La riforma dei 5 Stelle riduce i parlamentari e gli spazi di democrazia
di Salvatore Sfrecola
Ieri alla Camera è andata di scena la commedia dell’ipocrisia. Nel senso che molti di coloro che hanno votato a favore della riforma costituzionale che riduce il numero dei parlamentari sono contrari a quel testo ma non hanno avuto il coraggio di esplicitarlo per non passare per i difensori della “casta”, per coloro che non vogliono tagliare le poltrone. E così è passato il ricatto morale di Di Maio e compagni, favorito dal timore che, se fosse bocciata la riforma sarebbe caduto il governo e, con ogni probabilità, si sarebbe andati al voto, con effetti devastanti almeno su due partiti, il Movimento 5 Stelle ed il Partito Democratico che i sondaggi dicono in calo rispetto al consenso registrato il 4 marzo 2018. E sono stati anche costretti a battere le mani ed a sorridere, sia pure a mezza bocca perché, essendo già in forse la loro rielezione a causa del calo pauroso e continuo dei consensi, con la riduzione del posti disponibili in Parlamento le speranze di una rielezione sono ancora minori se non nulle.
Tuttavia non è certo sul numero dei parlamentari, come definito dalla riforma approvata ieri, 400 deputati e 200 senatori, che si soffermano nei commenti di oggi i critici della riforma “epocale” voluta dal M 5 S, con un risparmio minimo, calcolato in euro 1,70 annui (caffè e brioche) per ogni italiano. Quel che preoccupa sono gli effetti della consistenza delle assemblee legislative in rapporto alla rappresentatività delle minoranze territoriali e linguistiche ed alla definizione di alcune importanti decisioni parlamentari. A cominciare dalla elezione del Presidente della Repubblica da parte di un collegio, il Parlamento in seduta comune, nel quale crescerà l’importanza dei delegati regionali. Ma sarà anche ridotto il peso delle minoranze nella elezione dei rappresentanti del Parlamento nella Corte costituzionale e negli organismi di garanzia, quali il Consiglio Superiore della Magistratura e gli organi di autogoverno del Consiglio di Stato e della Corte dei conti.
Chi ha votato a favore, pur avendo manifestato in precedenza riserve, come il PD contrario in tutte le precedenti tre votazioni si fida di una promessa, di un patto “tra gentiluomini”, secondo il quale sarà avviata una stagione di riforme, a cominciare dalla legge elettorale, sulla quale, peraltro, si sa che ci sono opinioni molto diverse e mentre incombe il referendum promosso dalla Lega che vuole abolire la quota proporzionale dell’attuale legge, il rosatellum, per fare una legge maggioritaria.
Poteva essere l’occasione di una riforma che distinguesse, ad esempio, le competenze di Camera e Senato per snellire l’iter di approvazione delle leggi. Non si è fatto e non se ne parla nemmeno. Sono questioni complesse, meglio parlare alla pancia del popolino anticasta, che non sa neppure cosa si fa a Montecitorio ed a Palazzo Madama ma che si esalta se il numero dei parlamentari viene ridotto o se diminuiscono le indennità, mentre crescono i rimborsi spese per auto e alloggi.
Insomma, una riforma a metà che molto farà discutere, voluta da chi disprezza la democrazia parlamentare, che propende per la “democrazia diretta”, una utopia delineata dal Jean-Jacques Rousseau ai temi della Rivoluzione Francese, che non si è mai realizzata nella storia, neppure dell’antica Grecia dove si favoleggiava dell’Agorà nella quale a decidere erano i ricchi, coloro i quali potevano assentarsi dal lavoro per partecipare all’assemblea, non i commercianti ed i contadini che non potevano abbandonare la bottega e il campo.
È il punto più basso della vita politica nel nostro Paese, una mortificazione della rappresentanza iniziata con l’eliminazione del voto di preferenza che mette nelle mani di una ristretta oligarchia politica, i segretari dei partiti ed i capi corrente, la definizione delle liste elettorali e la posizione di ciascuno nella lista, così determinando l’elezione di un soggetto del quale gli elettori oltre al volto ignorano perfino il nome.
Infine qualcuno ha ricordato che la riduzione dei parlamentari era uno degli elementi fondamentali della proposta di Licio Gelli, il Maestro Venerabile della Loggia P2, nel suo “Piano di rinascita democratica” che peraltro prevedeva il monocameralismo, desiderio esplicito di tutti gli aspiranti autocrati.
9 ottobre 2019