Autoblu o nere, comunque “di Stato”
di Spectator
Chi non ricorda il “Signori venghino” con il quale il Presidente del Consiglio, nell’euforia della poltrona appena conquistata, improvvisatosi banditore di una ipotetica asta, annunciava in diretta televisiva una drastica sforbiciata al parco auto delle Pubbliche Amministrazioni. Senz’altro ricordano tutti quella esibizione certamente piaciuta a molti italiani che saranno anche convinti che alle parole siano seguiti i fatti, che sia stata effettivamente una svolta, che il giovanotto di Rignano sull’Arno abbia cominciato a far risparmiare il bilancio pubblico nell’interesse di tutti, paqrtendo proprio dalle auto “blu”.
Non è stato così. Non solo perché le ipotesi di Cottarelli, con tutti i loro limiti, sono rimaste tali e ancora misteriose, tanto che sono note esclusivamente a pochi intimi. Per quanto riguarda, in particolare, le automobili era prevedibile che il risparmio, a parte l’effetto annuncio, sarebbe stato estremamente modesto, considerato il mercato dell’usato. Chi, infatti, avrebbe potuto desiderare di acquistare un usato ministeriale solo perché su quelle poltrone si era assisa qualche natica autorevole o onorevole? Infatti poche ne sono state vendute, molte ancora si trovano parcheggiate tra largo Chigi e le vie adiacenti alla Galleria Sordi dove alloggiano i ministri senza portafoglio e le relative strutture di supporto.
L’impressione, però, è che quelle auto che tutti possono vedere passeggiando per il centro di Roma siano nuove di zecca, che, in sostanza, non siano il residuo di quelle dismesse. Nuove, e di grossa cilindrata, superiore a quelle che un tempo assicuravano gli spostamenti in città e fuori ai burocrati di Palazzo Chigi e dintorni. Sono accudite da autisti che manifestano un evidente imbarazzo. La gente li guarda, mormora, li addita, ed essi temono nuove incursioni di qualche “inviato speciale” di uno dei talk show, tipo “Striscia ala notizia” o “Le iene”.
Un’altra promessa mancata. Chissà per quanto ancora girerà a favore del premier “la ruota della fortuna”!
25 marzo 2015
Francesco Caringella, “Non sono un assassino”
Newton Compton Editori, 2014
di Licia Grassucci
“Non sono un assassino” di Francesco Caringella, candidato al Premio Strega 2015, è stato presentato il 15 marzo 2015 a Roma, Auditorium Parco della Musica.
Il romanzo ha un ritmo narrativo molto intenso, incentrato sulla ricerca dell’assassino del sostituto procuratore Mastropaolo. Un omicidio senza movente, un’indagine mozzafiato ed un finale inaspettato catturano il lettore fino all’ultima pagina.
Ma non è solo un giallo.
I sentimenti e i desideri dell’indagato numero uno, Francesco Prencipe, vice questore, amico fraterno della vittima, sono descritti al punto che il lettore li percepisce tutti, unitamente ai luoghi, alla luce, ai rumori e agli odori, nonostante siano talvolta soltanto accennati.
Suggestiva è, in particolare, l’attenta esplorazione dei sentimenti più profondi del protagonista, condotta da uno scrittore che è stato, in un passato non recente, giudice penale, oggi magistrato amministrativo di notevole spessore, autore di numerose opere giuridiche sempre accolte con unanime favore dai cultori del diritto amministrativo.
Comunque, l’opera induce a riflessioni profonde sulle quali il lettore sovente ritorna, con nitida insistenza, anche a distanza di tempo.
E’ questo il secondo impegno di Caringella romanziere dopo “Il colore del vetro” (Robin Edizioni, 2012), che aveva già rivelato la felice vena narrativa dell’autore.
20 marzo 2015
Ipocriti e cialtroni
di Salvatore Sfrecola
Forse qualcuno ricorderà un mio breve pezzo intitolato “Donato, non domato”, laddove Donato è l’ingegnere Donato Carlea, già Provveditore alle opere pubbliche per la Campania, sospeso dal servizio a causa di un rinvio a giudizio per abuso d’ufficio in una vicenda dai contorni non chiari quanto alla responsabilità dell’alto dirigente. Senza entrare nel merito della vicenda e dell’impugnativa promossa dal funzionario, pertanto “non domato”, in quell’articoletto davo testimonianza della mia esperienza personale, quando, da Procuratore regionale della Corte dei conti per l’Umbria, lo avevo incontrato, appena insediatosi quale Provveditore alle opere pubbliche, per sollecitare la sua attenzione nei confronti del carcere di Capanne, di Perugia, i cui lavori procedevano a stento da molti anni. Lavori che Carlea fece completare in due anni.
Fatta questa premessa per inquadrare l’argomento, devo dire che la mia testimonianza per un’attività pregressa dell’ingegnere Carlea, per nulla interferente con le indagini penali in corso, ha molto disturbato in alto, a piazzale di Porta Pia, dove ha sede il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Mi è stato detto, in un tentativo andato ovviamente a vuoto di non celata intimidazione, che il funzionario inquisito avrebbe esibito la mia testimonianza positiva dinanzi ai giudici e che quindi io avevo fatto male a scrivere di lui. Ho risposto che se il Ministero, il quale purtroppo è stato squassato da anni da inchieste pesanti su illeciti di vario genere, avesse usato sempre il rigore riservato, con zelo meritevole di migliore causa, all’Ingegnere Carlea, probabilmente nel palazzone umbertino tra Porta Pia e Piazza della Croce Rossa sarebbero rimasti ben pochi, forse neppure gli uscieri. Considerazione quasi profetica alla luce di quel che si legge in questi giorni sui giornali e che si sente dire nelle trasmissioni televisive di approfondimento.
Infatti il Ministro Lupi, tra leggerezze e disattenzioni, rilevanti sul piano politico anche se non su quello giudiziario è stato costretto alle dimissioni.
E vengono alla mente storie antiche e parabole evangeliche su ipocrisie e cialtronaggini di personaggi che si battono piamente il petto nelle chiese ma sono pronti a tutto pur di gestire il potere per finalità evidentemente lontane dagli interessi generali e dal bene comune. Ho scritto su Twitter che gli uomini di governo si giudicano anche dalla scelta dei loro collaboratori, dalla loro professionalità e dall’immagine che hanno nella Pubblica Amministrazione, dalle esperienze pregresse che se sono maturate al seguito di personaggi chiacchierati, inquisiti e condannati, avrebbero dovuto essere tenuti a distanza e non mantenuti là dove si puote ciò che si vuole in materia di appalti e grandi opere statali.
Sarebbe ora, infatti, di mettere definitivamente ordine nella gestione del denaro pubblico che, non dimentichiamolo mai, è risorsa messa a disposizione del potere pubblico dagli italiani che pagano imposte e tasse e attendono che quel denaro, frutto del loro personale sacrificio, sia utilizzato per l’interesse generale.
20 marzo 2015
Requiem per un Senato defunto
di Domenico Giglio
Il fascinoso titolo della fondamentale opera di Francois Fejto, “Requiem per un Impero defunto”, epicedio dell’impero austroungarico, scritto non da un conservatore, ma da un socialista democratico, con precedenti esperienze comuniste, mi è venuto alla mente, dopo la seconda votazione delle riforme costituzionali, con la pratica soppressione del Senato. Ripeto “soppressione”, perché il Senato ridisegnato dai riformatori, non è che una “cameretta”, senza veri poteri, frutto di una elezione non più diretta da parte del corpo elettorale, ed il cui presidente non è più la seconda carica dello Stato, con supplenza nel caso di impedimento del Presidente della Repubblica.
Infatti la ancora vigente Costituzione, che non è certamente quella meravigliosa proclamata da Roberto Benigni, nella parte riguardante il Parlamento, con le due camere dei deputati e senatori, aveva dato prova di saggezza, dando al Senato una maggiore età per eletti ed elettori, ed una maggiore durata rispetto alla Camera dei Deputati, evidentemente nel timore che un voto popolare, portasse ad uno sconvolgimento dell’intero assetto politico ed istituzionale. L’Italia allora non era, ed ancora non lo è del tutto nemmeno oggi, un paese come il Regno Unito di Gran Bretagna e Stati Uniti d’America, dove l’alternanza governativa non mette in pericolo le libertà fondamentali dell’individuo ed i suoi diritti, a cominciare da quello di proprietà, per cui correva il rischio, evitato il 18 aprile 1948, di perdere le une e gli altri.
Visto il risultato, da non dimenticare mai, di quelle elezioni e lo scampato pericolo di una vittoria social comunista, qualche tempo dopo disparve la disparità della durata delle due Camere, ma rimasero le altre differenze e proprio in occasione della malattia del presidente Antonio Segni, avemmo una lunga supplenza di una persona del livello politico e culturale di Cesare Merzagora, all’epoca Presidente del Senato. Adesso questa supplenza spetterà al Presidente della Camera, per cui si dovrà pensare e meditare, prima di eleggerlo, sulla esperienza politica e parlamentare, anche eventualmente governativa, del candidato e non mandare “dilettanti allo sbaraglio”, come avvenuto in qualche caso durante la cosiddetta “seconda repubblica”.
L’attuale discredito nel quale sono cadute le istituzioni parlamentari, l’affermarsi di movimenti populistici di contestazione del “sistema”, ha favorito l’operazione governativa, insieme con la campagna mediatica sulle doppie maggioranze, sulle doppie letture, sulle doppie votazioni, sul numero eccessivo dei parlamentari, circostanze tutte modificabili senza buttare via l’acqua sporca del catino insieme con il “neonato”. cioè il Senato.
Renzi ha però parlato di un referendum finale che suggelli i cambiamenti apportati alla Costituzione, per cui prepariamoci ad esprimere un “no”, deciso e documentato, anche perché in queste modifiche vi è pure la demagogica eliminazione delle Province, antico istituto più vicino e sentito dai cittadini, che non le Regioni, mentre continua ad essere “sacro ed inviolabile”, l’articolo 139 che sottrae al popolo la possibilità di modificare la forma istituzionale dello Stato.
19 marzo 2015
C’è sempre corruzione
dietro lo spreco di denaro pubblico *
di Salvatore Sfrecola
Propongo ai lettori di Logos una riconsiderazione del fenomeno corruzione in termini in parte diversi da quelli che caratterizzano la prevalente pubblicistica, tecnica e giornalistica, che considera quasi esclusivamente il profilo penale degli illeciti. È mia opinione, infatti, che la corruzione si annidi in ogni gestione impropria di denaro pubblico, in sostanza in quelli che chiamiamo sprechi, dei quali si chiede, invano, l’eliminazione.
Spese inutili o eccessive, cattiva gestione del patrimonio pubblico (lo Stato italiano è, tra tutti, il più grande proprietario immobiliare eppure molti uffici pubblici sono in affitto da privati “amici”) nascondono spesso favori a fronte dei quali l’autorità pubblica che decide, amministratore o funzionario, riceve un vantaggio che, quando non è costituito dalla classica “mazzetta”, assicura comunque “altra utilità”, come si esprime il codice penale (art. 318). Si tratti di un incarico professionale ben remunerato, dell’assunzione di un parente, di vacanze gratis, dell’intestazione di auto o di un immobile, acquistato dal pubblico ufficiale totalmente o parzialmente “a sua insaputa”. La stampa ha dato recentemente notizia del rinvio a giudizio di medici i quali traevano vantaggi di vario genere da prescrizioni indebite, perfino del latte artificiale per neonati. Latte di una particolare marca, com’è ovvio.
Naturalmente concorrono nell’illecito di chi decide anche coloro che omettono di vigilare. E qui si apre la finestra su una vasta gamma di comportamenti, di coloro i quali sono tenuti ad approvare i contratti di appalto di lavori o forniture, sotto il profilo della legittimità delle clausole giuridiche e della congruità dei prezzi e dei tempi delle realizzazioni o della rispondenza dei beni alle necessità delle amministrazioni. Non sfugge a nessuno che amministrazioni ed enti si trovano sovente a soccombere negli arbitrati come nella definizione degli “accordi bonari” e nelle aule dei tribunali. E questo è certo l’effetto di errori che potrebbero essere, se non voluti, certamente sfuggiti ad occhi che non sono stati vigili, come il ruolo dell’amministratore o del funzionario avrebbe richiesto.
Situazioni evidenti in quelle vicende delle quali sovente le inchieste degli organi di informazione hanno dato conto, si tratti di lavori o forniture inutili o eccessivamente costose. Si va dalla stazione ferroviaria di Matera da anni completata e mai utilizzata perché mancano i binari, alle tante opere non completate o completate con gravissimo ritardo, come il carcere di Capanne a Perugia, consegnato all’Amministrazione penitenziaria molti anni oltre la previsione contrattuale, quando è andato a svolgere funzioni di Provveditore alle Opere Pubbliche un funzionario di valore che ha saputo superare le difficoltà, molte pretestuose, frapposte dalle imprese titolari del cantiere. Ritardi che determinano sempre aggravi di spese perché con il passare del tempo aumenta il costo dei materiali e del personale. E spesso occorrono varianti progettuali, sulla base di perizie quasi mai giustificate da ragioni obiettive, come la classica “sorpresa geologica” che dovrebbe essere rarissima se il progetto si è avvalso di idonei accertamenti geognostici.
Accade spesso che l’opera completata esiga presto interventi di manutenzione straordinaria. Tutto questo perché evidentemente qualcuno non ha controllato i lavori in corso d’opera o al momento del collaudo. Raramente paga l’impresa, mai il collaudatore, incapace o infedele.
A parte le sanzioni possibili, ma rare, i collaudatori dovrebbero essere soggetti a regole rigide. Pagati bene e scelti per la loro professionalità ed esperienza, i collaudatori dovrebbero essere messi al riparo da “tentazioni”, quali l’aspettativa di un incarico dall’impresa i cui lavori hanno collaudato o da imprese collegate, almeno per un quinquennio. Non solo, uguale limitazione dovrebbe riguardare i familiari e gli affini che potrebbero essere gratificati di incarichi ben remunerati per “ringraziare” il collaudatore compiacente.
Sprechi, dunque, di risorse dei bilanci pubblici che concorrono a determinare quella “percezione” della corruzione che ha indotto Transparency International ad indicare l’Italia, a fine 2014, nel suo ultimo Corruption perception index, quale il paese più corrotto d’Europa. Non una novità se, all’inizio del secolo scorso Giovanni Giolitti, grande statista anche se politico controverso, amato ed odiato, come da Gaetano Salvemini che l’aveva definito “il Ministro della malavita”, sosteneva che solo la presenza della Grecia impediva all’Italia di essere, in quel periodo, il paese più corrotto d’Europa.
Oggi siamo al 69esimo posto, secondo la richiamata indagine, come nel 2013. Ci hanno raggiunto Bulgaria e Grecia che così hanno migliorato la propria posizione. Dietro di noi non c’è nessuno dei paesi dell’Unione Europea. Ultimi anche nel G7. Mentre nel G20 stanno meglio di noi Usa e Canada, Arabia Saudita e Turchia.
Il dato è sempre quello della corruzione “percepita”, così come ritenuta sulla base di vari indici e dalle interviste attraverso le quali Transparency International registra valutazioni e opinioni di istituzioni, imprese, persone. Elementi che non permettono all’Italia di raggiungere la sufficienza, 43 punti su 100.
Corruzione “percepita”, pertanto rilevata sulla base di indicatori che attengono a quel che la gente ritiene un comportamento che realizza un vantaggio economico od altra utilità per il pubblico ufficiale “per l’esercizio delle sue funzioni”, ovvero “per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio”.
Il dato è contestato da quanti insistono nel ricondurre la corruzione all’interno delle indagini e dei processi, ciò che ridurrebbe di molto il fenomeno, se si pensa che sul versante penale i fatti emergono quasi sempre dopo molti anni, con l’accertamento della prescrizione del reato, ogni volta che la corsa a ritardare premia il “presunto innocente” che si guarda bene dal chiedere una sentenza che lo assolva nel merito. Poche battute per dire che il sistema così non va, tanto che sono in cantiere modifiche, peraltro controverse, della normativa codicistica appena revisionata dalla legge 190 del 2012 (anticorruzione).
Lo dimostra la geografia degli scandali che nei mesi scorsi ha riguardato “grandi opere”, dall’Expo 2015 al Mose di Venezia, che hanno messo subito alla prova l’Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac) diretta da Raffaele Cantone, un magistrato di grande esperienza nella lotta alla criminalità organizzata. Ma anche i recenti rinvii a giudizio per “Mafia Capitale”.
E qui un’altra mia convinzione. Per combattere il malaffare nel nostro Paese non basta il ricorso al codice penale, un’illusione che ha dimostrato limiti gravissimi. La corruzione si può limitare solamente attraverso la individuazione di indici di danno alla stazione appaltante, come un’opera inutile o acquistata a costi eccessivi, realizzata in difformità dal progetto e con materiali scadenti. Occorre, in una parola, colpire là dove si realizza quell’illecito guadagno che è la finalità dell’accordo tra corrotto e corruttore. Il quale deve recuperare il prezzo dell’illecito (la tangente) e guadagnare oltre. Ciò che è possibile, come si è visto, attraverso i ritardi nella realizzazione dell’opera, le perizie di variante e, soprattutto, l’esecuzione dell’opera non a regola d’arte o con materiali scadenti. Situazioni delle quali si sarebbero dovuti accorgere il direttore dei lavori, il collaudatore in corso d’opera ed il collaudatore finale.
Se, poi, pensiamo che la maggior parte delle opere pubbliche viene realizzata da imprese che hanno ottenuto l’appalto con forti ribassi, spesso non remunerativi, è evidente che l’imprenditore cerca di “recuperare” sui guadagni sperati se non sulla tangente, sempre con l’acquiescenza di chi dovrebbe controllare.
Finché non si andrà a vedere come sono state realizzate le opere ed assicurate le forniture di beni e servizi ed a quali costi non si frenerà lo spreco. Quando non si tratta di “operazioni inesistenti”, la finzione di un acquisto. Non sono casi rari.
In questa guerra al malaffare in primo luogo dev’essere impegnata l’Amministrazione pubblica i cui bilanci sono fortemente incisi dagli sprechi. Che stavolta non è sola. L’Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac) mette a disposizione uomini e competenze, in parte acquisiti con l’incorporazione dell’Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici (Avpc), per promuovere la trasparenza della pubblica amministrazione attraverso la pubblicazione online di spese e compensi, far attuare i piani anticorruzione. Anche con più attività ispettiva, in collaborazione con la Corte dei conti e la Guardia di Finanza.
C’è anche un profilo “politico” da considerare, che ci fa dire, sulla base dell’esperienza, che spreco e corruzione sono necessariamente bipartisan.
Sono in molti a mostrarsi stupiti del fatto che le indagini condotte dalla Procura della Repubblica di Roma su episodi di corruzione che hanno visto coinvolti oltre 100 amministratori e funzionari pubblici abbiano riguardato appartenenti alla destra e alla sinistra uniti in un consorzio criminale che li ha portati ad arricchirsi ai danni della finanza pubblica.
Stupisce lo stupore che non è chiaro se in buona fede o frutto di colpevole dabbenaggine, perché è evidente che questi comportamenti corruttivi presuppongono la connivenza di chi è all’opposizione oppure una colpevole distrazione rispetto all’attenzione che in un regime democratico va riservata a chi governa. Ugualmente latitanti appaiono all’evidenza gli organi di controllo, considerato che le operazioni che gravano sulla finanza pubblica sono facilmente riconoscibili da parte di chi è chiamato a verifiche di legittimità, di regolarità contabile e di efficienza. Voglio dire che l’intesa criminale diretta ad assunzioni non consentite, ad acquisti non necessari od a prezzi eccessivi ovvero di forniture scadenti costituiscono elementi indiziari i quali consentono al controllore interno od esterno di affondare le mani nella gestione illecita. Per non dire delle consulenze inutili che premiano i clientes di ministri e assessori.
Troppo spesso, invece, questi controlli sono formali, soprattutto quando effettuati da organismi di controllo interno che, come diceva Beniamino Finocchiaro, sono per definizione inutili quanto alla loro capacità di intercettare l’illecito. Trattasi, infatti, di organismi che vedono coinvolti soggetti dell’amministrazione colleghi di coloro i quali hanno effettuato per disposizione o d’intensa con il politico corrotto gli acquisti di beni o servizi a danno della finanza pubblica.
Come insegna la storia, le infrastrutture, ma anche le forniture, vengono assai spesso immaginate e localizzate in ragione di interessi locali o personali del titolare di un potere di scelta ampiamente discrezionale. Naturalmente ciò non esclude che opere e forniture, pur così originate, siano necessarie e realizzate bene ed acquisite a costi giusti.
Per far comprendere ai nostri lettori di cosa parliamo, giorni addietro la televisione ha dato notizia che in una cittadina di 28mila abitanti è stato costruito un campo di polo dimensionato su 20mila spettatori. Non servono spiegazioni o commenti. Attenzione, non un campo di calcio, che sarebbe stato comunque sovradimensionato rispetto ai possibili utenti, ma un campo di polo, uno sport che, come tutti sanno, è popolare e diffuso in Italia!
In questa scelta si inserisce, come l’esperienza insegna, una diversa variabile. Quella che attiene all’impresa “predestinata” a realizzare l’opera o ad assicurare la fornitura di beni e servizi. Non sembri un’eresia nel Paese nel quale regole dettagliate disciplinano il procedimenti di gara in applicazione anche della normativa europea in tema di concorrenza.
Il fatto è che il progetto viene spesso confezionato tenendo presente le caratteristiche di una determinata impresa, delle sue specifiche, reali o presunte, capacità tecniche e dell’esperienza maturata nello specifico settore. Così la scelta del fornitore.
Nonostante gli scandali che quotidianamente impegnano i mezzi d’informazione c’è una tendenza in alcuni ambienti politici a proporre riduzioni di controlli. È estremamente pericoloso, perché minori verifiche amministrative e contabili aprono la strada a controlli giudiziari che non è possibile limitare, anche se è il desiderio non troppo nascosto di imprenditori e politici. A cominciare da quelli dei Tribunali Amministrativi Regionali attivati da ricorsi di concorrenti esclusi dalle gare o risultati soccombenti in una gara pilotata. L’effetto in questo caso è spesso la sospensione della procedura con effetti negativi sulla realizzazione dell’opera, quando effettivamente necessaria, ed alte grida di politici e giornalisti che se la prendono con i giudici che tutelano diritti che l’amministrazione potrebbe aver violato. I politici se ne lamentano ma, in realtà, i ritardi dovuti a procedure sospese dai giudici fanno comodo perché generano spesso quello stato di emergenza che giustifica proroghe di contratti scaduti e deroghe alle leggi. Proroghe e deroghe nelle quali s’insinuano sprechi e corruzione.
Un rischio grosso per il Paese e per la comunità. La corruzione, infatti, oltre a danneggiare gravemente la concorrenza, nel senso che espunge dal mercato le imprese serie non disponibili a pagare la tangente crea un grave pregiudizio all’immagine dell’Italia che tiene lontane le imprese straniere, assai più della pur grave lentezza della giustizia civile.
*Articolo destinato alla Rivista Logos diretta dal Prof. Giuseppe Valditara
Da Il Foglietto della ricerca
Meritevoli. E blocco scatti per i docenti universitari
Dalla Buona Scuola secondo Matteo: 21 euro ogni tre anni per gli insegnanti più meritevoli. E blocco scatti per i docenti universitari
di Roberto Tomei
Come nel gioco dell’oca, in questi ultimi giorni, Renzi è tornato al punto di partenza: la scuola.
L’unica differenza evidente, rispetto alle prime settimane del suo governo, è che adesso non gira più per le aule della penisola, tra bambini che lo festeggiano e grandi che lo contestano, ma fa tutto da Roma.
Pare esserci, in verità, anche qualche novità più di sostanza.
In cima ai pensieri del governo, infatti, questa volta non c’è solo l’ormai consunto (mediaticamente, s’intende) cavallo di battaglia dell’edilizia scolastica – più da mettere in sicurezza che da sviluppare, come ci ricordano i periodici crolli denunciati da stampa e televisione – ma nientemeno che la riforma della carriera degli insegnanti, finalmente memori che la scuola si fa, oltre che con i muri, anche con i professori, categoria, come tutte quelle del pubblico impiego, comprensibilmente a caccia di aumenti, dopo più di un lustro di blocco degli stipendi.
Forse a causa della scarsa dimestichezza col principio di eguaglianza, di cui si è detto qualche settimana fa, sta di fatto che, dopo averli negati ai docenti universitari, il governo sembra ora tutto concentrato sugli scatti stipendiali degli insegnanti delle altre scuole, da quelle dell’infanzia alle superiori.
E qui viene il bello. Stando, infatti, ai boatos che filtrano dalle aule parlamentari, pare proprio che aumenti di stipendio non solo non siano all’orizzonte ma addirittura si profili una perdita secca per tutti, persino per “i meritevoli”, la punta di diamante della Scuola 2.0.
Secondo calcoli fatti sui fondi di attribuzione delle risorse, per i docenti meritevoli ci sarebbero, ogni tre anni, dai 21 ai 30 euro mensili lordi di aumento, mentre, per tutti gli altri, solo 10 euro al mese di incremento, sempre ogni tre anni e sempre lordi.
E meno male che questa è La Buona Scuola. Figuriamoci se era cattiva.
Attualmente, infatti, un docente delle superiori che ha prestato otto anni di servizio, solo per questo motivo prende 195 euro lordi mensili in più sullo stipendio, che scendono a 156 per i docenti di scuola d’infanzia e primaria. Evidentemente, più dei “meritevoli”.
Insomma, per non illudere nessuno, forse è il caso di far bene i conti. Altrimenti, si stava veramente meglio quando si stava peggio.
11 marzo 2015
Logos, una rivista di cultura politica
diretta dal Prof. Giuseppe Valditara
Pubblichiamo l’editoriale del Prof. Giuseppe Valditara, ordinario di Istituzioni di diritto romano nella Facoltà dei giurisprudenza dell’Università degli studi di Torino, di presentazione della Rivista telematica Logos in vista della pubblicazione del primo numero prevista per la fine del mese di marzo.
La Rivista si avvarrà di un Comitato Scientifico composto da personalità del mondo della cultura in tutti i rami del sapere.
Nasce una Rivista di cultura politica animata dalla passione civile di alcuni cittadini.
Due sono i rischi in questo difficile frangente per l’Italia: da una parte lo smarrimento, la delusione, e quindi la fuga e il disimpegno; dall’altra il lento scivolamento delle menti e delle volontà verso il pensiero unico. Noi non ci vogliamo arrendere: vogliamo un futuro diverso. Crediamo che sia possibile la costruzione di un’alternativa culturale e programmatica, prima ancora che politica. Siamo anche convinti che il pluralismo delle idee e la vivacità delle proposte e delle riflessioni sia fondamentale per la crescita democratica della nostra nazione.
Ecco dunque perché il nome Logos. Il significato in greco è “parola, discorso, racconto, studio, ragionamento, argomento”. Il filosofo Eraclito parla di “logos” come “principio universale che regola secondo ragione e necessità tutte le cose”; viene citato il logos anche in Platone, nello stoicismo e vi sono menzioni sia nel giudaismo alessandrino sia nel cristianesimo, dove “logos” compare all’inizio del vangelo di Giovanni (“in principio era il logos”, tradotto in latino come “verbum” e quindi in italiano come “verbo”), concetto legato alla “divina sapienza”; nella filosofia contemporanea “logos” corrisponde al “pensiero critico, razionale ed oggettivo”.
La scelta di questo nome richiama quindi il valore della parola, del ragionamento, della sapienza, del confronto: il nome “logos” in sé riassume lo scopo della rivista che si propone di affrontare temi disparati in modo oggettivo e razionale, scientifico, promuovendo l’incontro ed il confronto tra esperti che divulgano e comunicano direttamente con i lettori.
Logos sarà in particolare una rivista che vuole dare risposte ai problemi, alle preoccupazioni ed alle aspirazioni della gente comune. Noi non stiamo dalla parte delle oligarchie, ma di quei tanti che sono la vera spina dorsale di questo paese: quelli che “tirano la carretta” tutti i giorni, la maggioranza morale delle persone per bene, la grande massa dei “produttori”. Contro i “poteri forti”, le caste e le “lobbies” occorre ripartire dal principio della sovranità del popolo, sancito nell’art. 1 della Costituzione.
Guardiamo con interesse alle novità della politica, a coloro che hanno il coraggio di parlare chiaro, di essere anche politicamente scorretti, di denunciare quei problemi che gli italiani vogliono siano affrontati con decisione, creatività, efficacia.
In particolare guardiamo con interesse al tentativo di costruire una “ligue nationale”. Usiamo questo termine non per esterofilia, ma perché non vogliamo prefigurare soluzioni nominalistiche e desideriamo esprimere una esigenza sentita da tutti noi. Vogliamo esplicitamente agevolare l’evoluzione e l’affermazione di questo percorso politico offrendo idee, proposte, pensiero, raccogliendo intelligenze libere e coraggiose.
Non sarà una rivista “urlata”: siamo alieni da qualsiasi demagogia, saremo rigorosi e costruttivi, ma per essere costruttivi occorre dire chiaro come la pensiamo e criticare, anche duramente, ciò che riteniamo sbagliato.
Le persone che hanno dato la loro disponibilità a partecipare al comitato scientifico provengono da aree politico-culturali diverse: di destra, di centro e di sinistra. Siamo tutti accomunati dall’amore per la libertà, intesa come valore politico e morale, dalla condanna netta di ogni forma di totalitarismo, del passato e del presente, e dall’amore per la nostra repubblica. In questa condivisa direzione, noi ci muoveremo.
6 marzo 2015