionario pubblico indipendente ma scelto ad libitum dal sindaco in modo che non faccia molte domande.
Per concludere, Sindaco Fassino, mi domando e Le domando: non è meglio un controllo esterno e indipendente svolto da una magistratura che di conti se ne intende, invece di vivere con l’incubo dell’abuso d’ufficio o di altri reati che, magari inconsapevolmente, sindaci spesso sprovvisti del minimo di cultura giuridica e contabile possono commettere spinti dall'”ossessione del consenso” e, aggiungo, dalle sollecitazioni del clientes?
Se il suo “grido di dolore” desse luogo ad un’iniziativa legislativa per ridimensionare il ruolo della Corte dei conti molti sindaci ne sarebbero contenti, ma ne perderebbe la democrazia ed i cittadini.
24 ottobre 2013

IL SESSANTASEISIMO CICLO DI CONFERENZE DEL CIRCOLO DI CULTURA ED EDUCAZIONE POLITICA “REX” DI ROMA

Il prossimo 27 ottobre avrà inizio a Roma, in via Marsala 42, il 66° ciclo di conferenze del “Circolo di Cultura ed Educazione Politica” “REX”. Rigorosamente apartitico, il Circolo è espressione della cultura storico istituzionale e del pensiero che ha accompagnato l’evoluzione della monarchia costituzionale dallo Statuto Albertino e si propone oggi di offrire contributi al dibattito sulla storia e le istituzioni del tempo presente.
Le conferenze si terranno, come già da diversi anni in un salone nel cortile interno dello stabile avente accesso da Via Marsala 42 (nei pressi della Stazione Termini), alle 10,45 della domenica.
Le date e gli argomenti della prima parte del programma:
27 ottobre, Prof. Antonio PARLATO: “Il 25 luglio, settanta anni dopo”:
10 novembre, Conte Vincenzo CAPASSO TORRE delle PASTENE: “Il mondo ed il pensiero europeo di Otto d’Asburgo
24 novembre, Prof.ssa Flora PANARITI: “L’influenza delle donne sul governo di Roma antica”;
1 dicembre, Prof. Francesco PERFETTI: “La calda estate del 1943 dal 25 luglio all’8 settembre”
Dopo la pausa natalizia la seconda parte del ciclo riprenderà domenica 26 gennaio, con successiva frequenza quindicinale, con le conferenze del Sen. Prof. Domenico FISICHELLA, dell’Ing. Domenico GIGLIO, dell’avv. Riccardo SCARPA, del Prof. Michele D’ELIA e altre da definire dedicate ai 70 anni dal 1943 -1944 per ristabilire la verità dei fatti ed il ruolo del Re Vittorio Emanuele III°.
L’ingresso è libero ed ai presenti sarà distribuito gratuitamente il volume “Nascita ed affermazione del Regno d’Italia”, che raccoglie tutte le conferenze tenutesi nel 2011 e 2012 al Circolo REX per ricordare il 150° anniversario dello Stato unitario.
La corrispondenza del Circolo va indirizzata a Via Celimontana, 38 – 00184 Roma.
17 ottobre 2013

Le risorsa “Creato”
di Salvatore Sfrecola

Dovrebbe essere scontato che un Papa ne parli, che il richiamo al Creato, tenuto conto che “In principio Dio creò il cielo e la terra” (Gn 1,1), come inizia la Sacra Scrittura, sia all’origine dell’insegnamento della Chiesa. Parole che il Credo riprende confessando Dio Padre onnipotente come “Creatore del cielo e della terra”, “di tutte le cose visibili e invisibili”.
È scontato nella liturgia ma non nella realtà nella quale il Creato, la natura, l’ambiente appaiono dimenticati, vistosamente trascurati se a livello internazionale si richiama l’esigenza di tutelare la natura, l’aria e le acque a difesa dell’habitat perché l’uomo possa sopravvivere utilizzando le risorse che Dio ha messo a sua disposizione perché ne usasse senza impoverirle, quasi fosseo infinite.
Risorse che sono una ricchezza, che hanno un valore non solo, come qualcuno sembra ritenere, estetico ma concreto, economico per l’uomo di oggi e di domani. Risorse naturali, alimentari (si pensi solo al mare), ma anche capaci di assicurare a chi ne ha in abbondanza una diversa utilità. Si pensi al turismo.
Dovrebbe, dunque, essere scontato che un Papa ne parli e difenda la natura, il Creato, ma scontato non è se i media si sono impadroniti delle parole di Francesco in visita ai luoghi natali del grande Santo che più di ogni altro ha esaltato la natura della natura, e ne hanno fatto i titoli dei loro editoriali.
Si badi bene. Anche altri Papi hanno ricordato la natura come espressione della Creazione. In particolare Giovanni Paolo II più volte ha richiamato i valori che noi riassuntivamente chiamiamo ambientali. Ma il fatto è che da Francesco la gente si aspetta che dalle parole si passi ai fatti, che stia lì a pungolare i cristiani e non solo perché siano coerenti con la fede professata e si pongano in prima linea nella difesa di quei valori che accompagnano fin dalla Genesi la storia dei credenti.
Valori spirituali, la bellezza dell’universo “creato”, ma anche valori economici, come si è detto, anche se l’uomo ha inquinato da sempre, distrutto foreste, sporcato i mari ed i fiumi, quasi che sentendo “sua” la natura potesse usarne ed abusarne, diversamente da quanto farebbe un buon proprietario che dei beni ricevuti in eredità, nel caso da Dio, cura la manutenzione perché non si disperdano.
Non è solo il singolo a trascurare e spesso a vilipendere l’ambiente. Ci pensano le varie mafie che usurpano i diritti della comunità disperdendo rifiuti pericolosi, incidendo e inquinando le falde freatiche in un Paese ricco di acque che troviamo sulle tavole più lontane dal Bel Paese.
La classe politica non ha avuto la capacità di capire il senso della risorsa ambiente, come dimostra anche la grave trascuratezza che caratterizza l’Italia in materia di turismo, la nostra più grande e unica risorsa, che se vi si dedicasse la dovuta cura potrebbe invertire il ciclo negativo dell’economia nazionale.
Ho detto e scritto più volte che mi auguro venga il tempo in cui chi si occupa di ambiente e di beni culturali riceva nel nostro Paese la stessa considerazione che in Arabia Saudita è riservata al Ministro del petrolio. Niente da fare. Non c’è risposta adeguata, non c’è capacità di immaginare un modello di sviluppo che ponga al centro la nostra grande risorsa, quel patrimonio storico artistico che il mondo c’invidia e che è la ragione del nostro turismo. Un turismo culturale e religioso, come dimostra proprio l’Umbria dove Papa Francesco di è recato ad onorare il Poverello di Assisi. Turismo che non significa solo visita dei luoghi dell’arte e della fede, perché le chiese e le cattedrali sono spesso autentici musei, ma valorizzazione del made in Italy dell’artigianato, dell’enogastronomia, sicché il turista diventa un potentissimo ambasciatore dell’Italia nel mondo.
È così difficile capirlo ed adottare le misure di programmazione necessarie, intervenendo sul territorio per potenziarne le infrastrutture necessarie tanto per i commerci che per il turismo?
È difficile, perché non si vede all’orizzonte una iniziativa capace di invertire il degrado della cultura e dell’ambiente, due momenti strettamente collegati in un contesto paesaggistico unico al mondo, un museo a cielo aperto anche se in tanti cercano di trasformarlo un una discarica.
Servirà il monito di Papa Francesco? Riuscirà il suo messaggio forte, semplice e chiaro a muovere i cuori e le menti? Gli italiani onesti amanti della loro Patria se lo augurano vivamente.
8 ottobre 2013

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