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Aprile 2019

25 aprile 1945: considerazioni impolitiche
di Domenico Giglio

Il 25 aprile fu la data della insurrezioni di tutte le forze patriottiche e partigiane deciso dal CLNAI e dal comando militare dello stesso, avendo le forze alleate, delle quali facevano parte anche i Gruppo di Combattimento del Regio Esercito, sferrato l’offensiva definitiva contro le linee germaniche, sfondandole ed avanzando su tutto il fronte, dal Tirreno all’Adriatico, raggiungendo Bologna e puntando verso la pianura lombardo-veneta. In realtà le operazioni belliche terminarono alle ore 14 del 2 maggio, dopo la resa delle truppe tedesche, firmata il 29 aprile nelle Reggia di Caserta.
La data quindi non celebra, come il 4 novembre 1918, la fine delle ostilità, ma, diciamo, lo slancio finale, che avrebbe portato alla completa liberazione del territorio italiano, anche se Trieste e l’Istria videro l’arrivo, non certo liberatorio dei comunisti jugoslavi, prima che vi giungessero gli anglo-americani a ristabilire, parzialmente, la situazione.
Nelle celebrazioni susseguitesi dal 1949, dopo quella iniziale del 25 aprile del 1946, si sono ripetute e si ripetono ancora alcune affermazioni retoriche, per dare lustro alla data, quale ad esempio quella di aver ristabilito la democrazia e di aver dato i natali alla repubblica, affermazioni entrambe false. La prima del ristabilimento delle istituzioni parlamentari con le relative elezioni politiche, risale, non dimentichiamolo, ad un Decreto del Governo Badoglio (RD.L. del 2 agosto 1943, n. 175), dove si stabiliva procedere alla elezione della Camera dei Deputati quattro mesi dopo la fine della guerra, decreto che fu sostituito con altro D.L.L. del 25 giugno 1944, n. 141, dove era precisato che, sempre dopo la liberazione del territorio nazionale, si sarebbe proceduto alla elezione non più della Camera dei Deputati, ma di una Assemblea Costituente. Quindi nulla mutava od aggiungeva a queste decisioni la sollevazione del 25 aprile. Il ristabilimento della democrazia era già scritto e deciso, e nell’Italia Centro Meridionale, dal giugno 1944 (liberazione di Roma), la vita politica ed i partiti avevano ripreso la loro attività, si pubblicavano giornali, si tenevano comizi.
La seconda affermazione, relativa alla repubblica, oltre che falsa era ed è anche offensiva per tutti coloro che parteciparono direttamente od indirettamente alla guerra di liberazione per fedeltà al giuramento prestato per il “bene indissolubile del Re e della Patria”. E questi furono centinaia di migliaia, a cominciare dal ricostituito Regio Esercito, dalla Regia Marina ed Aeronautica, dai Reali Carabinieri, dalle formazioni patriottiche (non partigiane), sorte subito dopo l’8 settembre 1943, di cui solo a titolo indicativo e non esaustivo ricordiamo le fiamme verdi di Martini Mauri e la “Franchi” di Edgardo Sogno, ed i loro caduti, tra i quali furono generali, ammiragli ed altri alti ufficiali, quando non risultano invece esservi nessun esponente dei partiti politici del CLN, nascosti o protetti in chiese e monasteri. Per precisione e correttezza ne ricordiamo l’unico caduto, Bruno Buozzi, sindacalista e già deputato socialista, fucilato dai tedeschi, il 4 giugno 1944, in località “la Storta”, sulla Via Cassia, quando stavano fuggendo da Roma, ma insieme con lui, ribadiamo, furono fucilati il generale Dodi, ed altri ufficiali. Con l’occasione credo sia opportuno ricordare che Bruno Buozzi, aveva accettato di collaborare con il Governo Badoglio, dopo il 25 luglio, ricevendo l’incarico commissariale degli ex sindacati fascisti.
Abbiamo detto partecipare anche “indirettamente” alla guerra di liberazione, e mi riferisco alle centinaia di migliaia di soldati, oltre 600.000, presi prigionieri dai tedeschi, dopo l’8 settembre, e rinchiusi, in condizioni disumane, nei campi di concentramento, veri lager, E quando agli stessi fu proposto da emissari della repubblica sociale di aderire alla stessa e tornare così in Italia, oltre il 90% rifiutò l’offerta per quel famoso giuramento, di cui oggi si parla, a denti stretti, dimenticando sempre e volutamente a chi fosse prestato.
Sempre in merito all’offesa recata ai monarchici che avevano partecipato alla vera Resistenza ricordiamo che nel referendum istituzionale del 2 giugno 1946, le provincie di Cuneo, Asti e Bergamo dove vi erano stati importanti nuclei di patrioti, dettero la maggioranza alla Monarchia, come la dette Alba, vilmente chiamata “repubblica di Alba”, le cui vicende furono descritte dal “badogliano” Beppe Fenoglio, in un grande romanzo storico che nessuna importante casa editrice ha più ripubblicato, per quella “congiura del silenzio”, su quanto di positivo abbiano fatto i monarchici ed i Savoia.
29 aprile 2019

Sentenza: no ai manifesti che negano il diritto all’obiezione di coscienza
Il Consiglio di Stato accoglie l’appello del Comune di Genova, che non aveva concesso l’uso delle affissioni per la campagna dell’Unione atei. Secondo i giudici “ragione e fede sono valori che non vanno contrapposti”

 di Salvatore Sfrecola

È proprio il caso di dire che stavolta i seguaci della “Dea ragione”.. “se ne dovranno fare una ragione”, come gli adepti dell’Unione degli Atei e Agnostici Razionalisti di Genova (U.A.A.R.) dell’Unione degli Atei e Agnostici Razionalisti ai quali il Consiglio di Stato (Sez. V, n. 02327 del 9 aprile) ha spiegato, con parole semplici e con argomenti giuridicamente ineccepibili, che opporre “in termini negativi e reciprocamente escludenti la ragione (“testa”) e la fede cristiana (“croce”)” significa “implicitamente che la fede cristiana (“croce”) oscura la ragione (testa”)”. E che, se riferito alla obiezione di coscienza dei medici in tema di aborto, “nega la dignità della ragione (“testa”) alla scelta medica di obiezione di coscienza motivata da ragioni di fede cristiana (“croce”)” e l'”autonoma dignità all’obiezione mossa da ragioni non già cristiane ma semplicemente etiche ovvero di altra fede religiosa; collega la meritevolezza o adeguatezza professionale del medico alle sue libere convinzioni religiose o comunque etiche in tema di interruzione volontaria della gravidanza”.
La pronuncia è intervenuta in un giudizio di appello promosso dal Comune di Genova avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, sez. II, 4 marzo 2019, n. 174, che aveva accolto il ricorso dell’U.A.A.R. contro la decisione dell’Amministrazione comunale di negare l’affissione di manifesti della campagna informativa nazionale “Non affidarti al caso”, in tema di obiezione di coscienza in ambito sanitario. La bozza del manifesto, con diversa gradazione cromatica, bipartita e giustapposta, rappresentava il busto di un medico e di un ministro del culto cristiano (il primo con camice e stetoscopio, il secondo in abito talare e croce), con sovrapposta la scritta “Testa o croce?” e sotto “Non affidarti al caso”, e più sotto ancora “Chiedi subito al tuo medico se pratica qualsiasi forma di obiezione di coscienza”.
Il Comune aveva individuato nei bozzetti “una possibile violazione di norme vigenti in riferimento alla protezione della coscienza individuale (artt. 2, 13, 19 e 21 della Costituzione? premessa e art. 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo; artt. 9 e 10 della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo) e al rispetto e tutela dovuti ad ogni confessione religiosa, a chi la professa e ai ministri di culto nonché agli oggetti di culto (artt. 403 e 404 c.p.”.
L’Associazione si era rifiutata, in nome del diritto di manifestazione del pensiero e di associazione, di apportare le modifiche sollecitate dal Comune con riferimento alle prescrizioni del Piano generale degli Impianti del Comune di Genova e del Codice di autodisciplina della Comunicazione Commerciale dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria. E aveva impugnato il diniego dinanzi al TAR Liguria che, nel darle ragione, aveva tuttavia richiamato il piano generale degli impianti pubblicitari del Comune di Genova, secondo il quale “il messaggio pubblicitario di qualsiasi natura, istituzionale, culturale, sociale e commerciale, non deve ledere il comune buon gusto, deve garantire il rispetto della dignità umana e dell’integrità della persona, non deve comportare discriminazioni dirette o indirette, né contenere alcun incitamento all’odio basato su sesso, razza o origine etnica, religione o convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale, non deve contenere elementi che valutati nel loro contesto, approvino, esaltino o inducano alla violenza contro le donne, come da risoluzione 2008/2038 (INI) del Parlamento Europeo”.
I Giudici d’appello hanno condiviso le ragioni del Comune considerato che il messaggio pubblicitario, “per quanto principalmente disciplinato nella prospettiva della rilevanza economica, può incidere anche su interessi individuali e collettivi di carattere non economico e comunque meritevoli di tutela giuridica, e che non rimangono perciò senza rilievo e difesa”. Ed hanno giudicato “discriminatorio nelle descritte modalità di composizione delle contrapposte immagini in una al sovrapposto, dominante enunciato letterale “Testa o croce ?” e con l’incitazione “Chiedi subito al tuo medico se pratica qualsiasi forma di obiezione di coscienza”. Ciò che “appare offendere indistintamente il sentimento religioso o etico, e in particolare dei medici che optano per la scelta professionale di obiezione di coscienza in tema di interruzione volontaria della gravidanza, pur garantita dalla legge 22 maggio 1978, n. 194, art. 9”.
La sentenza ricorda che “per l’ordinamento varie disposizioni definiscono la nozione di discriminazione, diretta ed indiretta, talora anche in armonia con il diritto eurounitario e le direttive europee (es. art. 2 d.lgs. n. 215 del 2003 in materia di razza ed origine etnica; art. 2 del d.lgs. n. 216 del 2003 in materia di occupazione e di condizioni di lavoro; art. 2 del d.lgs. n. 67 del 2006 in tema di disabilità): e che tali parametri, che si basano sul principio di eguaglianza, rilevano del pari in materia religiosa o etica laddove non si incontrino i limiti generali costituzionali, espressi (es. art. 17 Cost.: buon costume) o impliciti (es. sicurezza pubblica, ordine pubblico, salute, dignità della persona umana), o della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”.
Il manifesto, dunque, è stato ritenuto discriminatorio con riferimento al credo religioso e alle convinzioni etiche individuali laddove, “la pur naturalmente legittima critica alle scelte dei professionisti obiettori supera i limiti generali della continenza espressiva giacché non si ferma a valutazioni misurate, ma senza necessità trasmoda in valutazioni lesive dell’altrui dignità morale e professionale”. Infatti, “non trattandosi di una critica “dinamica” e immediatamente reattiva di giudizio altrui collegato a specifici fatti (come in ambito politico, dove è ammesso l’uso di toni aspri e di disapprovazione più incisivi rispetto a quelli degli usuali rapporti tra privati), ma di una campagna di informazione”, non è consentito eccedere “rispetto a quanto necessario per il pubblico interesse all’informazione ampia e corretta, fermo il rispetto dell’interesse, individuale o collettivo, alla reputazione”.
Ricorda, inoltre, il Consiglio di Stato che anche per la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo resta salva la riserva dell’art. 10, para. 2, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (“restrizioni [?] che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, [?] per la protezione della reputazione o dei diritti altrui”), e il diritto alla libertà di espressione va valutato alla luce dei principi di proporzionalità e pertinenza (Corte E.D.U., 19 giugno 2012, n. 27306 28 ottobre 1999, n. 18396; 23 aprile 1992, n. 236; 8 luglio 1986, n. 103)”. Parametri alla luce dei quali il provvedimento comunale non è stato ritenuto viziato da carenza di motivazione nel negare l’affissione in ragione di “una possibile violazione di norme poste a protezione della coscienza individuale ed a tutela di ogni confessione religiosa”. Nell’accogliere l’appello il Consiglio di Stato ha, altresì, ritenuto infondato il motivo riproposto dall’associazione appellata in ordine alla disparità di trattamento che il Comune di Genova avrebbe perpetrato rispetto alla consentita affissione dei manifesti del movimento “Pro-Vita”, “stante la diversità, la non comparabilità e la non identità delle situazioni, circostanza che esclude l’eccesso di potere”.
Insomma, la sentenza rimette a posto regole e principi troppo spesso trascurati e negati.
(da La Verità del 18 aprile 2019)

Il cantiere infinito sul raccordo Orte-Terni.
di Salvatore Sfrecola

In una lettera al quotidiano La Verità il Signor Enrico Venturoli sollecita la Procura della Repubblica di Perugia, “ora che si è svegliata” (evidente il riferimento alla vicenda dei concorsi che sarebbero stati “pilotati” tra Assessorato alla Regione Umbria e ASL di Perugia nell’ambito di assunzioni all’Ospedale cittadino), ad indagare “finalmente sulle responsabilità delle gravissime condizioni in cui versa la rete stradale della Regione”. Ed al riguardo invita qualche funzionario della Procura “a percorrere, tanto per fare un piccolissimo esempio, la Foligno-Spoleto e poi riferire sulle anomalie degli appalti, testimoniate dalle ripetute frequenze dei lavori di manutenzione su alcune tratte (raccordo Orte-Terni)”.
Il Signor Venturoli ha ragione. Le condizioni della rete stradale in una regione che ha una forte vocazione industriale e turistica, crocevia di collegamenti tra Lazio, Toscana e Marche, sono pessime, quasi ovunque. Si tratta di strade statali, regionali e provinciali che percorrono, oltre le valli, tratti appenninici con significative variazioni di quota. Le provinciali, in particolare sono molto estese. Nella sola Provincia di Perugia, ad esempio, hanno un’estensione di oltre 2.500 chilometri, strade interessante da un traffico pensante che lascia i segni su un manto stradale nel quale nei mesi invernali dominano neve e gelo. Ma nel bilancio provinciale non ci sono risorse adeguate per la manutenzione. È una delle conseguenze della “riforma” Del Rio, che da Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio volle intestarsi quella scelta legislativa che ha svuotato le competenze, e i bilanci, delle province nella previsione dell’imminente approvazione della legge di revisione costituzionale targata Renzi-Boschi che aboliva quegli enti. Non avevano previsto a Palazzo Chigi che gli italiani l’avrebbero sonoramente bocciata il 4 dicembre 2016, nonostante la grancassa di una campagna pubblicitaria senza precedenti “a reti unificate” e con il concorso, adulterato, perfino del Presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, al quale i media italiani, sollecitati da Renzi, avevano fatto lodare la proposta di riforma, in particolare la pratica abolizione del bicameralismo paritario, che prevede Camera e Senato con gli stessi poteri. Una cosa che il Presidente americano non poteva aver detto in quanto gli U.S.A. sono uno straordinario esempio di bicameralismo paritario, come comprende chiunque segua le cronache politiche di quel grande Paese. Dove i poteri del Senato sono particolarmente significativi.
Tornando alle strade dell’Umbria, la denuncia del lettore de La Verità si sofferma sulle “ripetute frequenze” dei lavori di manutenzione, come nel caso di un tratto importante del raccordo Orte-Terni che effettivamente, come posso personalmente testimoniare, è un cantiere perenne, dalla galleria San Pellegrino in direzione di Terni, in entrambi i sensi di marcia, con grande disagio per il traffico di mezzi pesanti che si riversa su quel tratto della E45, arteria di grande comunicazione che termina a Cesena, molto gettonata per essere in gran parte parallela all’Autostrada del Sole, tanto che negli anni scorsi si è detto di introdurre un pedaggio. Chi percorre quel raccordo trova assai spesso il senso di marcia alternato, tra l’una e l’altra galleria, tra l’una e l’altra carreggiata tra l’altro caratterizzata da una forte pendenza. C’è evidentemente qualcosa che non va. Instabilità del terreno? Lavori eseguiti non a regola d’arte? Chi progetta le opere, chi le dispone, chi le esegue, chi le collauda? Chi, come me, ha percorso quella strada per anni ed ancora oggi la percorre, sa che è rarissimo, e per pochi giorni, trovare quel tratto senza che un cantiere sia attivo o comunque aperto. Tanto che, come suggerisce la lettera, ho pensato più volte di segnalare questa situazione, che appare una anomalia, al Procuratore della Repubblica competente, che non è quello di Perugia ma di Terni. È una situazione che richiede una indagine approfondita.
22 aprile 2019

Notre Dame o dell’identità europea
di Salvatore Sfrecola

Le fiamme che hanno avvolto la Basilica di Notre Dame a Parigi sembrano aver risvegliato in Francia e nel mondo sentimenti identitari, religiosi e civili, nella consapevolezza, troppo spesso trascurata, che oggi non possiamo dimenticare quel che abbiamo alle spalle, secoli di pensieri forti, spirituali ma anche politici, che si sono formati nel corso degli anni e che distinguono un popolo dagli altri. Ci riferiamo a quella che chiamiamo identità, a quell’insieme di esperienze culturali e di vita comunitaria che fanno di un popolo una nazione, una patria, intesa come terra dei padri, di coloro che ci hanno preceduto.
Se ne parla poco e spesso a sproposito, a volte enfatizzando le diversità tra i popoli in funzione di un nazionalismo escludente che può diventare aggressivo, come spesso è accaduto in passato. Ma nella versione più corretta l’idea di Nazione e il culto della Patria costituiscono espressione della consapevolezza della propria storia che non è uguale a quella di altri popoli, senza che ne derivi un giudizio negativo nei confronti di questi ed alimenti disprezzo fino al punto di considerarli inferiori, quindi da soggiogare o da eliminare. La storia conosce di queste impostazioni che hanno fomentato guerre e prodotto lutti e ingiustizie.
Intesa come espressione della propria identità storica e culturale la tradizione nazionale si confronta con le altre identità alla ricerca di un reciproco accrescimento di indubbia validità anche in assenza di utili contaminazioni. Lo si vede nella cultura letteraria e artistica come in quella musicale che assume spesso elementi tratti da altre esperienze, evidenti nella pittura e nella scultura ma anche nella musica, come dimostrano alcune scuole che recepito o trasferito esperienze maturate altrove.
Così possiamo dire che Notre Dame è un esempio di architettura gotica che recepisce stilemi propri delle cattedrali che in un periodo storico ricco di un pensiero, che rielaborava le esperienze della cultura classica alla luce dell’insegnamento cristiano, ha segnato un momento importante del pensiero occidentale ponendo le basi del successivo Rinascimento. Quella architettura, quelle cattedrali, espressione visibile della proiezione dell’uomo verso l’alto, verso Dio, sono testimonianza delle radici cristiane dell’Europa, radici corroborate dall’innesto nella cultura greco romana che, infatti, nei monasteri veniva salvata dall’oblio attraverso la cura dei manoscritti provenienti da Roma soprattutto. Ecco, dunque che l’identità che in questo modo si è formata e che si è sviluppata con caratteristiche unitarie al di là del fatto che i popoli europei, nel corso degli stessi secoli, si siano combattuti con ogni mezzo, contrapponendosi nelle esperienze politiche, nelle forme istituzionali degli stati e finanche nella religione assumendo diverse e, per taluni aspetti, contrapposte interpretazioni del messaggio cristiano e della struttura organizzativa della Chiesa, così dando luogo a più Chiese.
In questa diversità, spesso rilevante e non di rado accentuata da motivazioni politiche e da orientamenti filosofici, i popoli europei ritrovano comunque il dato unitario, del quale sono giustamente orgogliosi, in quanto le comuni radici persistono al di là delle diversità accentuate dalla politica economica, industriale e commerciale. Questo dato unitario, percepibile facilmente nei popoli che, più di un tempo, viaggiano per motivi di lavoro e di studio (si pensi ai corsi Erasmus che hanno coinvolto milioni di giovani) appare, invece, non percepito dai governi i quali sembrano perseguire soprattutto interessi economici egoistici, incapaci di avere una visione unitaria. E difatti l’Europa non ha una politica estera comune, nonostante un commissario esibisca pomposamente il titolo di “Alto rappresentante” per la politica estera e di sicurezza, né un esercito, strumenti con i quali ci si confronta in diversi scacchieri del mondo anche delle aree più vicine, così dando spazio all’iniziativa di potenze mondiali, dagli Stati Uniti alla Cina alla Russia, le quali misurano la loro capacità politica ed economica cercando di influire sulla vita di popoli, soprattutto mediterranei e dell’Africa subsahariana, con l’effetto spesso di accrescere crisi politiche o di crearne di nuove per affermare la loro supremazia con conseguenze sovente tragiche, come dimostra l’esodo di milioni di persone dalle aree insicure per la presenza di conflitti o di condizioni ambientali invivibili.
La tragedia dell’incendio della Basilica parigina, che ha turbato ovunque nel mondo non solamente i cristiani ma anche tutte le persone colte o comunque attente alle comuni radici culturali e spirituali, potrebbe aver risvegliato in particolare negli europei il senso di una comunanza che si arricchisce delle esperienze e delle tradizioni dei singoli popoli. Insomma una Europa che sia la Patria delle Patrie dovrebbe essere l’auspicabile futuro del Continente che vanta la più antica civiltà, cultura e intelligenze non comuni insieme ad una realtà industriale e commerciale che, se ben guidata, farebbe dell’Unione Europea un interlocutore di primissimo piano nel contesto delle grandi potenze, fattore di stabilità e di pace, strumento di progresso e di benessere per i popoli del Continente.
Che l’incendio di Notre Dame non sia avvenuto invano ma abbia ricordato a tutti gli abitanti del Continente che, come non possiamo non dirci cristiani non possiamo dimenticare di essere soprattutto europei.
16 aprile 2019

L’Unione Monarchica Italiana contro  il cambio di nome a Largo Carlo Felice di Cagliari

Il sondaggio dell’Unione Sarda, che chiede di conoscere l’opinione dei lettori sull’ipotesi di cambiare nome a Largo Carlo Felice, Re di Sardegna e Duca di Savoia, per intitolarlo ad una, non meglio individuata, donna sarda “meritevole”, dimostra negazione della storia e, pertanto, della identità di un popolo. L’Unione Monarchica Italiana, che già in altra occasione ha condannato modifiche nella toponomastica dirette a cancellare pezzi di storia della Nazione o di una regione, ritiene che, ove accolto, il cambio di denominazione costituirebbe una gravissima lesione della storia della Sardegna che si è sviluppata lungo secoli con espressione di altissimi valori identitari, civili e spirituali, che vanno conservati indipendentemente dalle attuali idee politiche di ciascuno.
In proposito l’Unione Monarchica ricorda a tutti che le città e i borghi d’Italia recano ovunque strade e piazze intitolate a Giuseppe Mazzini. E questo è avvenuto sotto il Regno d’Italia.

FRAMMENTI DI RIFLESSIONI
del Prof. Avv. Pietrangelo Jaricci

Giustizia amministrativa
L’interdittiva prefettizia antimafia costituisce una misura preventiva volta a colpire l’azione della criminalità organizzata, impedendole di avere rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione; trattandosi quindi di una misura a carattere preventivo, prescinde dall’accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la pubblica amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti da diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente? Pertanto, si è in presenza di una valutazione che costituisce espressione di ampia discrezionalità, che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (Cons. Stato, Sez. III, 11 settembre 2017, n. 4286, a cura di A. Corrado, in Guida dir., n. 43/2017, 94).

Opinioni da ponderare
– Michele Ainis (“Se gli elettori non votano dimezziamo i deputati”, L’Espresso, n. 11/2019, 47) osserva che “il primo partito, un’elezione dopo l’altra, è sempre il partito del non voto”. Quindi, l’astensione cresce fino a raggiungere la maggioranza assoluta del corpo elettorale.
   “L’astensionismo è ormai un fenomeno liquidato in due battute il giorno delle elezioni, dimenticato il giorno dopo”. Pertanto, al fine di reagire al crescente astensionismo elettorale, potrebbe farsi ricorso al quorum  che comporterebbe almeno un “risparmio di poltrone”. Infatti, se esprime il proprio voto il 50% degli elettori, i deputati saranno 315 e non 630, con evidente, rilevante riduzione della spessa pubblica.
   Soluzione questa tutt’altro che disprezzabile.
– Salvatore Sfrecola (“Daranno la cittadinanza a Rami ma lui si sente davvero italiano?”, La Verità, 29 marzo 2019, 5). Il coraggioso Rami, giovanissimo egiziano, merita senz’altro la cittadinanza italiana per aver contribuito, in maniera determinante, a salvare i propri compagni nel pullman di lì a poco distrutto dalle fiamme.
È, tuttavia, lecito domandarsi se, “secondo la retorica cui ricorrono insistentemente i fautori dello ius soli, si senta italiano come i compagni che lo sono grazie allo ius sanguinis, perché figli di italiani”.
Invero, non si abbandonano mai completamente le proprie radici, “anche quando si recepiscono la cultura e le tradizioni del popolo con il quale si vive? Una vera integrazione è il più delle volte impossibile e spesso cova sotto la cenere il culto della propria identità. Può rimanere un fatto culturale, ma può sfociare nella ribellione”, non facile da individuare e, quindi, da prevenire.
Comunque, tale disamina deve indurre ad una seria e prudente riflessione, anche alla luce dei recenti accadimenti delittuosi.
–   Paolo Biondani (“Da Cucchi alla morte di Imane oggi le perizie decidono le sentenze. Ma non sono infallibili. Anzi”, L’Espresso, n. 14/2019, 74). “Errori, cantonate, fino ai casi limite di ‘esperti’ reclutati da avvocati e criminali grazie a un sistema senza controlli. Diverse indagini portano alla luce il lato oscuro delle consulenze ai Tribunali.”
   “Sono solo consulenti, in teoria. Ma spesso contano più dei magistrati. I giudici conoscono la legge, ma su tutte le questioni di scienza, medicina, tecnologia o ingegneria devono affidarsi a professionisti esterni. I periti. Che non sono magistrati dello Stato. Sono tecnici privati, professori, esperti veri o presunti. Però condizionano la giustizia. Le loro perizie, di fatto, anticipano e pilotano le sentenze”.
Anche nel settore delle consulenze giudiziarie è, quindi, necessario intervenire presto e drasticamente

Ricordando Franco Bartolomei
Anche se non è più tra noi da anni, il ricordo prezioso di Franco Bartolomei torna quotidianamente nei miei pensieri.
Amico autorevole ed affettuoso la cui profonda cultura, non soltanto giuridica, ha ispirato ogni suo lavoro. Professore ordinario di Diritto amministrativo nell’Università di Macerata, valente avvocato, ha concluso tristemente la sua esistenza terrena.
Mi soffermo spesso, con dolorosa partecipazione, sul suo rattristante volume “Magistrati del malefizio”  (Spirali, Milano, 2000) del quale il diletto figlio Iacopo mi fece omaggio con una commovente dedica: volume dove le amarezze sofferte dal padre si evidenziano in tutta la loro crudele drammaticità.
Già nella presentazione dell’opera (pag. 11) possiamo leggere, sgomenti, queste infauste riflessioni: “Sono vento senz’aria, aria senza vento, profumo senza fiore, odore senza profumo, in un vuoto profondo, dove il buio è senza spazio. Una nuvola dispersa nell’infinito, cielo appare e scompare nell’inesistente colore di rubino. Rosso è il sole nel primo mattino sull’orizzonte d’estate; la luna arancione d’agosto nuda emerge dal mare diffondendo candore sull’ombra terrestre. Metà globo nell’oscurità, metà nel chiarore. Spezzata la terra, spaccato il cuore affogato nel sangue. Ghiacciai infuocati, montagne di fuoco eruttano fiumane di brucianti menzogne. Nei gorghi del malefizio l’indagato diventa imputato. Prima ancora, incarcerato. Sopravvive tra affanni, minata la salute; risuscita dopo i processi, dopo la condanna. Sconfitta la morte. L’anelito alla ‘resurrezione’: una percezione percettiva. Vive e non respira. Un cielo senza sole e senza stelle”.
Caro Franco, riposa in pace.
I ricordi non temperano le amarezze. I sogni svaniscono impietosi. Soltanto l’amicizia, la stima e l’affetto mai vengono meno.

No manifesti Unione Atei,
Il Consiglio di Stato dà ragione al Comune Genova
Messaggio discriminatorio e offensivo, accolto il ricorso

(ANSA) – ROMA, 9 APR – La V Sezione del Consiglio di Stato ha accolto l’appello del Comune di Genova, che non aveva concesso l’uso del servizio delle pubbliche affissioni per i centotrenta manifesti della campagna nazionale promossa dall’Unione degli Atei e Agnostici Razionalisti “Non affidarti al caso”, in tema di obiezione di coscienza in ambito sanitario.
Il ‘no’ del Comune all’affissione era motivato dal fatto che il manifesto poneva in evidenza “una possibile violazione di norme vigenti in riferimento alla protezione della coscienza individuale e al rispetto ed alla tutela dovuti ad ogni confessione religiosa e a chi la professa”. Il Comune chiedeva pertanto la modifica della bozza del manifesto che contrapponeva il busto di un medico a quello di un ministro del culto cristiano, con la scritta “Testa o croce?” e poi “Non affidarti al caso” e “Chiedi subito al tuo medico se pratica qualsiasi forma di obiezione di coscienza”.
Il Tar Liguria aveva accolto il ricorso contro il diniego del Comune di Genova. Il comune di Genova ha fatto appello e il Consiglio di Stato lo ha accolto. I giudici – si legge nella sentenza depositata oggi dalla V Sezione – pur riconoscendo “naturalmente legittima la critica alle scelte dei medici obiettori”, alla luce dei principi costituzionali e della Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto  che legittimamente il Comune aveva considerato le caratterizzazioni del manifesto “inutilmente discriminatorie, incontinenti e offensive per le scelte etiche o religiose fatte proprie dai medici obiettori di coscienza, la cui opzione professionale e’ garantita dalla legge n. 194 del 1978 sull’interruzione volontaria della gravidanza”.(ANSA).

CIRCOLO DI CULTURA E DI EDUCAZIONE POLITICA
REX
“il più antico Circolo Culturale della Capitale”
A CONCLUSIONE DEL 71° CICLO di CONFERENZE 2018-2019
***
“Grazie alla vittoria italiana e la conseguente dissoluzione dell’impero austro-ungarico, nasce un nuovo stato multietnico e multi religioso le cui ambizioni verranno a contrastare le nostre legittima aspirazioni. Da qui trattative e compromessi per raggiungere un equilibrio nell’Adriatico”
Su questi temi
Domenica 14 aprile alle ore 10.30 , parlerà il
Professore MICHELE D’ELIA
 ” Primo dicembre 1918 : NASCE IL REGNO DEI SERBI, DEI CROATI E DEGLI SLOVENI”
Sala Italia presso Associazione “Piemontesi a Roma”
Via Aldrovandi 16 ( ingresso su strada) e 16/B (ingresso con ascensore) raggiungibile con linee tramviarie “3” e “19” ed autobus “910”,”223″, “53” e “52”

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