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FRAMMENTI DI RIFLESSIONI

del Prof. Avv. Pietrangelo Jaricci

Giustizia civile

Le Sezioni unite hanno precisato che deve ritenersi sussistente la giurisdizione del g.o. nella controversia avente ad oggetto il risarcimento del danno correlato alla concreta realizzazione di un’opera pubblica e, dunque, ad attività di natura materiale e non ad attività provvedimentale, nello svolgimento della quale, non solo i soggetti privati, ma anche la pubblica amministrazione che vi concorra, hanno l’obbligo di osservare le regole tecniche ed i canoni di diligenza e prudenza, imposte dal precetto del neminem laedere a tutela dell’incolumità dei consociati e dell’integrità del loro patrimonio.

In particolare, è stato ripetutamente affermato che l’inosservanza, da parte della p.a., nella gestione e manutenzione dei beni ad essa appartenenti, delle regole tecniche, ovvero dei comuni canoni di diligenza e prudenza, può essere denunziata dal privato innanzi al giudice ordinario, non solo ove la domanda sia volta a conseguire la condanna della p.a. al risarcimento del danno patrimoniale, ma anche ove sia volta a conseguire la condanna della p.a. ad un facere, giacché la domanda non investe scelte ed atti autoritativi dell’amministrazione, ma attività soggetta al rispetto del principio del neminem laedere (Cass., Sez. un. civ., ordinanza 1° aprile 2020, n. 7636).

Ai minimi termini la fiducia nella magistratura

Salvatore Sfrecola (“Per colpa di pochi, cala l’indice di fiducia degli italiani nella Magistratura”, in questa Riv., 21 maggio 2020), con consueto stile colto e pacato, ricorda che “sono mesi che i giornali dedicano pagine intere, spesso molte, all’inchiesta della Procura della Repubblica di Perugia sulla vicenda delle assegnazioni di posti di funzione apicali in importanti uffici giudiziari decise sulla base di consultazioni e trattative tra componenti del Consiglio Superiore della Magistratura (C.S.M.), esponenti dell’Associazione Nazionale Magistrati (A.N.M.) e personaggi della politica. L’aspetto considerato illecito è nelle motivazioni delle raccomandazioni, basate sull’appartenenza del candidato ad una determinata componente dell’A.N.M. o alla sua vicinanza ad una parte politica, attestato dall’interessamento di un esponente di partito.

Le notizie di stampa, provenienti dalle trascrizioni delle intercettazioni depositate all’esito dell’attività istruttoria della Procura perugina, dimostrano che non si è trattato di fenomeni isolati, ma di un metodo che durava da tempo.

Di più, La Verità ha rivelato il testo di alcune intercettazioni nelle quali alcuni magistrati di primo piano, anche esponenti di spicco dell’A.N.M., commentavano iniziative dell’allora Ministro dell’interno, Sen. Salvini, sulla vicenda della nave Diciotti, che rivelano una mentalità assolutamente incompatibile con quella che presuppone l’indipendenza che si richiede a chi veste la toga di Giudice o di Pubblico Ministero ed è chiamato ad amministrare la Giustizia, al fine di garantire i diritti dei cittadini”.

Comunque, andando avanti di questo passo verrà azzerato il principio basilare della certezza del diritto.

Da quanto detto discende che la fiducia nella magistratura è ai minimi termini.

Solo gli stupidi, i conniventi e i manutengoli possono ancora affermare che si deve avere fiducia nella giustizia.

La riforma del CSM, non più rinviabile, deve investire funditus tale organismo, non mediante i soliti accomodanti pannicelli caldi che consentono alla magistratura di agire del tutto indisturbata e incontrollata, a tutto discapito della conclamata indipendenza di chi giudica e della doverosa tutela di chi viene giudicato.

Lo Stato faccia lo Stato. Non è più tempo di arlecchinate.

Per concludere, dubito fortemente che il probo Maestro Calamandrei avrebbe potuto scrivere oggi, se vivente, “Elogio dei giudici scritto da un avvocato”!

Democrazia in bilico

Giovanni Orsina (“Democrazia nel buio”, L’Espresso, n. 22/2020, 36 ss.) chiede se “sopravvivrà la democrazia italiana al coronavirus. È una domanda che fa spavento anche solo porre. Ma la democrazia italiana era già fragile prima, il Covid-19 l’ha ulteriormente indebolita e le conseguenze della pandemia metteranno le istituzioni sotto una pressione enorme. La domanda allora, purtroppo, ha un senso.

La pandemia ha trovato la democrazia italiana in condizioni a dir poco penose. È dal 2011 che il Paese non ha un governo dotato di una robusta legittimazione elettorale. Si dirà che in un regime parlamentare l’esecutivo deve avere la fiducia delle Camere, e tutti i gabinetti dal 2011 a oggi l’hanno avuta. Certo. Ma questo è un ragionar per forme. Nella sostanza, dalle elezioni del 1994 a quelle del 2008 gli italiani hanno avuto la possibilità di scegliere il governo. Soggettivamente ci si erano abituati. Oggettivamente si trattava di un grande passo in avanti per la democrazia italiana. Ma dal 2013 in poi quella possibilità è venuta meno. E a guidare i governi si sono succedute persone che con i risultati elettorali avevano un rapporto labile, quando non inesistente.

Indebolendo l’esecutivo, questo cambiamento avrebbe almeno dovuto restituire centralità al Parlamento. Macchè! Il Parlamento non è un luogo d’iniziativa politica perché i partiti sono politicamente evanescenti. Ha perduto di capacità tecnica per la mediocre qualità media dei parlamentari. Non riesce più a rappresentare un Paese che cambia idea ogni sei mesi.  Ha avallato esso stesso la propria crisi votando un taglio dei parlamentari motivato esclusivamente dal disprezzo nei suoi confronti. Infine, è popolato di deputati e senatori che, proprio per l’evanescenza dei partiti cui appartengono e la mutevolezza dell’opinione pubblica, sanno di non poter sopravvivere all’elezione successiva e sono disposti pressoché a tutto pur di prolungare un’esperienza che considerano un terno al lotto. Per gran paradosso, l’ascesa del partito anticasta ha reso la conservazione della poltrona ancor più decisiva di quanto non lo sia mai stata. Un governo pur privo d’una robusta legittimazione elettorale non può che prevalere su un Parlamento così combinato. Anche perché può appoggiarsi sulla Presidenza della Repubblica, che i lunghi cicli settennali schermano dagli psicodrammi elettorali e politici.

In conclusione: il Parlamento rappresenta poco e conta meno. Il governo conta ma non rappresenta praticamente più nulla. Il Presidente dà un minimo di stabilità a quest’edificio disfunzionale e precario, ma per farlo è costretto a svolgere compiti che in una democrazia ben temperata non gli spetterebbero”.                                    

Codice appalti

Siamo sempre in fiduciosa attesa che il Codice degli appalti venga impacchettato e definitivamente archiviato.

Un futuro denso di incognite

“Tutti colpiti dalla stessa malattia, un virus che ha ucciso migliaia di persone, ma che oltre a portarsi via uomini, donne e affetti sta trascinando con sé anche il futuro di chi si è salvato. Le crisi di questi anni li hanno messi a dura prova e tuttavia in qualche modo sono sempre riusciti a cavarsela… Del resto, come si fa ad essere ottimisti dopo quello che è accaduto. Il coronavirus ha imposto un blocco delle attività di quasi tre mesi, un quarto di anno in cui si è dovuta spegnere la vita, interrompere il lavoro, rinunciare al fatturato… Così non c’è ragione di sgranare gli occhi di fronte alla rabbia che sta montando fra gli italiani.

Sì, sarà un autunno caldo, perché sarà un autunno di rabbia e delusione, senza che nessuno sappia dare una risposta concreta. Ma sarà una rabbia profonda che rischia di sfociare in una depressione. La peggiore malattia per qualsiasi economia” (Maurizio Belpietro, “Un autunno caldo”, Panorama, n. 22/2020, 3).

Un commosso addio a Roberto Gervaso

Il 2 giugno è deceduto Roberto Gervaso, giornalista e scrittore di indubbio valore.

Autore brillante e prolifico, ha, tra l’altro, firmato, con Indro Montanelli, sei volumi della “Storia d’Italia”. Particolarmente suggestivo, edito nel 2003, “Italiani pecore anarchiche”, unlibello contro tutti i marpioni e i tromboni che ammorbano la nostra società fingendo di purificarla”.

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