sabato, Novembre 23, 2024
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Una crisi economica e sociale grave: le cause e gli effetti

di Salvatore Sfrecola

Può accadere, ed è spesso accaduto nella valutazione dei fatti storici, ma anche di quelli che ci presenta la cronaca, che si confondano le cause e gli effetti, specialmente in momenti di grave crisi politica, economica e sociale, nei quali le ragioni degli uni e degli altri tendono a sovrapporsi. Accade, dunque, che alcune iniziative di piazza, a tratti scomposte, reiterate e promosse anche da soggetti estranei ai partiti di opposizione, abbiano fatto ritenere ad alcuni commentatori politici che esse siano provocate per dar corpo a tensioni sociali pronte ad esplodere. Anzi, che saremmo “alla viglia di una bomba sociale che sta per esplodere”, scrive Marco Damilano nel suo editoriale per L’Espresso in edicola. E richiama “episodi di microcriminalità non segnalati dalla stampa, una rete pronta a muoversi per intercettare il malcontento e la rabbia, molto distante dalla protesta civile per quello che non va, ma qualcosa di molto distruttivo”. Ritiene che alcuni movimenti, come quello dei gilet arancioni, organizzati dall’ex generale Antonio Pappalardo, siano “soltanto dei diversivi che servono a distrarre l’opinione pubblica. Mentre qualcosa si muove a livello sotterraneo”. Che la nostra intelligence sarebbe “impreparata (ad affrontare) sul fronte interno, collegato con una rete neo-nazista internazionale…”.

La denuncia è grave, non tanto per quanto detto esplicitamente, ma per quanto fa intendere. Una rete “internazionale” vuol dire che vi è qualche regia occulta fuori dai nostri confini, che l’Italia può essere quasi una pedina per manovre chissà dove pensate.

È grave se fosse vero. Ma è ancor più grave se questa ipotesi delittuosa, diciamo anche “rivoluzionaria”, viene disancorata dal malessere interno del quale, per la verità, si è scritto e detto con riguardo ad alcune aree del Paese, dove è facile che il popolino alla fame possa scaldarsi ed essere strumentalizzato dalla malavita locale, sia con riferimento a possibili episodi di microcriminalità sia alla sostituzione dello Stato, cui la criminalità organizzata mira da sempre, a volte riuscendoci. Mafia e Camorra, soprattutto, sono in grado di garantire l’ordine pubblico e di intervenire nell’economia, rilevando iniziative imprenditoriali che i proprietari non sono più in condizione di gestire. Pretendono condizioni usurarie, entrano in attività economiche e se ne appropriano per riciclare denaro di provenienza illecita, laddove lo Stato non riesce, non solo a pagare i debiti nei confronti dei fornitori (si parla di oltre 50 miliardi, una somma che darebbe fiato all’economia) ma neppure a corrispondere quanto promesso, a cominciare dalla cassa integrazione che molti attendono. Incurante il Governo e l’INPS che i cittadini si siedono a tavola mattina e sera, ricevono bollette delle utenze, devono pagare l’affitto.

Soffermarsi sulla ribellione scomposta, “molto distante dalla protesta civile”, lasciando sullo sfondo generici richiami alle ragioni del grave disagio che ha portato tanti nelle piazze, costituisce grave sottovalutazione della situazione economica e sociale conseguente alla crisi dovuta al blocco delle attività produttive, commerciali e professionali richiesto dalla necessità di contrastare l’epidemia diffusa in gran parte del Paese con sofferenze gravi e disagi che hanno interessato l’intera società. E si trascurano i gravi inadempimenti del Governo che, prima, ha tardato ad intervenire ed a dotare il Paese degli strumenti medici necessari per far fronte all’emergenza sanitaria, della quale si aveva sentore da qualche tempo, assicurando le terapie necessarie ai soggetti più gravi ed una relativa tranquillità per chi ha dovuto sperimentare le difficoltà ed i disagi della quarantena. Così è emerso subito che non era stato previsto il tempestivo approvvigionamento di mascherine, di bombole d’ossigeno, di apparecchi per la ventilazione polmonare. Ed è stato evidente che non c’era possibilità di una rapida trasformazione dei reparti ospedalieri in strutture di terapia intensiva. Insomma, mancava un piano, sia pure abbozzato, per l’emergenza, imprevista ma non imprevedibile. Nel frattempo, sembra che nessuno abbia pensato, fin dal primo giorno, che la dichiarazione di emergenza sanitaria per sei mesi avrebbe determinato quel disagio che per i più ha significato la privazione finanche delle disponibilità occorrenti per mettere in tavola qualcosa da mangiare. In particolare, per i lavoratori autonomi, dai parrucchieri ai benzinai, agli artigiani, ai professionisti e in genere a tutti coloro che non potevano attendere la cassa integrazione, che poi non è pervenuta neppure a quanti vi avevano diritto.

In questo contesto, non solo non è stato aiutato chi aveva effettivamente bisogno, ma non è stata immaginata una strategia per la ripresa già all’indomani della riduzione del rischio contagio. Anzi il Governo ne ha sparate di grosse, snocciolando un elenco di interventi a suon di miliardi accompagnati da espressioni immaginifiche, come “potenza di fuoco” o interventi “mai visti”. Forse l’espressione più veritiera, questa, perché molte delle iniziative promesse nessuno le ha viste, mentre i più attenti ricordavano che in simili emergenze la dottrina economica suggerisce di mettere in campo interventi capaci di costituire un volano per l ripresa in tutti i settori. Così l’economista Giulio Sapelli e l’ex Ministro dell’economia, Giulio Tremonti, hanno suggerito di mobilitare il risparmio privato per finanziare un grande piano di investimenti in opere infrastrutturali delle quali il Paese ha estremo bisogno, come la manutenzione delle strade di grande comunicazione, l’ampliamento della rete ferroviaria in alcune aree dell’Italia meridionale ed insulare fortemente penalizzata da collegamenti che risalgono all’800, la revisione del sistema idrico che fa temere, ad ogni estate, che si debba razionare l’acqua, il bene più prezioso. Si chiedeva una vera “potenza di fuoco”, da assicurare con un maxiprestito al quale certamente gli italiani avrebbero aderito, anche ad evitare prelievi forzosi sui conti correnti o imposte patrimoniali, sempre care alla sinistra ed ai demagoghi del Movimento 5 Stelle che non avendo mai lavorato non hanno risparmi da tutelare. Abbiamo richiamato, in proposito, quanto scriveva Luigi Einaudi sul Corriere della Sera a commento dei prestiti che, nel corso della Prima Guerra Mondiale, il Governo dell’epoca aveva più volte lanciato per sovvenire alle esigenze dell’Esercito. E gli italiani avevano risposto sempre con entusiasmo, perché avevano fiducia nello Stato e l’offerta era vantaggiosa per i risparmiatori. Oggi mancano entrambi i requisiti.

Perché, dunque, Marco Damilano, bravo giornalista, con riconosciuto senso delle istituzioni, non interpreta le ragioni di un disagio che è grande, soprattutto perché gli italiani non intravedono prospettive concrete ed immediate. Perché il Governo non prospetta soluzioni credibili in tempi ragionevoli. Perché, ad esempio, i giornali continuano a immaginare una maxistangata senza dire che è necessario sia indicato l’obiettivo, che potrebbe e dovrebbe essere ambizioso, avendo di mira una crescita che questo Paese ha la possibilità di perseguire grazie alla fantasia dei suoi imprenditori e alla preziosa dotazione di bellezze artistiche e naturalistiche che sono da sempre la massima attrattiva del turismo, che è essenzialmente culturale e religioso. Cosa che si trascura sempre. Perché se è vero che il “Bel Paese” ha monti, laghi, fiumi e mari stupendi, va anche detto che non ne abbiamo il monopolio, mentre i nostri monumenti, i nostri musei, le nostre cattedrali, le nostre aree archeologiche sono uniche al mondo.

Ed allora è evidente che la protesta che tanto preoccupa Damilano per i toni, non sempre civili, dovrebbe suggerire l’impegno di indirizzare al decisore politico le sollecitazioni per iniziative che assicurino in tempi brevi crescita e sviluppo. Altrimenti non va bene ululare alla luna con il rischio che una credibile testata critica appaia espressione di una prosa di regime, inutile quanto pericolosa. Anche perché la fiducia nelle istituzioni è ai minimi storici, a cominciare dalla Magistratura a causa di pochi che hanno infangato l’immagine dei più. Come nella Pubblica Amministrazione, dove le migliori professionalità sono giorno dopo giorno oscurate dai portaborse dei politici immessi nei ruoli senza esperienza e preparazione. E l’elenco di “quello che non va” potrebbe allungarsi molto.

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