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Febbraio 2019

La deriva antiscientifica del Gender
di Dina Nerozzi, Neuropsichiatra
Per qualcuno “la teoria del gender” non esiste è una bufala inventata da qualche sovversivo reazionario. Esisterebbero solo i gender studies che sono studi di tipo letterario, culturale, sociale, scientifico e niente più. Si può capire l’incredulità perché la rivoluzione di genere è talmente estrema da risultare poco credibile. Quella in corso è una guerra culturale e in guerra bisogna conoscere il nemico.
Era il 1992, tre anni dopo la caduta del muro di Berlino e un anno dopo la dissoluzione dell’URSS, quando il politologo economista americano Francis Fukuyama pubblicava il suo best seller “The End of History and the Last Man” in cui veniva annunciato al mondo che l’umanità era in procinto di raggiungere l’apice del suo progresso e il raggiungimento della società ideale. Con la fine dell’esperimento dell’Unione Sovietica il mondo si avviava a dar vita alla società globalizzata e perfetta dove nessuna ideologia avrebbe avuto diritto di cittadinanza.
Secondo Francis Fukuyama, e secondo quanti molto si erano impegnati per decretare il successo dell’idea, l’essere umano era stato liberato da ogni vincolo che non fosse quello della scienza in cui bisognava credere ciecamente, come l’unica verità degna dell’uomo moderno.
Tutti dovevano essere convinti che le ideologie del passato, foriere di guerre e distruzioni, erano state riposte negli armadi della storia, si era ormai alle soglie di un mondo nuovo. Si sa che se si ripetono le cose un numero sufficiente di volte anche i più scettici, prima o poi, verranno convinti, salvo poi doversi ricredere di fronte alle evidenze che dimostrano il contrario.
Per ideologia si intende un sistema di idee, coerente e strutturato, ipotizzato a livello filosofico e proposto come interpretazione totale ed arbitraria della realtà. Ogni ideologia ha come obiettivo l’utopia della società perfetta e, dato il fine nobilissimo che si intende raggiungere, tutti i mezzi sono giustificati.
L’ideologia di genere è il nuovo volto dell’ideologia marxista e rappresenta il tentativo di cancellare le leggi della Biologia, della Genetica, delle Scienze Naturali, ritenute obsolete a fronte dell’avanzare della Tecno-scienza, e la loro sostituzione con artifici Bio-giuridici inventati dall’uomo. È dunque un’Ideologia che dichiara guerra non solo alla natura ma anche alla scienza e utilizza il potere giudiziario per imporre una nuova visione del mondo e una precisa agenda politica di stampo totalitario.
Anche se l’irruzione dell’idea che l’anatomia, la fisiologia, la genetica siano realtà malleabili e soggette alla volontà umana sembra un fenomeno spuntato all’improvviso come un fungo dopo le piogge d’agosto, il terreno di cultura e il reticolo sotterraneo che lo hanno consentito sono stati presenti per centinaia di anni in attesa del momento favorevole per poter emergere.
Il reticolo sotterraneo è rappresentato dal processo di secolarizzazione della società che aveva lo scopo di liberare le istituzioni, la cultura e la prassi dall’influenza nefasta della Chiesa considerata come fonte di superstizioni e pregiudizi intollerabili nell’era moderna. Se l’obiettivo cercato era creare una società in armonia con i tempi moderni e con la scienza, bisogna dire che il risultato ottenuto è stato esattamente l’opposto.
La Rivoluzione filosofica
Il primo ad avviare il processo di distruzione dei principi fondanti per l’agire scientifico, oggettività e non contraddizione, fu il filosofo francese René Descartes (1596-1650) con il suo “Cogito ergo Sum” il quale, in buona sostanza, afferma che la realtà non esiste se non come costruzione della mente umana.
Il passo successivo venne effettuato dal filosofo inglese John Locke (1632-1704) con la sua teoria della “Tabula Rasa” che portò avanti l’idea della inesistenza di una natura umana predefinita per cui è la cultura ad avere il ruolo predominante nel plasmare l’individuo.
L’altro punto di passaggio fondamentale fu quello messo a punto da Jean J. Rousseau (1712-1778) che riuscì nell’impresa di modificare il principio di responsabilità che da individuale si trasformava in collettivo, dato che, a suo giudizio, l’individuo è buono mentre la società è cattiva.
In tutte queste posizioni filosofiche esiste una piccola parte di verità che però non basta per scardinare la realtà oggettiva delle cose.
In poco più di un secolo il pensiero filosofico del mondo occidentale era stato letteralmente capovolto. Accantonato il principio di realtà, era stata imboccata la nuova esaltante via dell’autodeterminazione, mentre il principio di responsabilità andava a ricadere sulle spalle dell’intera società che doveva essere considerata la vera malata e colpevole, ben sapendo che là dove tutti sono colpevoli non può esistere alcuna colpa.
A dare man forte alla nuova impostazione filosofica, culturale e sociale sul finire del ‘700 giunse l’opera del pastore protestante Robert Malthus (1766-1834) con il suo saggio “An Essay on the Principle of Population as it affects the Future Improvement of the Society” del 1798 in cui venivano riportate le sue previsioni apocalittiche sul destino dell’umanità se non fosse stato posto un freno all’eccesso della natalità. Per salvare il pianeta e l’intera società da un futuro gramo era necessario attuare un rigido controllo della popolazione da conseguire attraverso il ritardo, o meglio, l’abolizione del matrimonio e ponendo un freno all’attività sessuale. Solo in un secondo momento egli sponsorizzò l’avvento di un individualismo radicale che prevedeva che ognuno dovesse provvedere alle proprie necessità il che significava, nella pratica, la legge della giungla, ovvero la sopravvivenza del più forte, esattamente come si verifica nel mondo animale.
Entra in campo la Scienza
In un mondo in cui la scienza rappresentava l’unico faro nel mare dell’esistenza, era indispensabile dare una spiegazione scientifica della creazione del mondo e della vita che contrastasse la narrativa mitologica messa in campo dalla religione. Questo compito fu portato a compimento con l’entrata in scena di Charles Darwin e con la sua pubblicazione “On the Origin of the Species by means of Natural Selection or the Preservation of Favorite Races in the struggle for life” del 1859.
L’opera di Darwin è stata monumentale e affascinante è stato il suo tentativo di comprendere l’origine delle specie, ma il suo ragionamento partiva con una lacuna insanabile: l’impossibilità di dare una dimostrazione scientifica di come fosse sorta la scintilla della vita, quella proteina da cui si sarebbe, poi, sviluppato tutto il resto. Si dovrebbe ammettere, per onestà mentale, che non sono state ritrovate quelle evidenze che avrebbero dovuto confermare la veridicità dell’assunto di base, infatti gli studi successivi non hanno potuto dimostrare l’esistenza di quelle specie intermedie che si sarebbero dovute reperire nei fossili come prova dell’evoluzione da una specie all’altra. (per una review esaustiva sull’argomento vedi Harun Yaya “L’inganno dell’evoluzione” contro cui si è mobilitato perfino il Consiglio d’Europa con la Risoluzione 1580/2007 contro “I Pericoli del Creazionismo nell’Istruzione”).
Il mondo progressista che ha impostato tutta la sua ragion d’essere sull’ipotesi evoluzionista darwiniana, considerato il trionfo del materialismo dialettico, si trova nell’impossibilità di accettare la verità pena il crollo di tutto l’edificio costruito nel corso di un secolo e mezzo in nome della scienza e per contrastare i pregiudizi religiosi. E pur di far trionfare la sua idea è disposto anche a fabbricare l’uomo di Piltdown, un reperto archeologico rimasto per più di  cinquant’anni in mostra al museo di Storia Naturale di Londra come prova scientifica del famoso “anello mancante” prima di venire smaschero come clamorosa frode a danno degli ignari visitatori del museo.
Nel tentativo di difendere una la teoria costruita sulle sabbie mobili, gli ideologi progressisti hanno inventato tutto un percorso pseudoscientifico in modo da creare una cortina fumogena indispensabile per continuare a contrabbandare la menzogna nascosta dietro una parte di verità.
La Microevoluzione all’interno della specie è un dato di fatto incontrovertibile che nessun essere razionale si sogna di contraddire. La Macroevoluzione Darwiniana, quella che serve per far avanzare l’ideologia progressista sotto l’egida della scienza, è un mito che deve essere smascherato.
Non va dimenticato che il prodotto politico dell’evoluzionismo Darwiniano è stato un regime che ha fondato la sua ragion d’essere sull’esistenza di una razza superiore che avrebbe dovuto dominare le altre, anche se si tende a cancellare la matrice ideologica posta alla base del nazional-socialismo che sta ritornando prepotentemente.
Se l’impostazione ideologica su cui si è costruita un’azione politica si rivela errata come si fa a difendere l’indifendibile? Chi ci aiuta a capire come il mondo progressista affronti una realtà contraria alla sua impostazione ideologica, è Gyorgy Lukacs, uno dei rappresentanti più autorevoli della Scuola di Francoforte, e politicamente orientato verso il comunismo, l’altro mostro che ha insanguinato il ‘900.
“Tutta la scienza e tutta la letteratura devono servire esclusivamente alle esigenze propagandistiche formulate dall’alto, dallo stesso Stalin? La comprensione ed elaborazione autonoma della realtà?. era bandita per sempre” (Gyorgy Lukacs “Marxismo e Politica Culturale” 1959 Il Saggiatore)
La “verità” politicamente corretta ha bisogno del sostegno costante della propaganda perché non essendo fondata sulla roccia dei dati di fatto non ha altra scelta. Gyorgy Lukacs, infatti, dice chiaramente come la questione non sia la ricerca della verità delle cose bensì il potere e con esso la capacità di ricreare il mondo secondo i propri desideri, anche contro le leggi della natura, dato che la natura è solo un’invenzione della religione e dei populisti bigotti.
A tal proposito Lionel Trilling, critico letterario newyorkese, scrisse un articolo illuminante subito dopo la pubblicazione del Rapporto Kinsey, che segnò l’avvio della rivoluzione sessuale, in cui si legge:
“Coloro che asseriscono e praticano le virtù democratiche ?.prenderanno come assunto che, a eccezione delle difficoltà economiche, tutti i fatti sociali devono essere accettati non solo a livello scientifico, ma anche sociale. Non si dovranno esprimere giudizi su di loro e sarà considerata anti-democratica ogni conclusione tratta da coloro che recepiscono valori e conseguenze”
(Lionel Trilling: The Kinsey Report in “Partisan Review” del 9 Aprile 1948)
Nello stesso periodo in cui le virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza) venivano sostituite con le virtù democratiche (tutti i fatti sociali devono essere accettati senza pregiudizi), il mondo progressista innestò il pilota automatico per far avanzare la sua visione utopica della società con il cambiamento della definizione di salute effettuato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, guidato dal maggior-generale Brock Chisholm, che dalla pragmatica dizione “assenza di malattia e disabilità” veniva trasformata in:
“uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia o infermità”.
Questa definizione utopica di salute era un passaggio indispensabile per poter avviare la rivoluzione culturale e sociale nel campo della sessualità e della riproduzione che era nella mente di “coloro che asseriscono e praticano le virtù democratiche”, infatti sarebbe stato impossibile con la precedente definizione considerare la condizione fisiologica della gravidanza come una malattia e l’aborto, garantito dallo stato, la sua terapia.
Un ausilio importante alla nuova impostazione culturale era giunto dall’opera di Sigmund Freud (1856-1939) che aveva scardinato il pilastro portante della civiltà giudaico-cristiana rappresentato dal controllo delle pulsioni. A giudizio dell’inventore della psicanalisi, il contenimento della pulsione sessuale era nocivo per la salute mentale ragion per cui dar libero sfogo alle pulsioni sessuali diventava una sorta di medicina preventiva che bisognava favorire.
Ogni volta che viene messo in discussione un principio basilare dell’edificio della civiltà si ricorre all’escamotage della tutela della salute, un argomento che trova sempre convinti sostenitori. Altro argomento principe che viene invocato quando è necessario scardinare i principi di base della civiltà giudaico-cristiana è quello della pace, oltre, naturalmente, quello della libertà e dell’uguaglianza.
Se il principio portante della civiltà è il controllo delle pulsioni, non si può fare eccezione per la pulsione sessuale pena il crollo dell’intero edificio perché la pulsione è, per sua natura, in conflitto con la parte razionale dell’uomo, quel Logos che lo rende simile a Dio. Cancellato Dio dall’orizzonte dell’uomo, scompare anche il Logos e l’uomo si trasforma in un animale che risponde unicamente agli istinti, con riflessi condizionati stile Pavlov, esattamente come accade nel mondo animale.
Il Ritorno del Darwinismo Sociale
Se l’Evoluzionismo Darwiniano è un fatto reale, come sostengono i progressisti, e se la specie umana è inserita in un continuum evolutivo per meglio adattarsi all’ambiente, ne consegue che, con l’acquisizione delle attuali  conoscenze scientifiche e capacità tecnologiche, l’essere umano è in grado di dirigere in autonomia il processo evolutivo della specie nel modo ritenuto più utile per l’individuo e per la società. La decisione spetta alla Politica sempre più ostaggio delle esigenze dell’Economia e della Finanza.
Da Malthus in poi l’eccesso della popolazione è diventato uno spettro che aleggia sul pianeta destinato a minarne l’esistenza, dal momento che gli esseri umani sono paragonati alle cavallette che devastano la santa Madre Terra. Inizialmente la catastrofe incombente era da imputare alla penuria di cibo, ora l’allarme si è spostato sulla carenza d’acqua e sui cambiamenti climatici che sarebbero una conseguenza della sovrappopolazione e dell’azione umana. Anche in questo caso la verità parziale è che l’uomo è sicuramente in grado di devastare alcune aree del pianeta, anche vaste, quando a guidarne l’agire sono l’incuria e il profitto, ma sembra difficile che possa essere in grado di influenzare l’attività solare dato che a dettare il clima sul pianeta non sono gli esseri umani bensì il sole, fino a prova del contrario. Né l’uomo è in grado di fermare il vento che soffia dove vuole e porta le nuvole e la pioggia, il caldo e il freddo, a seconda da dove tragga origine indipendentemente dalla volontà umana.
Per seguire un’impostazione irrazionale dell’uomo che pretende di sostituirsi a Dio, nel bene come nel male, stiamo assistendo alla devastazione di una civiltà plurimillenaria costruita sul Principio di Realtà oggettiva e al suo posto vediamo sorgere un’organizzazione artificiale e utopica della società che si materializza attraverso un’operazione di ingegneria sociale che spaventa data la sua manifesta irrazionalità .
Nel nuovo mondo secolarizzato la realtà non esiste, è la politica che decide cosa sia il bene e il male, il vero e il falso per cui si può scegliere il genere di appartenenza indipendentemente dal sesso biologico, non esiste una sessualità “naturale” mirata alla conservazione della specie e l’apparato genitale, perduta la sua funzione riproduttiva, serve solo a soddisfare le pulsioni sessuali. Nel nuovo mondo la diversità va celebrata come una “virtù democratica” e un comportamento moralmente superiore così come si può programmare la fecondazione artificiale  eterologa a spese di un Sistema Sanitario Nazionale al collasso che fa fatica a garantire le cure per i malati di cancro.
Nel meraviglioso mondo nuovo ipotizzato da Francis Fukuyama, dopo la dissoluzione dell’URSS, non esistono più destra e sinistra, liberali e conservatori, marxisti e capitalisti, tutti collaborano al “progresso”, la sinistra con le sue derive utopiche e la destra con il suo spirito imprenditoriale per cui tutto si trasforma in mercato dove ogni cosa ha un prezzo e niente ha un valore.
In questo scenario il nemico numero uno del compromesso storico liberal-progressista è la natura umana e la sua abbondanza. L’obiettivo ultimo della rivoluzione di genere è quello di rendere sterile la capacità generativa dell’essere umano e trasformare il dono di natura della vita in un prodotto da commercializzare. In questo modo solo chi ha a disposizione i mezzi materiali potrebbe permettersi il lusso di procreare, per gli altri gli organi genitali dovrebbero servire solo a scopo ricreativo con buona pace dell’uguaglianza e della libertà tanto sbandierate.
Un governo inadeguato
di Salvatore Sfrecola

Inadeguato. Non c’è altra parola per definire il governo gialloblù la cui strategia Aldo Cazzullo ha indicato sul Corriere della Sera di oggi essere quella del “rinvio”. Di tutto, dalle grandi opere, TAV in testa, alla questione dell’autonomia delle regioni che l’hanno sollecitata, alla legittima difesa, questione modesta sul piano giuridico ma bandiera antica della lega.
Non solo, al di là delle enunciazioni, degli slogan, ai quali pure ci aveva abituato Matteo Renzi, questo governo, all’evidenza, non ha una strategia adeguata all’attuale momento storico. Ad esempio, per contrastare la recessione incombente, una situazione destinata ad aggravare un malessere sociale al quale non può certo mettere riparo il “reddito di cittadinanza” o la manovra pensionistica (quota 100). Il primo è destinato a rimanere confinato in un ambito limitato. In ogni caso le manovre redistributive possono creare equità sociale ma non generano ricchezza perché trasferiscono capacità di spesa da una categoria di cittadini ad altre. Con effetti vicini allo zero. Soprattutto quanto all’aumento dei consumi e, quindi, dell’occupazione che è evidente obiettivo di una politica di sviluppo.
La strada è, invece, quella classica che ci consegna l’esperienza e la dottrina economica, di immettere risorse in iniziative che determinano l’impiego di capitali e l’occupazione e che abbiano un valore nella creazione di utilità per l’economia dei territori. Tipici di questa condizione gli investimenti in infrastrutture delle quali, in ogni caso, il Paese ha estremo bisogno, sia per quanto riguarda ferrovie, strade, porti e aeroporti ma anche per acquedotti e fognature, i parametri della civiltà come insegna la storia di Roma che ancora oggi si ricorda ovunque nel bacino del Mediterraneo per le opere che hanno assicurato alle popolazioni annesse alla Repubblica e all’Impero condizioni di vita e di prosperità spesso mai più raggiunte, come nel caso di alcune aree costiere del Mare Nostrum.
Ed a questo proposito occorre poca fantasia per capire che l’Italia ha una posizione geografica privilegiata, che ne fa una piattaforma straordinaria protesa in un mare che mette in contatto l’Europa e il Medio e l’Estremo Oriente. L’Italia porta dell’Europa sul mondo. Non solo porta d’ingresso, come dimostra l’immigrazione della quale abbiamo subito le conseguenze negli ultimi anni, ma porta di uscita verso i mercati verso una parte rilevante del mondo. L’Italia che, erede di Roma, ha una visibilità un appeal culturale che non possono vantare altri paesi europei rivieraschi, soprattutto la Francia che ha esercitato in Africa e Medio Oriente un colonialismo dai tratti predatori. Non la Spagna, che ha guardato soprattutto all’America Latina, non la Grecia, per troppo tempo mortificata dalla occupazione ottomana.
Idee, dunque, per un programma di governo, coraggioso e pratico, che al seguito di investimenti pubblici ampiamente condivisi dalla popolazione potrebbe mobilitare ingenti risorse private. Una prospettiva che, tuttavia, è difficile realizzare finché al Governo ci sarà il Movimento Cinque Stelle, di scarse idee e di assoluta mancanza di cultura politica, amministrativa e di esperienza.
27 febbraio 2019
“Il vento è cambiato” diceva il Sindaco Raggi.
È rimasta l’incuria per il patrimonio arboreo della Città
di Salvatore Sfrecola

Scherzava sul vento, Virginia Raggi, convinta che il suo fosse uno slogan efficace. “Il vento è cambiato”, ripeteva ad ogni pie’ sospinto, cercando di convincere i romani, che nulla di nuovo vedevano, che stesse amministrando la Città in modo diverso dai suoi predecessori, di Destra e di Sinistra, dai quali aveva ereditato l’abbandono di uffici e servizi, compreso quello che si occupa dei parchi e dei giardini. Così il vento che, nella sua immaginazione, doveva essere quello “del cambiamento”, come ama dire il leader del suo movimento, Luigi Di Maio, si è trasformato in un suo nemico e, con raffiche possenti, ha fatto strage di alberi secolari, orgoglio dei romani e straordinaria attrattiva per i turisti che visitano la città.
Tuttavia sui colli “fatali” di Roma non è stato il Fato a decidere sulla sorte dei pini maestosi dei parchi e dei viali come delle più modeste alberature delle strade dei quartieri dei colli e della Valle del Tevere. La caduta degli alberi, che già in passato avevano superato indenni le più violente sollecitazioni di Eolo, è dovuta, nella maggior parte dei casi, alla evidente mancanza di manutenzione del verde cittadino, alla inadeguata verifica delle condizioni di salute delle piante, alla potatura insufficiente e spesso sbagliata, che non di rado ha squilibrato le piante più alte, tagliando rami essenziali alla statica dei tronchi, senza la necessaria cura delle ferite inferte alla pianta dalle motoseghe impietose. Ferite che hanno spesso ammalorato il legno offerto all’insulto dei fattori atmosferici e all’aggressione degli insetti.
Quegli alberi abbattuti hanno ferito anche il cuore dei romani da sempre abituati a ricomprendere nell’immagine splendida della città, con i suoi palazzi ed i suoi monumenti, i maestosi pini secolari delle varie specie (pinea e marittima) che da sempre ornano i viali ed i parchi. Quei romani, che oggi si interrogano sulla politica della Giunta 5Stelle e di quelle che l’hanno preceduta, non hanno dubbi: il “Servizio giardini”, che era una struttura di eccellenza dell’amministrazione capitolina, è stato progressivamente privato di uomini e mezzi al punto da essere l’ombra silente di quello che era un prezioso tutore dell’immenso patrimonio arboreo dell’Urbe.
Non è evidentemente solo un problema di risorse del bilancio capitolino ad impedire la cura sistematica e la potatura delle piante di vie, piazze e viali. È trascuratezza organizzata che mostra i suoi effetti: ovunque rami secchi a terra e sulle automobili parcheggiate, un pericolo per la circolazione dei mezzi e delle persone. Per cui a Prati, nel centro della Città, in viale Mazzini, tra l’ufficio postale ed il Palazzo sede della Corte dei conti, un maestoso pino marittimo ha seminato terrore tra i passanti, con danni gravi a persone e cose. Poteva essere una strage lì dove centinaia di persone affollano ad ogni ora l’ingresso dell’ufficio postale, uno dei più importanti dell’area, tra l’altro frequentato dagli addetti agli uffici legali che vi si recano per gli adempimenti connessi alla notifica degli atti processuali. Ed è un avvocato il più grave dei feriti dal fusto di quel pino, alto 30 metri, del quale vale la pena di segnalare che, in un servizio televisivo mandato in onda da RAI News24, un agronomo intervistato sul posto dall’inviato del giornale ha segnalato le radici del pino, assolutamente insufficienti a reggere quell’imponente alberatura, ed ha fatto notare che tra le radici era presente una conduttura idrica il cui inserimento, ha fatto intendere l’intervistato, potrebbe aver danneggiato le radici. O potrebbero averle tagliate gli operai all’opera.
All’indomani della giornata nella quale il vento ha abbattuto oltre 300 piante si sente dire che dovranno esserne abbattute molte altre. Si è fatto il numero di 50.000. Speriamo che si tratti di una cifra buttata là a caso, tanto per dare la misura della gravità della situazione. Ma se così fosse sarebbe una vera tragedia. Al punto che la cura del verde sarebbe affidata di fatto non ad un servizio specializzato, come era il “Servizio giardini”, ma alle imprese incaricate di abbattere le piante, cioè di fare legna, ed a quelle che dovranno sostituirle. In sostanza non vorremmo che il vento che, secondo l’immaginifico Sindaco di Roma sarebbe “cambiato”, oltre a mettere in risalto l’insufficienza dell’amministrazione capitolina, desse il via ad un’altra stagione degli affari che l’esperienza ci dice essere spesso fonte di illeciti.
Da ultimo, per non farsi mancare nulla questo Sindaco che candidandosi non ha avuto il senso della misura, che non ha tenuto conto della propria inadeguatezza rispetto alla complessità dei compito che avrebbe dovuto affrontare, se ne è uscita con una affermazione che non possiamo non richiamare pur senza infierire. Gli alberi sono stati impiantati dal Fascismo! Dimenticando che gran parte di quelli di Villa Borghese sono stati messi a dimora quando c’era ancora il Papa Re?
27 febbraio 2019

Circolo di Cultura e di Educazione Politica
Rex
“Il più antico circolo culturale della Capitale”
71º ciclo di conferenze 2018-2019
***
“siamo tornati orgogliosi della nostra sovranità, fieri delle nostre istituzioni o siamo solo insofferenti di regole, liberamente accettate, che sembrano limitare la nostra autonomia e le nostre decisioni?”
Su questi temi parlerà
domenica 3 marzo alle ore 10.30
il Professore Avvocato Riccardo Scarpa
“sovranità o sovranismo”
Sala Roma, presso “Associazione Piemontesi a Roma”
Via Aldrovandi 16 (ingresso con le scale) o 16 B (ingresso con ascensore)
raggiungibile con le linee tranviarie 3 e 19 ed autobus 910, 223, 52 e 53

Considerazioni su talune reazioni al caso Formigoni
Il corrotto non può essere mio amico
di Salvatore Sfrecola

La notizia della condanna definitiva pronunciata dalla Corte di Cassazione a carico di Roberto Formigoni, riconosciuto responsabile di corruzione, ha fortemente diviso lettori e commentatori sui giornali e sui social network. Per alcuni la condanna è giusta, per altri troppo severa, perché da Presidente della regione Lombardia avrebbe comunque ben amministrato nei molti anni nei quali è stato al vertice della Giunta. Così si sono distinti nemici politici ed amici, intesi come coloro che abitualmente hanno votato per l’area politica nella quale Formigoni ha militato o che condividono l’ala cattolica (Comunione e Liberazione) alla quale si dice facesse riferimento.
Non conosco i fatti se non per come la stampa li ha raccontati e non ho letto le sentenze che nei vari gradi di giudizio hanno ritenuto provati gli illeciti addebitati all’ex Presidente della Regione Lombardia. Ritengo, tuttavia che ci sia una buona dose di faziosità nelle posizioni assunte dai colpevolisti e dai giustificazionisti, nel senso che gli uni e gli altri si schierano in una fazione che, in buona misura, altera il giudizio morale e politico sulla persona. E se è comprensibile il senso della condanna dei colpevolisti, che sono anche avversari politici, non mi convince l’idea che si possa in qualche modo valutare la gravità del reato in relazione al buono che ha fatto nella sua attività al vertice del governo regionale. Non mi convince perché la corruzione è reato gravissimo, effetto di una condotta che piega ad interessi personali o di parte (ci si può far corrompere per finanziare il partito) l’esercizio della funzione pubblica cui un’autorità politica è chiamata dal consenso popolare. In questo senso che un soggetto si sia fatto corrompere per 1000 euro o per 100 milioni è indifferente sul piano morale, anche se può variare la gravità dell’illecito e della relativa sanzione. Insomma il corrotto, come il corruttore del resto, non può essere per definizione “mio amico”. E se manifesta le mie idee politiche vuol dire che mente, che non è vero, perché io sono abituato ad una morale politica nella quale l’idea, la filosofia che guida un partito e quanti vi aderiscono comprende necessariamente il rigoroso rispetto della legge e dell’interesse pubblico, quell’interesse che viene violato dal corrotto il quale “per compiere un atto del suo ufficio, riceve per sé o per un terzo, in denaro od altra utilità, una retribuzione che non gli è dovuta, o ne accetta la promessa”, come si esprime il codice penale all’art. 318. Il che significa che il pubblico ufficiale viene compensato per compiere un atto dovuto ma anche illecito o illegittimo nell’interesse del corruttore. Insomma, è necessario, perché si configuri la corruzione, un qualsiasi comportamento che costituisca un concreto esercizio di poteri inerenti all’ufficio che sia in rapporto di causalità con la retribuzione non dovuta.
Fin qui il diritto. Sul piano della moralità politica non è ammissibile nessuna giustificazione qualunque altro comportamento positivo o encomiabile possa essere riconosciuto al corrotto. Anzi devo dire che mentre in qualche modo mi attendo da un mio avversario politico una condotta illecita mi indigna profondamente che questa sia opera di uno che dice di pensarla come me. La cosa mi offende, mi indigna perché in qualche misura mi sento coinvolto nel giudizio che la gente riserva all’autore dell’illecito e se fossi io a giudicarlo applicherei il massimo della pena. Senza sconti. Perché si affermi sempre la moralità della funzione pubblica nel rispetto di tutti perché “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”, come si legge nell’art. 54 della Costituzione. È il minimo che si richiede ad un uomo pubblico, come ad una donna, come alla “moglie di Cesare” che “deve non solo essere onestà, ma anche sembrare onesta”. Caesaris coniugium non esse honestum, sed etiam honestate videntur, per quanti conservano il gusto della lingua dei nostri padri.
25 febbraio 2019

Alla vigilia delle decisioni sull’autonomia differenziata
Cavour tradito: le ferrovie non hanno unificato l’Italia
e non ne hanno fatto la porta dell’Europa verso Oriente
di Salvatore Sfrecola

Monta la protesta delle regioni del Sud di fronte all’ipotesi di attuare quell’autonomia “differenziata” di Lombardia e Veneto, auspicata dai referendum popolari, e dell’Emilia-Romagna, di cui si è cominciato a discutere in sede di Governo. Come al solito vi sono ragioni da entrambe le parti. E se al Nord chi chiede nuove attribuzioni può rivendicare il lato virtuoso del regionalismo, al Sud non si riesce a farne un motivo di efficienza, neppure in Sicilia dove quell’autonomia è ancor più sviluppata, tanto da farne una sorta di stato autonomo da sempre, dacché lo statuto regionale, che riserva al territorio il 90 per cento delle entrate erariali, precede addirittura la Costituzione della Repubblica.
È dunque un passaggio estremamente delicato quello di mettere a punto i disegni di legge che dovranno attribuire a quelle regioni “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”, ai sensi dell’art. 116, comma 3, della Costituzione, nelle materie di legislazione concorrente previste dal terzo comma dell’art. 117, dall’ambiente alle infrastrutture, dalla sicurezza del lavoro alla ricerca scientifica e tecnologica e al sostegno all’innovazione,  alla sanità, per fare qualche esempio, assumendone le relative responsabilità e le risorse per le funzioni che lo Stato non svolgerà più. Contestualmente vanno definite regole nazionali quanto ai livelli essenziali di erogazione dei servizi essenziali (ad esempio sanitari) ed ai costi standard, al fine di verificare da parte dello Stato e degli elettori come quelle risorse vengono utilizzate.
Resta un problema generale, che non va trascurato se vogliamo mantenere l’unità del Paese e non tornare al 1859,quando l’Italia era formata da sei staterelli. È l’assenza dello Stato in alcune regioni. Dico spesso che se “Cristo si è fermato ad Eboli”, come nel famoso romanzo di Carlo Levi, l’alta velocità si è fermata a Salerno, escludendo regioni ricche di potenzialità economiche, dall’agricoltura, alla manifattura, all’industria, al turismo, fortemente penalizzate dalla insufficienza delle infrastrutture viarie e ferroviarie, necessarie tanto per il trasporto delle persone quanto delle merci. Differenze antiche alle quali lo Stato nazionale non è stato capace di porre rimedio, molto per l’incapacità delle élite meridionali, nonostante ai vertici del Governo e dei ministeri si siano insediati, dal 1861 importanti politici meridionali. E qui torna utile, per dimostrare l’incompiutezza dell’unità d’Italia dal punto di vista economico e sociale, rileggere Camillo di Cavour che nel maggio del 1846 scrive un articolo pubblicato su una parigina Revue Nouvelle nel quale dimostra non solo lo spirito apertamente nazionale di questo straordinario statista ma la capacità di intravedere i motivi dell’unità e dello sviluppo. “Dal punto di vista commerciale – scrive – l’Italia può nutrire grandi speranze dalle ferrovie. Rendendo pronte, economiche e sicure le vie di comunicazione interna, facendo sparire in qualche modo la barriera delle Alpi che la separano dal resto dell’Europa e che sono così difficili da valicare per una parte dell’anno, nessun dubbio che l’afflusso di stranieri che vengono ogni anno per visitare l’Italia aumenterà in maniera prodigiosa. Quando il viaggio da Torino, Milano, Firenze, Roma e Napoli richiederà meno tempo e minor fatica di un giro di un lago svizzero, è difficile calcolare il numero di persone che verranno a cercare in queste contrade, piene di attrattive, un’aria più salubre e più pura per la loro salute malferma, ricordi per la loro intelligenza o anche solo semplici distrazioni dalla noia che sviluppano le brume del Nord. I profitti che l’Italia trae dal proprio sole, dal suo cielo privo di nubi, dalle sue ricchezze artistiche, dai ricordi che il passato le ha lasciato, cresceranno certamente in una proporzione considerevole”. E prosegue: “quando la rete ferroviaria sarà completa, l’Italia godrà di un considerevole commercio di transito. Le linee che uniranno i porti di Genova, Livorno, Napoli con quelli di Trieste, Venezia, Ancona e la costa orientale del regno di Napoli, porteranno attraverso l’Italia un grande movimento di merci e di viaggiatori, che vanno e vengono dal Mediterraneo all’Adriatico. In più, se le Alpi saranno perforate, come c’è motivo di credere, tra Torino e Chambery, il Lago maggiore, il lago di Costanza, Trieste Vienna, i porti italiani saranno in grado di condividere con quelli dell’Oceano e del mare del Nord, l’approvvigionamento dell’Europa centrale in derrate esotiche. Infine se le linee napoletane si estenderanno sino al fondo del regno, l’Italia sarà chiamata a nuovi e alti destini commerciali. La sua posizione al centro del Mediterraneo, o, come un immenso promontorio, sembra destinata a collegare l’Europa all’Africa, la trasformerà incontestabilmente, quando il vapore la attraverserà in tutta la sua lunghezza, il cammino più breve è più comodo dall’Oriente all’Occidente. Non appena ci si potrà imbarcare a Taranto o a Brindisi, la distanza marittima che ora bisogna percorrere per recarsi dall’Inghilterra, dalla Francia e dalla Germania in Africa o in Asia, sarà abbreviata della metà. È dunque fuor di dubbio che le grandi linee italiane serviranno allora a trasportare la maggior parte dei viaggiatori e alcuni merci più preziose che circoleranno in queste vaste contrade. L’Italia fornirà anche il mezzo più veloce per recarsi dall’Inghilterra all’India e in Cina cosa che rappresenterà ancora una fonte abbondante di nuovi profitti”.
La citazione è lunga, ma essenziale: c’è tutto in queste parole di Cavour, le infrastrutture ferroviarie e portuali dell’intera Italia, il commercio ed il turismo e la TAV, con buona pace del M5S, una missione per l’Italia, si direbbe, sulle orme di Roma. E si spiega perché Clemente Lotario di Metternich, il potente Cancelliere austriaco, diceva di Cavour “è il più grande statista d’Europa”. Ed aggiungeva “peccato che sia un nostro nemico”. Morto troppo presto e, purtroppo, senza effettivi eredi, nel Regno e nella Repubblica.

FRAMMENTI DI RIFLESSIONI
del Prof. Avv. Pietrangelo Jaricci

Giustizia amministrativa
L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con una convincente sentenza, ha affrontato lo spinoso problema relativo all’impossibilità di esecuzione in forma specifica del giudicato amministrativo, enunciando una serie di principi di diritto, tutti sorretti da adeguata motivazione, che meritano di essere integralmente riportati.
1. Dal giudicato amministrativo, quando riconosce la fondatezza delle pretesa sostanziale, esaurendo ogni margine di discrezionalità nel successivo esercizio del potere, nasce ex lege, in capo all’amministrazione, un’obbligazione, il cui oggetto consiste nel concedere “in natura” il bene della vita di cui è stata riconosciuta la spettanza.
2. L’impossibilità (sopravvenuta) di esecuzione in forma specifica dell’obbligazione nascente dal giudicato – che dà vita in capo all’amministrazione ad una responsabilità assoggettabile al regime della responsabilità di natura contrattuale, che l’art. 112, comma 3, c.p.a. sottopone peraltro ad un regime derogatorio rispetto alla disciplina civilistica – non estingue l’obbligazione, ma la converte, ex lege, in una diversa obbligazione, di natura risarcitoria, avente ad oggetto l’equivalente monetario del bene della vita riconosciuto dal giudicato in sostituzione della esecuzione in forma specifica; l’insorgenza di tale obbligazione può essere esclusa solo dalla insussistenza originaria o dal venir meno del nesso di causalità, oltre che dell’antigiuridicità della condotta.
3. In base agli articoli 103 Cost. e 7 c.p.a., il giudice amministrativo ha giurisdizione solo per le controversie nelle quali sia parte una pubblica amministrazione o un soggetto ad essa equiparato, con la conseguenza che la domanda che la parte privata danneggiata dall’impossibilità di ottenere l’esecuzione in forma specifica del giudicato proponga nei confronti dell’altra parte privata, beneficiaria del provvedimento illegittimo, esula dall’ambito della giurisdizione amministrativa.
4. Nel caso di mancata aggiudicazione, il danno conseguente al lucro cessante si identifica con l’interesse c.d. positivo, che ricomprende sia il mancato profitto (che l’impresa avrebbe ricavato dall’esecuzione dell’appalto), sia il danno c.d. curricolare (ovvero il pregiudizio subìto dall’impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum e dell’immagine professionale per non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto). Spetta, in ogni caso, all’impresa danneggiata offrire, senza poter ricorrere a criteri forfettari, la prova rigorosa dell’utile che in concreto avrebbe conseguito, qualora fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, poiché nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento  (ex art. 64, commi 1 e 3, c.p.a.), e la valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., è ammessa soltanto in presenza di situazione di impossibilità – o di estrema difficoltà – di una precisa prova sull’ammontare del danno.
5. Il mancato utile spetta nella misura integrale, in caso di annullamento dell’aggiudicazione impugnata e di certezza dell’aggiudicazione in favore del ricorrente, solo se questo dimostri di non aver utilizzato o potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto tenuti a disposizione in vista della commessa. In difetto di tale dimostrazione, può presumersi che l’impresa abbia riutilizzato o potuto riutilizzare mezzi e manodopera per altri lavori, a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum (Cons. Stato, Ad. plen., 29 marzo – 12 maggio 2017, n. 2, con commento di D. Ponte, in Guida dir., n. 24/2017, 95 ss.).
La sentenza in oggetto risolve un problema di carattere generale al quale i giudici amministrativi non sempre hanno riservato la dovuta, preminente attenzione, quello cioè di impedire che siano comunque disattese le legittime aspettative del cittadino specie in presenza di un giudicato.
* * *
Elezioni europee
“Diventeremo anche post europeisti dopo essere stati post tutto? Le elezioni europee del 23 maggio sono elezioni speciali in un tempo speciale. Rispetto alle precedenti la tensione è diversa, la confusione imperversa. Secondo i sondaggi non è previsto un sovvertimento degli equilibri, molto peggio. Potrebbe essere una rivoluzione? Il compromesso storico all’europea è a forte rischio” (D. Pardo, Il Parlamento UE sarà una maionese, L’Europeo, n. 3/2019, 17).
Ma non sarebbe forse opportuno parlare anche di possibile rischio di ingovernabilità che potrebbe coinvolgere parte degli Stati europei?
* * *
Palazzo Spada: venti di tempesta
È apparso su il Fatto Quotidiano del 4 febbraio 2019 (pagg. 6, 7) l’articolo “Consiglio di Stato, una catena di affetti”, a firma di Giorgio Meletti, con annesso eloquente materiale iconografico, che non può non aver provocato generale sdegno e disgusto più che giustificati.
La massima magistratura amministrativa viene definita “un piccolo mondo antico dove poche decine di persone detengono la più impressionante concentrazione di potere oggi esistente in un Paese moderno”.
Vengono, quindi, forniti nominativi di personaggi coinvolti a vario titolo in episodi di estrema gravità che gettano ombre sinistre sul già dissestato Palazzo Spada, “un mondo fatato in cui un gruppo di sacerdoti intoccabili le leggi se le scrive, se le interpreta e se le applica”, incurante di tutto e di tutti.
Ma da tempo il cittadino comune si pone necessariamente la domanda se si può ancora nutrire fiducia nella giustizia se la stessa viene impunemente gestita da personaggi adusi ad ogni sorta di compromesso, senza necessità di attendere, come risposta, “l’ardua sentenza dei posteri”.
Ogni ulteriore commento appare a dir poco superfluo.
* * *
In ricordo di Eluana Englaro
Il 9 febbraio 2009 spirava Eluana Englaro, da diciassette anni in stato vegetativo, vittima delle incongruenze (chiamiamole pure così!) che sistematicamente affliggono il nostro Paese.
19 febbraio 2019

C’è un rinoceronte “dimenticato” al Foro Romano
di Salvatore Sfrecola

C’è un rinoceronte nel Foro Romano. Nessuna paura. Lì, sotto l’arco di Giano, in vista del Tempio di Vesta, accanto alla Chiesa di San Giorgio al Velabro, l’Rhinoceros unicornis, il grosso mammifero, comune all’India ed all’Africa, è stato collocato in occasione dell’inaugurazione del Palazzo Rhinoceros, l’immobile storico che la Fondazione Alda Fendi ha acquistato dal Comune di Roma.
A conclusione della manifestazione, tuttavia, il rinoceronte è rimasto al suo posto, abbandonato, nonostante le proteste dei residenti del quartiere per i quali la presenza di quella sagoma altera la magnifica armonia del Foro, dove la Roma repubblicana s’incontra con i ricordi dell’impero dei Cesari.
Si sono rivolti al Comune che sembra incapace di intervenire. Incredibile, ma la risposta degli uffici, in puro burocratese, è stata consegnata in un comunicato nel quale si legge che “lo scrivente ufficio si è limitato ad autorizzare esclusivamente il posizionamento di strutture tecniche funzionali alla realizzazione dell’evento”. Incredibile, senza il senso del ridicolo e senza timore di dimostrare crassa ignoranza delle regole del diritto, perché la rimozione del rinoceronte avrebbe dovuto essere prevista nell’autorizzazione a collocarlo nel Foro, come clausola necessaria di riduzione in pristino di un’area archeologica tutelata della quale veniva temporaneamente consentita l’utilizzazione da parte di un privato interessato a godere dello straordinario ambiente storico artistico.
Sono passati quattro mesi invano. Con una sola conclusione. Chi di dovere non conosce le regole della gestione dei beni pubblici e del bilancio del Comune di Roma sul quale non possono gravare spese non finalizzate ad interessi dell’Amministrazione capitolina. Pertanto, se le spese di rimozione non fossero state comprese tra le clausole del provvedimento di autorizzazione, poche o tante che siano, e dovessero ricadere sul bilancio comunale, cioè sui cittadini dell’Urbe, ci troveremmo di fronte ad un caso di scuola di danno erariale causato con dolo o colpa grave da un pubblico dipendente, perseguibile ad iniziativa della Procura regionale della Corte dei conti per il Lazio.
19 febbraio 2019

CIRCOLO DI CULTURA
 E DI EDUCAZIONE POLITICA
REX
“il più antico Circolo Culturale della Capitale”
71° CICLO di CONFERENZE 2018-2019
***
“La Costituzione, già riformata in peggio dal centrosinistra corre il rischio di ulteriori peggioramenti, lesivi delle prerogative del Parlamento e dei diritti delle minoranze”

Su questi temi parlerà
Domenica 24 febbraio alle ore 10.30
Il Prof. Avv. Salvatore Sfrecola
“RIFORMA COSTITUZIONALE: come, quando, perché”
***
Sala Roma presso “Associazione Piemontesi a Roma”,
via Aldrovandi 16 (ingresso con le scale), o 16/B (ingresso con ascensore)
raggiungibile con le linee tramviarie “3” e “19” ed autobus, “910”,” 223″, “52” e ” 53″

Governo ad alta tensione
di Salvatore Sfrecola

Matteo Salvini non perde occasione per ribadire che le elezioni in Abruzzo sono amministrative e non mettono in discussione l’alleanza di governo. Lo ha detto da ultimo anche a Porta a Porta intervistato a caldo da Bruno Vespa, che ha cercato in tutti i modi di fargli dire che il risultato elettorale non può non contare nel rapporto tra Lega e Movimento 5 Stelle.
Domenica prossima ci sarà un nuovo test, in Sardegna, sul quale da tempo il M5S dice di non fare nessun conto, che prevede una sconfitta ancora più ampia di quella in terra d’Abruzzo. Elezioni regionali certamente ma che hanno assunto un valore di verifica della politica del governo gialloblù, attestata dall’impegno dei leader nazionali che si sono spesi senza risparmio durante la campagna elettorale. Di Maio, Di Battista, Berlusconi e la Meloni hanno, come Salvini, soggiornato a lungo in Abruzzo per dar man forte ai candidati dei rispettivi partiti. Meno presenti i leader del Partito Democratico impegnati nella campagna delle primarie.
È un dato importante quello dell’Abruzzo perché dimostra come gli italiani siano stati convinti all’azione politica di Salvini in un settore, quello dell’ordine pubblico, che evidentemente è da tempo sentito dall’opinione pubblica e strettamente collegato alla immigrazione incontrollata che genera insicurezza. L’insuccesso del M5S, dice il sottosegretario agli esteri Di Stefano ad Omnibus, la trasmissione di approfondimento de La7, è soprattutto un problema di comunicazione, nel senso che Di Maio e soci non sarebbero stati capaci di far percepire dall’opinione pubblica l’importanza delle iniziative che il governo ha assunto su sollecitazione del Movimento e che costituiscono espressione tradizionale del suo programma politico, dal reddito di cittadinanza alla legge anticorruzione, alla riduzione delle pensioni “d’oro”, insomma alla lotta alla povertà della quale il governo tanto si gloria.
Se, tuttavia, nonostante queste iniziative se le possa, a buona ragione, intestare, il M5S non passa all’incasso, non ne trae vantaggi sul piano del consenso elettorale vuol dire che la sua azione evidentemente non convince, non rassicura a fronte di una situazione economica pesante, resa evidente dai dati della produzione industriale e dalla recessione, pudicamente definita “tecnica”, nella quale l’Italia è caduta nonostante il proclamato carattere espansivo della manovra contenuta nella legge di bilancio per il 2019 riferito soprattutto al reddito di cittadinanza ed alle pensioni (quota 100) che dovrebbero mettere soldi nelle tasche di molti italiani, come si sente dire. Una manovra che, tuttavia, a molti appare insufficiente, assolutamente inadeguata rispetto alle esigenze del momento che presuppongono, per contrastare le spinte recessive, una grande mobilitazione di risorse pubbliche, le uniche capaci di realizzare in tempi brevi un incremento dell’occupazione con effetti positivi sull’economia.
Pur coinvolto nel governo che denuncia queste inadeguatezze Salvini non ne risente e continua a riscuotere maggiore apprezzamento, A destare maggiore fiducia, forse proprio per quell’equilibrio che anche nella polemica più dura mantiene, forse perché la Lega, tutto sommato, è vista come forza di governo perché amministra, con successo, le regioni più ricche e più efficienti dell’Italia settentrionale. Perché quel leader che ha portato il Carroccio dai minimi storici del dopo Bossi ad essere forza maggioritaria nel Paese merita considerazione, perché in lui si intravede una prospettiva politica di lungo termine, da quando ha abolito la parola “Nord” nella denominazione del partito che è divenuto di fatto un movimento nazionale come attesta il rilevante consenso elettorale nelle elezioni del 4 marzo 2018 anche al Sud ed il risultato del 10 febbraio in Abruzzo.
La strada che Salvini ha intrapreso è ormai spianata, deve solo saperla percorrere con determinazione e coerenza. E lo farà ampliando il programma come si deve ad un uomo di governo che ambisca ad essere riconosciuto come uno statista, come uno – per dirla con de Gasperi – che guarda alle future generazioni, che predica “Sovranismo” ma che è pronto ad operare in Europa purché questa cambi e diventi l’espressione dei popoli e delle nazioni del continente politicamente più antico, culla della democrazia e della libertà. Nella sfida che la Lega e tutto il centrodestra si apprestano ad affrontare quando il 26 maggio saremo chiamati a votare per il rinnovo del Parlamento europeo dove sarà necessario mediare tra interessi a volte contrastanti di Stati e di economie nazionali che devono comprendere che nel mondo globalizzato non c’è spazio per i singoli, che di fronte ai colossi dell’economia mondiale, dagli Stati Uniti alla Cina, dal Brasile all’India solo l’Europa unita può guadagnare la sua fetta importante di produzioni e commerci avendo elevata tecnologia, fantasia e volontà capaci di competere sul mercato globale.
13 febbraio 2019

In Abruzzo un test impietoso per il M5S. Paga errori di Governo e amministrativi (Raggi)
di Salvatore Sfrecola

Come tutti si attendevano, le elezioni regionali in Abruzzo non indicano soltanto lo stato dei partiti in quella regione. L’Abruzzo è regione di confine tra Nord e Sud, in continuità con Roma, la capitale, dove si fa politica, parlamentare e di governo, porta sul meridione dove la Lega è impegnata da tempo a farsi spazio, con crescente successo. Un successo che Matteo Salvini ha costruito dal Governo cavalcando il tema della sicurezza e della immigrazione, che interessa in forme varie tutta Italia, coinvolgendo il Movimento 5 Stelle che, tuttavia, soffre perché impegnato sulle questioni dell’economia, del lavoro e delle grandi opere che ne offuscano l’immagine erodendo i consensi che avevano fatto di Luigi Di Maio e dei suoi la novità della politica soprattutto nelle elezioni del 4 marzo 2018. Sennonché la novità è stata modesta, il Governo ha avuto grandi difficoltà nella definizione della legge di bilancio, l’introduzione del “reddito di cittadinanza” appare ricco di problematiche attuative, non è alle viste quel grande investimento in opere pubbliche che tradizionalmente gli stati mettono in campo per contrastare la stagnazione dell’economia, evidente nella timida affermazione dei media sull’Italia in recessione “tecnica”. Anzi l’opposizione drastica alla ferrovia Torino-Lione portata avanti con argomentazioni speciose, facendo finta di ignorare che quella è una tratta di un corridoio europeo (n. 5) che deve collegare il Portogallo all’Ucraina, è emblematica di un atteggiamento astratto, velleitario, vagamente ecologista ma evidentemente contraddittorio in quanto trascura l’esigenza di abbandonare il trasporto su gomma delle merci da e per i grandi porti italiani ed europei, da Genova a Rotterdam, quelle merci che impegnano quotidianamente migliaia di TIR carichi di container. No TAV ma sì alle piccole opere, dicono i 5Stelle, alle manutenzioni necessarie in un Paese che, a partire dal ponte Morandi di Genova, ha dimostrato di aver trascurato per evidente incapacità organizzativa ma anche per assenza di risorse, mai recuperate in modo sistematico dalla vasta area degli sprechi. Comunque le piccole, le tante piccole opere non decollano dando dimostrazione della incapacità di andare al di là del dire.
È in questa politica l’immagine deteriorata del M5S, scarso al Governo del Paese ma anche nella gestione amministrativa, come dimostra Roma dove il Sindaco Raggi, al di là delle poche cose che ha fatto, attesta di una incapacità di guidare una grande città con tutte le sue molteplici difficoltà, antiche e più recenti, quotidiane. Lo sentono i romani ed evidentemente l’hanno sentito i tanti cittadini della capitale di origine abruzzese, quanti da quella regione lavorano a Roma e quanti dalle rive del Tevere si spostano per lavorare in Abruzzo o per passarvi le vacanze invernali ed estive nelle magnifiche montagne innevate e sulle spiagge assolate dell’Adriatico.
Per questo dico da sempre che i partiti non devono trascurare il ruolo politico di Roma, le esperienze e le sensazioni dei cittadini della capitale, un miscuglio di provenienze regionali che mantengono rapporti con le aree di provenienza, soprattutto meridionali. Questi “romani” di recente generazione trasmettono a parenti e amici delle regioni del Sud i giudizi che maturano sui partiti che governano e che amministrano. E questo inevitabilmente ha penalizzato in passato il Partito Democratico ed oggi il M5S perché Di Maio e compagni non vanno bene al Governo, ma vanno malissimo nella gestione della Capitale.
“Il potere logora”, diceva Giulio Andreotti. Tuttavia aggiungeva “è meglio non perderlo”, cosa non facile, perché giorno dopo giorno l’azione politica e amministrativa è sotto gli occhi dei cittadini che ne traggono le conseguenze, quando sono chiamati a votare.
11 febbraio 2019

CIRCOLO DI CULTURA E DI EDUCAZIONE POLITICA
REX
“il più antico Circolo Culturale della Capitale”
71° CICLO di CONFERENZE 2018-2019
***
“Mestieri che scompaiono, nuove professionalità, conquiste scientifiche, progressi o regressi per l’uomo”
Su questi temi parlerà
Domenica 17 febbraio alle ore 10.30
il Professore Avvocato
 EMMANUELE F.M. EMANUELE
“L’ INTELLIGENZA ARTIFICIALE E LA ROBOTICA:
IL NUOVO MONDO CHE CI ASPETTA”
***
Sala Italia presso “Associazione Piemontesi a Roma”,
via Aldrovandi 16 (ingresso con le scale), o 16/B (ingresso con ascensore)
raggiungibile con le linee tramviarie “3” e “19” ed autobus, “910”,”223″, “52” e “53”

Toninelli indisciplinato. Consegna l’analisi costi/benefici della TAV a Francia e alla Commissione UE ma non ai colleghi di governo
di Salvatore Sfrecola

Ha una strana considerazione della collegialità del Governo il Ministro delle infrastrutture e dei Trasporti, Danilo Toninelli, il quale ha consegnato all’ambasciatore di Francia in Italia, Christian Masset, l’analisi costi/benefici relativi all’appalto del tratto Torino Lione del corridoio europeo n. 5, Francia – Ucraina, senza averne prima informato il Presidente del Consiglio. Né Giuseppe Conte, infatti, né i vicepresidente Salvini e Di Maio sanno nulla del rapporto della Commissione di studio incaricata di analizzare l’impatto della nuova linea ferroviaria sul bilancio pubblico e sull’economia del Paese. Al di là del fatto che non si conoscono i parametri della valutazione rimessi alla Commissione, è singolare, Salvini lo ha definito “abbastanza bizzarro”, che quelle valutazioni, sulle quali il Governo sarà chiamato a decidere se realizzare o meno la ferrovia o ridimensionare il progetto, siano note a Parigi ed a Bruxelles e non a Roma, se non nelle segrete stanze di Piazza di Porta Pia, dove hanno sede gli uffici di Toninelli.
Anche la Commissione Ue, infatti, “ha ricevuto l’analisi costi-benefici” da parte dell’Italia e “ora la analizzerà”, conferma all’Ansa il portavoce del Commissario Ue ai trasporti Violeta Bulc. Ma in una relazione internazionale l’Italia doveva essere rappresentata dal Presidente del Consiglio oltre che dal Ministro delle infrastrutture, se non altro per quel garbo costituzionale che è necessario per mantenere il senso della collegialità e della colleganza.
Non solo, ad aggravare la sensazione di scollamento nell’Esecutivo giunge l’annuncio del ministero dei Trasporti che “Il Mit ha condiviso con il Governo francese, nella persona dell’ambasciatore di Francia in Italia, l’analisi costi-benefici sul progetto Tav Torino-Lione, come concordato dai Ministri Borne e Toninelli, prima della sua validazione e pubblicazione da parte del Governo italiano”. Insomma, si rimette a Francia e Commissione UE un documento ancora da “validare”. Non c’è veramente limite all’improvvisazione dell’effervescente ministro che baldanzosamente rivendica la sua competenza “esclusiva” ed una “prassi”, secondo la quale si informa prima l’interlocutore francese che il governo italiano, comunque certamente anomala, soprattutto in considerazione della valenza politica del confronto in atto tra alleati di governo. Qualcuno avrebbe dovuto spiegargli che, se è certamente inadeguata la disciplina del Governo che si ricava dall’art. 92 della Costituzione, ha sempre sopperito una “deontologia” costituzionale che vincola al rispetto dello “spirito” della propria funzione in rapporto alla collegialità del Governo assicurata dalla funzione di indirizzo e coordinamento del Presidente del Consiglio (ex art. 5 Cost.) che peraltro neppure era stato informato.
Non ci vuole altro per destare il sospetto che si sia voluto evitare di offrire argomenti alla polemica SI TAV-NO TAV alla vigilia di una importante scadenza elettorale, come il voto regionale in Abruzzo. Forse che quella valutazione costi/benefici ha lati deboli? Così contribuendo ad alimentare la polemica tra Lega, che vuole la TAV, e M5S che non la vuole, con la speciosa argomentazione che è meglio fare tante piccole opere anziché farne una grande. Speciosa, perché in questo Paese, come non si va avanti con la TAV, è ferma anche la manutenzione delle opere minori ma certamente importanti per la sicurezza dei trasporti, perché sappiamo, come ci dimostrano giorno dopo giorno le inchieste giornalistiche, che ponti e viadotti sono spesso in condizioni precarie, che piloni fondamentali per la loro tenuta sono erosi dalle condizioni climatiche e dalla trascuratezza dei gestori, quando non da una inadeguata realizzazione dei lavori. In ogni caso il più elle volte quelle opere sono state progettate per sostenere carichi decisamente inferiori a quelli che lo sviluppo dei mezzi di trasporto registra oggi.
8 febbraio 2019

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