Anticorruzione: dopo Cantone non abbassare la guardia
di Salvatore Sfrecola
Se ne va Raffaele Cantone. Lascia la presidenza dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (A.N.A.C.) e torna in Magistratura, in anticipo rispetto alla scadenza del mandato, e si toglie qualche sassolino dalle scarpe segnalando con garbo che non sempre l’attuale Governo lo ha ascoltato, soprattutto nella fase della definizione del decreto “sblocca cantieri”, quando, secondo Cantone è stata abbassata la guardia.
Se ne va, tuttavia, con soddisfazione, avendo incassato il giudizio, ampiamente positivo, delle Nazioni Unite sull’aderenza dell’ordinamento nazionale a quanto stabilito dalla Convenzione di Merida contro la corruzione del 2003. Infatti, nell’ambito del secondo Rapporto di valutazione, previsto periodicamente per gli Stati contraenti, l’Italia è risultata soddisfare tutti gli adempimenti stabiliti nel capitolo II dell’intesa (prevenzione e recupero dei beni). Oltre a dare atto dei progressi compiuti a partire dal 2012 nella lotta alla corruzione, il report si concentra sull’efficacia dell’azione svolta dall’ A.N.A.C., affermando che la legislazione italiana “prevede l’applicazione di tutte le disposizioni della Convenzione relative alla prevenzione”.
Il Rapporto elogia il lavoro dell’Autorità sotto più aspetti, soprattutto per le buone prassi introdotte. Nello specifico, viene manifestato particolare apprezzamento per lo sviluppo di un modello di controllo sugli appalti pubblici economicamente rilevanti, così da impedire l’infiltrazione mafiosa e quella criminale. Il riferimento è agli “High Level Principles per l’integrità, la trasparenza e i controlli efficaci di grandi eventi e delle relative infrastrutture”, che già l’Ocse aveva definito una best practice internazionale.
Il Rapporto riconosce vari pregi al “modello italiano” della prevenzione: la centralità del Piano nazionale anticorruzione redatto dall’ A.N.A.C. e lo sforzo per coinvolgere nell’elaborazione dei propri atti normativi tutti gli enti della pubblica amministrazione e gli stakeholder; la creazione di una piattaforma online dedicata alle segnalazioni di whistleblowing e l’istituzione di un ufficio specifico per la loro trattazione; la collaborazione con la società civile e l’impegno nella promozione di appositi programmi educativi all’interno delle scuole.
“Il lusinghiero giudizio dell’Onu sull’attività dell’A.N.A.C. è per noi motivo di particolare orgoglio” ha affermato l’ormai ex Presidente dell’Autorità: “Il Rapporto non solo riconosce il lavoro svolto nel corso di questi anni, ma dimostra quanto sia importante un’azione di sistema per contrastare la corruzione, nella quale la repressione non può essere disgiunta dalla prevenzione. Una valutazione tanto favorevole, fra l’altro – conclude Cantone – produce ricadute positive in termini di immagine e reputazione internazionale di cui può beneficiare tutto il Paese”.
In effetti l’A.N.A.C. ha assicurato prevenzione, nonostante la politica non abbia favorito una razionale semplificazione delle procedure. Una condizione che sarebbe ingiusto addebitare all’A.N.A.C., come fa chi ha addirittura ipotizzato la soppressione dell’Autorità. Cosa che non è possibile, non solo perché a prevedere un apposito organismo per la lotta alla corruzione è la Convenzione delle Nazioni unite contro la corruzione, adottata dall’Assemblea generale il 31 ottobre 2003, ratificata dal Parlamento italiano con la legge 3 agosto 2009, n. 116, ma anche perché obiettivamente l’A.N.A.C. ha dimostrato di saper svolgere il ruolo assegnatole. GRECO (Group of States against Corruption) lo riconosce e nel suo rapporto del 13 dicembre 2018 ha concluso che l’Italia “ha compiuto progressi per prevenire la corruzione nel sistema giudiziario, ma è necessario faccia ancora di più”. In materia di conflitto di interessi, di ineleggibilità e incompatibilità.
E torma a farsi sentire il “partito degli affari” il cui interesse non è diretto ad ottenere procedure snelle che premino il confronto tra imprenditori onesti e capaci ma ad avvalersi di compiacenze varie, a livello politico e amministrativo, per aggirare le regole della concorrenza e dell’interesse pubblico.
Per confondere le idee ai lettori i giornali mettono a confronto le idee di Cantone e quelle di Piercamillo Davigo, entrambi magistrati con vasta esperienza investigativa, espressione di due diversi orientamenti, quello della prevenzione, il primo, quello della repressione, il secondo. Sennonché, come è evidente a chiunque abbia un po’ di esperienza di pubblica amministrazione, le due funzioni non sono assolutamente incompatibili. Anzi sono complementari e funzionali ad una effettiva lotta alla corruzione, quella che appare sempre più necessaria perché l’Italia, nonostante sia negli ultimi anni risalita nella graduatoria che Transparency Iternational redige annualmente per indicare il livello di percezione della corruzione, è ancora lontana dai paesi più virtuosi, come i Regni di Danimarca, di Norvegia o di Svezia, anche se ha guadagnato qualche posizione allontanandosi da Botswana e Cuba ai quali per troppo tempo si è affiancata.
È evidente che la lotta alla corruzione non si può fare solo con la repressione. È necessario che lo Stato predisponga strumenti capaci di evitare che corrotto e corruttore s’incontrino per fare i loro sporchi interessi. Ciò che esige una efficiente organizzazione amministrativa, una disciplina dei controlli, di legittimità e di gestione, capace di intercettare comportamenti illegittimi e illeciti, e pertanto fonte di danno erariale, che significa addossare ai bilanci pubblici spese inutili o eccessive per opere o servizi inadeguati. Occorre, in sostanza, dissuadere i malintenzionati.
È quel che fa l’A.N.A.C. monitorando la gestione delle spese per appalti e forniture accendendo un faro su alcuni passaggi delle procedure amministrative. Naturalmente non basta. La corruzione è un reato che si consuma all’ombra di un concerto illecito, quando un pubblico ufficiale infedele “indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa”, come si legge nell’art. 318 del codice penale, così assicurando ad un imprenditore disonesto la scorciatoia per ottenere un appalto che sarebbe spettato ad altri. Distorcendo le regole del mercato e della concorrenza, con effetti negativi sulla gestione del denaro pubblico che viene in tal modo destinato a forniture di beni e servizi spesso scadenti, perché il corruttore deve in qualche modo recuperare il costo della tangente. Ciò che fa risparmiando sui lavori o sulla qualità dei beni e servizi ceduti oppure con fittizie variazioni in aumento del costo del contratto, ad esempio con perizie di variante e suppletive inutili ma ben remunerate.
Quando il fatto è avvenuto l’indagine per scoprire l’illecito non è facile. Per cui Davigo giustamente fa presente che la magistratura inquirente dispone di strumenti di indagine che l’Autorità amministrativa non può utilizzare. Tutti, peraltro, vorremmo che non si giungesse alla repressione, che lo Stato fosse tanto bene organizzato ed autorevole da impedire la corruzione. Attraverso regole trasparenti e semplici, capaci di dissuadere i disonesti e di assicurare gli imprenditori onesti che le loro offerte saranno valutate obiettivamente nel quadro di una verifica delle esigenze delle stazioni appaltanti. Anche per riportare sul nostro mercato gli imprenditori esteri, soprattutto dell’Unione Europea, che se ne sono allontanati dubitando che la concorrenza fosse trasparente e, in caso di contenzioso, la pronuncia dei giudici, ordinari e amministrativi, giungesse in tempi ragionevoli, compatibili con le esigenze delle imprese.
Il dopo Cantone parte, dunque, da una verifica dell’esistente, dalle regole che Governo e Parlamento hanno voluto, a volte gravando troppo l’A.N.A.C. per scaricare sull’Autorità anticorruzione incombenze proprie degli uffici dell’Amministrazione. Un alibi comodo ma inutile. Come dimostra il codice dei contratti, più volte modificato, alla ricerca della misura giusta di regole che devono garantire una buona prestazione in un contesto di legalità. Il Parlamento con la recente legge 9 gennaio 2019, n. 3, ha dettato norme in tema di reati contro la P.A., di prescrizione, di trasparenza di partiti e movimenti politici. Il Movimento 5 Stelle che se l’è intestata si attende molto da questa normativa che ha inasprito le pene, migliorato la disciplina dei beni sequestrati e introdotto una causa di “non punibilità” in favore di chi denuncia il fatto “prima di avere notizia che nei suoi confronti sono svolte indagini”.
E come prima cosa va scelto il nuovo Presidente dell’Autorità. Bravo, competente e realmente indipendente.
26 luglio 2019