Un popolo senza identità teme la presenza di immigrati
di Salvatore Sfrecola
Non c’è dubbio che il tema dell’immigrazione tornerà prepotentemente nel programma e nell’azione del nuovo governo con tutti i problemi che conosciamo e che nei mesi scorsi hanno schierato su opposte trincee il governo giallo-verde e l’opposizione che oggi è al governo. La modifica dei decreti sicurezza, voluti da Salvini, è stata, infatti, preannunciata fin dalle prime interlocuzioni dei partner di governo. E c’è da essere certi che le modifiche andranno al di là delle sollecitazioni con le quali il Capo dello Stato aveva accompagnato la promulgazione della legge di conversione del decreto 2.
Di immigrazione scrivono oggi sul Corriere della Sera Alberto Alesina e Francesco Giavazzi (“Due cose da fare”) in un pezzo che a tutto campo affronta i temi dell’economia e dei rapporti internazionali, con critiche che non risparmiano le impostazioni populiste e sovraniste che, secondo gli autori, con i limiti che stanno dimostrando Trump e Bolsonaro nella gestione dell’economia. E si soffermano sul tema dell’immigrazione, sulle percezioni del fenomeno considerate “errate”, facendo ricorso ad un argomento non nuovo: si esagera a proposito “dell’effetto dell’immigrazione sulla criminalità” e si dimentica “di tutti quegli immigrati che aiutano le nostre famiglie e la nostra economia e ristabiliscono un equilibrio generazionale”. È una impostazione effetto della concezione globalista dell’economia nella quale l’uomo è soprattutto un consumatore, non il portatori di valori culturali nei quali si identificano i popoli. Ne consegue che è facile gridare all’invasione, in presenza di una crescente presenza di stranieri con forte propensione alla natalità mentre gli italiani fanno sempre meno figli, a causa dell’incertezza delle condizioni di lavoro e della assoluta carenza di servizi per l’infanzia.
L’Italia, non bisogna dimenticarlo, ha sempre praticato l’accoglienza, fin da quando nelle nostre città vivevano libici, eritrei, somali, ed etiopi provenienti dalle colonne che non destavano nessuna preoccupazione nei nostri connazionali. Quelle persone avevano rispetto per la nostra storia e per la nostra identità ed erano accolte con simpatia dagli italiani di tutte le generazioni perché erano considerate parte della nostra realtà. Come nell’antica Roma, che accoglieva tutti purché rispettassero le leggi e fossero consapevoli della missione storica dell’Urbe. È sbagliato, quindi, scrivere come fanno i nostri autori che “la realtà è che l’italiano medio non è pronto a vivere in una società multietnica, almeno non lo è ancora, e queste preferenze culturali vanno tenute in conto quando si gestiscono i flussi migratori”.
Il fatto è che l’accoglienza degli immigrati, alcuni dei quali contribuiscono alla vita economica e sociale del nostro Paese, è condizionata dal grado di percezione nell’opinione pubblica della difesa della identità nazionale da parte delle istituzioni e della società. Nel senso che una forte identità non teme la presenza di stranieri appartenenti a culture e religioni diverse i quali, ad onta della politica di integrazione che ricorre nella pubblicistica e nella propaganda politica, in realtà rimangono il più delle volte estranei alle nostre comunità, emarginati, volontariamente per essere gelosi custodi delle proprie tradizioni e della propria cultura. Accade, dunque, che in ragione di questa difesa delle proprie radici culturali, orgogliosamente esibite e rivendicate, vada crescendo di generazione in generazione la ribellione nei confronti dei costumi dell’Occidente da loro ritenuto corrotto, perché ammette che le donne esibiscano le loro chiome, considerate oggetto di attrazione sessuale, mostrino le gambe, vestano abiti attillati. E, inoltre, abbiano rapporti disinvolti con l’altro sesso, anche solo nelle relazioni amicali, che negli ambienti di fede islamica non è consentito. Come dimostra il fatto che, più di una volta, giovani islamiche innamorate di italiani sono state maltrattate, segregate, financo uccise da persone della famiglia. Sono casi limite evidentemente, ma i casi limite sono sempre espressione esasperata di una concezione, di una modalità di vita. Le difficoltà di integrazione sono evidenti giorno dopo giorno e ne abbiamo prove a iosa. Una per tutte. Quando in una scuola sono state ricordate, con un minuto di silenzio, le vittime del Bataclan, le ragazze di fede islamica non si sono alzate in piedi dimostrando assoluta insensibilità per quelle giovani vittime di un vile attentato terroristico.
Tutto questo dimostra che la politica della immigrazione senza controllo e senza selezione è sbagliata. Infatti, in alcuni Stati, ad esempio in Germania, i governi si preoccupano di gestire l’accoglienza dando preferenza ai lavoratori specializzati od a persone di fede cristiana, come i siriani, ritenuti più affidabili e integrabili.
4 settembre 2019