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Accoglienza e integrazione

Accoglienza e integrazione
di Salvatore Sfrecola

Ferruccio de Bortoli oggi sul Corriere della Sera richiama i nomi dei primi nati del 2020 (“Migranti cosa dicono i numeri”), una fotografia impietosa del calo demografico in Italia. Infatti, sono in prevalenza stranieri i nuovi nati, figli di immigrati che abbiamo accolto con la generosità della quale gli italiani sono capaci da sempre, fin dai tempi dell’antica Roma, che inventò, all’atto della sua fondazione, il diritto di asilo.

Ovviamente questi bambini frequenteranno le nostre scuole, a cominciare dalle materne, seguendo quel corso di studi per cui avrebbero diritto, secondo i fautori dello ius culturae, di vedersi riconosciuta la cittadinanza italiana. E qui occorre mettere i puntini sulle “i”, come si dice, perché studiare in Italia non significa automaticamente integrarsi, sentirsi italiani, come studiare a Oxford o ad Harvard non significa essere o sentirsi inglesi o americani. Integrazione vuol dire ben altro. Significa condivisione convinta di valori civili e spirituali comuni al popolo che accoglie e del quale si vorrebbe entrare a far parte, considerato che la legge sulla cittadinanza è costituita da una normativa che ha lo scopo di individuare i membri di una comunità, di un popolo, tale per la sua storia per quanto lo accomuna e ne fa appunto una comunità. Il popolo, quale elemento costitutivo di un ordinamento individua, “tra le varie persone viventi nello Stato, quelle legate al medesimo da un rapporto permanente, ed in virtù di questo capaci di imprimere allo Stato una sua fisionomia, un proprio modo di essere” (Mortati). Il popolo in questo senso comprende i soli cittadini e si distingue pertanto dalla “popolazione”, costituita dalle varie persone fisiche, anche se diverse dai cittadini, le quali vivono in un determinato territorio.

Ora non è dubbio che integrarsi significa condividere i valori che fanno di una comunità di individui un popolo, caratterizzato da una storia comune, dalla consapevolezza delle radici culturali e spirituali che nel tempo si sono consolidate ed hanno assunto una connotazione che distingue un popolo dagli altri, anche se legati da una comune origine, come quando si parla delle radici greco latine dell’Europa.

Così individuato il concetto di integrazione, non può dirsi integrato, tanto per fare un esempio pratico, colui che, in ossequio ad usanze o della cultura del paese di provenienza, intendesse impedire alla figlia di convolare a nozze con un italiano perché di diversa religione, perché in Italia il credo religioso non discrimina, come si legge nell’art. 3, comma 1, della Costituzione che ha recepito valori antichi, già presenti nello Statuto del Regno d’Italia, a dimostrazione che l’uguaglianza “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione” è valore risalente nella cultura di questo popolo. Né potrebbe dirsi integrato l’uomo che impedisse a moglie e figli di vivere con i loro coetanei italiani, né è da considerare integrate le giovani islamiche che in una scuola italiana si sono rifiutate di onorare, in piedi e in silenzio, le vittime del parigino Bataclan perché quell’atteggiamento dimostra una mancanza di rispetto per vittime innocenti di una violenza e nessun rifiuto della violenza attuata dai terroristi inneggianti ad un Dio vendicatore e aggressivo in nome di un desiderio di conquista dell’Occidente Cristiano.

5 gennaio 2020

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