Il viaggio dantesco di Ulisse
di Domenico Giglio
Tutti, commentatori e lettori, sono d’accordo sulla bellezza dei versi di questo canto (Inferno –c. XXVI – v. 90-151) e di quel grande appello ai compagni che Ulisse rivolge “..fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza..”, che dovrebbe essere scolpito sopra l’ingresso di tutte le scuole ed università. Ma, a prescindere dalla bellezza poetica di questo canto, vorrei soffermarmi sul suo finale, quando, dopo cinque mesi di navigazione, superato l’equatore e proseguendo verso sud, scorgono una altissima montagna che sorge dalle acque dell’oceano, ma avvicinandosi, “un turbo nacque”, che fa affondare la nave. I commentatori ritengono che questa montagna sia poi la stessa che Dante ritroverà e scalerà nella seconda cantica, cioè la montagna del Purgatorio, il che appare logico in quanto Ulisse non poteva raggiungerla essendo peccatore e destinato all’Inferno. Questo però non appaga la curiosità sulla effettiva esistenza di una montagna avente queste caratteristiche, che, per raggiungerla, ha richiesto un così lungo viaggio. Perché Dante fa impiegare 150 giorni di navigazione e non un periodo più breve, tanto il destino di Ulisse era segnato? Ha messo a casaccio questa durata? Non è certo Dante poeta ed uomo di grande cultura ad inventarsi la durata di questo itinerario, quando superate le “Colonne d’Ercole”, cioè lo stretto di Gibilterra, invece di volgere la prua al nord ,cioè verso il mondo allora più conosciuto la indirizza “dal lato mancino”. Prendiamo perciò un atlante geografico e guardiamo l’oceano atlantico, superato di poco l’Equatore vediamo profilarsi un’isola solitaria in mezzo all’oceano: è l’isola di Ascensione, ma anche se montagnosa la sua massima altezza raggiunge gli 835 metri sul livello del mare per cui non può essere la meta del viaggio di Ulisse. Scendiamo ed appare Sant’Elena, ma non certo montagnosa. Proseguiamo e finalmente solitaria sorge dalle acque un’isola vulcanica, dalla classica forma tronco- conica “alta tanto”, ben 3.239 metri di altezza sul livello del mare. Abbiamo trovato “Eureka” ! Purtroppo l’isola “Tristan da Cunha”, fu scoperta da un navigatore portoghese che le diede il suo nome due secoli dopo il viaggio dantesco, cioè nel 1506, durante un viaggio che doveva fargli doppiare la punta estrema dell’Africa, il Capo di Buona Speranza ed inoltrarsi nell’oceano indiano. Infatti l’isola si trova praticamente sullo stesso parallelo del Capo e successive indagini ne hanno accertato un clima mite, ma a momenti tempestoso, non è forse “che dalla nuova terra un turbo nacque” del racconto di Ulisse. Le coincidenze sono effettivamente tante, ma resta il fatto che nel 1300 non fosse conosciuta ”ufficialmente”. Ma poteva essere circolata qualche voce? non sarebbe il primo caso di racconti fantastici di qualche sperduto navigante, rivelatisi esatti secoli dopo, pensiamo ai Vichinghi ed all’America e simili. Qualcosa giunta all’orecchio di Dante e da lui memorizzata. Ecco il perché dei 150 giorni di navigazione, “il folle volo”. Ci sono troppe coincidenze, troppo realismo. Dante non si sarebbe inventata un’isola che non c’era. Questa c’è.