Taglio dei parlamentari? No grazie
di Salvatore Sfrecola
Taglio dei parlamentari? No grazie. Perché, in primo luogo, sarebbe necessariamente rinviata la verifica delle urne imposta dalla crisi del governo giallo -verde, occorrendo, dopo l’approvazione della riforma costituzionale, una modifica della legge elettorale con rideterminazione dei collegi prima di andare al voto. Poi, a ben pensare, la riduzione dei parlamentari, presentata dai grillini come una scelta popolare destinata ad assicurare un risparmio per i bilanci delle Camere, crea problemi non indifferenti in rapporto a taluni equilibri costituzionali, come messo in risalto, all’indomani della terza votazione, da Francesco Clementi e da altri costituzionalisti con argomenti che hanno convinto anche me, che avevo criticato Matteo Renzi per aver proposto la riduzione dei senatori a 100 lasciando 630 deputati.
Il fatto è che i nostri 630 deputati e 315 senatori costituiscono un numero che nella nostra Costituzione, attraverso un rapporto tra seggi e popolazione, assicura il buon funzionamento delle garanzie attraverso i quorum richiesti per eleggere il Presidente della Repubblica (2/3 dell’assemblea per i primi tre scrutini), i giudici costituzionali ed i componenti laici del Consiglio Superiore della Magistratura. Si potrebbe dire che, ridotti i parlamentari, sarebbe pur sempre consentito il calcolo della misura richiesta per i componenti della Camera in seduta comune. Senonché ne risulterebbe significativamente compresso il ruolo delle minoranze, e delle regioni più piccole nel collegio per l’elezione del Capo dello Stato, rispetto all’esigenza di una rappresentanza plurale.
Non se ne dà carico il disegno di legge Fraccaro che, preso dall’esigenza assolutamente demagogica del risparmio, che fa breccia nel cuore dell’elettorato grillino, non tiene conto delle segnalate esigenze di garanzia e di pluralismo. Forse perché quella componente politica, che in questi giorni enfatizza il ruolo della rappresentanza parlamentare, propende per la democrazia diretta – tanto che non a caso la piattaforma che raccoglie i desiderata degli iscritti è intestata a Rousseau, dal filosofo francese che l’ha teorizzata – cosi relegando le Camere in un ruolo assolutamente residuale. Per Davide Casaleggio, infatti, ispiratore del M5S, giusto un anno fa, “grazie alla Rete e alle tecnologie, esistono strumenti di partecipazione decisamente più democratici ed efficaci in termini di rappresentatività popolare di qualunque modello di governo novecentesco. Il superamento della democrazia rappresentativa è inevitabile”. Del resto la denominazione dell’incarico ministeriale attribuito all’On. Riccardo Fraccaro è quello di Ministro “per i rapporti con il Parlamento e la democrazia diretta”. Non sono dunque credibili Luigi Di Maio e compagni quando, in nome dei risparmi, si fanno difensori del Parlamento, come ha fatto il capogruppo al Senato Stefano Patuanelli che, intervenendo nel dibattito sulla mozione TAV, ha affermato con grande enfasi che forse a qualcuno, in quell’aula, era sfuggito che l’Italia è una repubblica parlamentare e “non un premierato”, considerato che il Presidente Giuseppe Conte, per scongiurare la crisi di governo, aveva in limine dato personalmente il via alla ferrovia Torino- Lione.
Demagogia, dunque, è quella che muove i grillini ma con l’intento evidente di procrastinare i tempi della verifica elettorale che immaginano per loro impietosa in ragione del calo significativo dei consensi registrato dai sondaggi e confermato dai risultati delle molteplici elezioni, europee, regionali e comunali che si sono tenute dopo le elezioni nazionali del 2018.
(da La Verità dell’11 agosto 2019)