di Domenico Giglio
12 gennaio, 20 gennaio, 11 febbraio e 17 maggio 1855, dicono qualcosa queste quattro date così ravvicinate? All’attuale livello di conoscenza della nostra storia, anche se trattasi di parlamentari che interrogati, anni or sono, non sapevano cosa fosse avvenuto il 17 marzo 1861, credo proprio di no, eppure fu una sequela di lutti, come mai era accaduto in Casa Savoia, iniziati con la morte della appena cinquantaduenne Maria Teresa, Regina vedova di Carlo Alberto e madre del Re Vittorio Emanuele, seguita dalla nuora, Maria Adelaide, Regina di Sardegna, di trentatre anni, sposa amata del Re, e poi ancora da Ferdinando, Duca di Genova, del 1822 e fratello del Re, ed infine dall’ultimo nato, Vittorio Emanuele, Duca del Genevese, che, con la sua nascita, l’8 gennaio del 1855, aveva, involontariamente provocato la morte della madre.
I quattro funerali che aveva predetto Don Bosco, vuotano il palazzo reale e Vittorio Emanuele rimane drammaticamente solo in un periodo denso di importanti decisioni ed avvenimenti, quale fu la partecipazione del Regno di Sardegna, alla guerra di Crimea .Ora una simile tempesta familiare avrebbe abbattuto chiunque non fosse stato Vittorio Emanuele, ma il giovane Re era un carattere forte, non insensibile e tanto meno cinico, ed era psicologicamente un militare. Malgrado, essendo nato nel 1820, fosse stato educato ancora nel clima di una monarchia assoluta, aveva conservato e giurato lo Statuto, elargito dal padre, alla cui memoria fu sempre affezionato, e negli anni successivi aveva accettato un governo che, da costituzionale, era, con Cavour, già divenuto parlamentare. Per quanto poi dibattuto nella sua coscienza di cattolico sul problema della legge relativa alla soppressione delle corporazioni religiose ed aver cercato quanto più possibile di evitarla, come era riuscito anni prima con la legge del matrimonio civile, affossata dal voto del Senato, anche consigliato con una nobile lettera di Massimo d’Azeglio, non più ministro, ma fedele monarchico, aveva firmato la legge approvata dalle Camere.
Dopo perciò la tempesta di queste morti improvvise la solitudine di Vittorio Emanuele nel e del Palazzo Reale! Quando si è parlato e si parla ora con tono di sufficienza, o con disprezzo, ora con alterigia de “i Savoia”, quasi fossero dei predoni, dei profittatori, dei lanzichenecchi, chi usa questo termine in modo offensivo o denigratorio ha mai riflettuto su chi fossero in quegli anni “fatali”, della storia d’Italia, dal 1855 al 1861, proclamazione del Regno d’Italia, “i Savoia”? Una giovane donna, la vedova Duchessa di Genova con una bambina, Margherita, la futura Regina, di quattro anni ed un maschietto, Tommaso, appena di un anno, che avrebbe ereditato il titolo di Duca di Genova, e poi i figli di Vittorio Emanuele, dalla primogenita Maria Clotilde, nata nel 1843, dodicenne, ed i fratelli Umberto, principe ereditario (n. 1844), Amedeo (n. 1845) duca d’Aosta e futuro Re di Spagna, la sorella Maria Pia (n. 1847), futura Regina del Portogallo ed infine il fratello Oddone del 1846 e che sarebbe mancato appena ventenne nel 1866, di cui a distanza di un secolo si sono scoperte doti di amante dell’arte. E Clotilde, dimostrando una maturità ed una consapevolezza superiore all’età, segue amorevolmente i fratelli ed è la più vicina al padre che affettuosamente la chiama “Checchina”, maturità che la porterà ad accettare nel 1859, nell’interesse della causa nazionale, il matrimonio, Lei sedicenne e profondamente credente, con il cugino di Napoleone III, Girolamo, trentasettenne, di fama libertino e notoriamente anticlericale, se non ateo, “conditio sine qua, non”, richiesta dal Bonaparte, più Savoia e Nizza, per concludere l’alleanza tra Impero Francese e Regno di Sardegna, per la guerra all’Austria, la vittoriosa seconda guerra d’indipendenza.
In questo quadro di solitudine per il Re Vittorio vi era, fortunatamente un lontano cugino, parente non diretto, Eugenio Emanuele di Carignano, scapolo, poco più grande d’età, essendo nato nel 1816, da Carlo Alberto saggiamente reinserito nella famiglia come Principe di Carignano, dopo una brillante carriere nella Marina Sarda, di cui era divento Comandante. E proprio a Lui, Carlo Alberto, partendo insieme con i figli per la prima guerra d’indipendenza, aveva affidato il ruolo statutario di suo Luogotenente che, a sua volta, Vittorio Emanuele avrebbe ripetutamente rinnovato in occasione delle successive guerre d’indipendenza, oltre ad altri incarichi prestigiosi, altrettanto delicati e difficili che il Principe di Carignano espletò sempre con molta dignità, grande rettitudine, non comune buonsenso, bonario, schivo di orpelli e munifico, acquistando durante un suo incarico a Napoli, dopo il 1860, la collezione d’arte del Principe Leopoldo di Borbone, e donandola al Museo Nazionale.
Questi quindi i Savoia, che per la causa italiana dovettero cedere la regione d’origine di lingua francese, perdita necessaria perché la sua conservazione sarebbe stata contraria a quel principio di nazionalità per il quale combattevano, e questa solitudine del Re che poteva trovare solo un po’ di conforto nella compagna, Rosa Vercellana, poi moglie morganatica, rende ancora più grande la figura di Vittorio Emanuele II, che dedicò tutte le sue energie e capacità alla causa unitaria, mettendo anche a rischio il suo trono, con autonoma libertà di giudizio e di azione, senza cortigiani, che portò all’appellativo, merito di Massimo d’Azeglio, di “Re Galantuomo “ che lo ha consacrato e consegnato alla Storia.