di Salvatore Sfrecola
Se la civiltà di un popolo si desume dalla semplicità e dalla chiarezza delle regole, come ha più volte ricordato, anche di recente, il Capo dello Stato, non c’è dubbio che in Italia gli adempimenti richiesti ai cittadini spesso non siano chiari e neppure comprensibili. In particolare, come è noto, in materia fiscale.
E per non perdere l’abitudine, Parlamento e Agenzia delle entrate hanno creato nuove difficoltà al cittadino. Con una circolare del 16 ottobre 2020 il Direttore dell’Agenzia, Ernesto Maria Ruffini, infatti, sono stati forniti chiarimenti in materia di “Tracciabilità delle spese sanitarie e veterinarie ai fini della elaborazione della dichiarazione dei redditi precompilata a decorrere dall’anno d’imposta 2020”, con la precisazione che, ai fini dell’elaborazione della dichiarazione dei redditi “precompilata”, i dati delle spese sanitarie e veterinarie, forniti all’Agenzia delle entrate dal “Sistema Tessera Sanitaria”, sono esclusivamente quelli relativi alle spese sanitarie e veterinarie sostenute con versamento bancario o postale ovvero mediante altri sistemi di pagamento di cui all’art. 23 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, cioè con “carte di debito, di credito e prepagate, assegni bancari e circolari ovvero mediante altri sistemi di pagamento”.
Si tratta delle spese sostenute per l’acquisto di medicinali e di dispositivi medici e delle spese relative a prestazioni sanitarie rese dalle strutture pubbliche e da strutture private accreditate dal Servizio Sanitario nazionale. Non, quindi, le spese effettuate per prestazioni sanitarie, come visite specialistiche, oggetto di un pagamento in contanti, con regolare ricevuta o fattura.
È ovvio che “ai fini della elaborazione della dichiarazione dei redditi precompilata allo stato non possa altro che tenersi conto delle operazioni oggetto di trasmissione telematica dei dati rese disponibili sul sito internet del ‘Sistema tessera sanitaria’”.
“Allo stato”, si badi bene. E questo spiega bene la realtà, il formalismo e l’inadeguatezza del sistema di rilevazione delle spese. Spiega, infatti, l’Agenzia che le ragioni di questa limitazione vanno individuate in un articolo della legge di bilancio 2020 27 dicembre 2019, n. 160 (l’art. 1, comma 679) il quale prevede che, a decorrere dal periodo d’imposta 2020, la detrazione del 19 per cento ai fini Irpef degli oneri indicati per spese sanitarie spetta a condizione che l’onere sia sostenuto con modalità di pagamento tracciabili, “ossia con versamento bancario o postale ovvero mediante altri sistemi di pagamento previsti dall’articolo 23 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241”. È possibile avvalersi, altresì, delle detrazioni anche laddove il pagamento avvenga tramite App (tra esse, Satispay o Paypal), sempre che sia anche garantita la tracciabilità dell’operazione.
In sostanza, chi ricorre al pagamento elettronico con “app” per far fronte agli oneri di prestazioni sanitarie, potrà sfruttare la detrazione fiscale del 19%, esclusivamente se consegna al Caf o all’intermediario abilitato anche l’estratto conto bancario, da cui emerga l’addebito e, conseguentemente, la tracciabilità dell’operazione cui si collegano le detrazioni delle spese sanitarie. L’interessato, dunque, non potrà esibire esclusivamente uno scontrino o una ricevuta.
A questa conclusione l’Agenzia delle Entrate è pervenuta sulla base della circostanza che il tracciamento dei pagamenti elettronici – compresi anche quelli tramite app per smartphone – si fonda sulle rilevazioni contabili della banca, cioè su quanto indicato nell’estratto conto. Ne consegue che, secondo la tesi dell’Agenzia, nel caso quest’ultimo non riporti tutti i dettagli dell’operazione, è necessaria, altresì, la copia delle ricevute relative ai versamenti effettuati.
Ora appare evidente l’illogicità della indicata procedura che dimostra, da un lato, un difetto di coordinamento della normativa sull’uso del contanti e, dall’altra, l’inadeguatezza del sistema rispetto alla necessità di un tracciamento tramite fattura elettronica. Infatti, in costanza di una normativa generale che ammette l’uso del contanti fino a 2000 euro, non si comprende come non si possa detrarre una somma legittimamente pagata e, naturalmente, certificata dalla fattura oggetto della prestazione del professionista, e, pertanto, perfettamente tracciabile se questa espressione qualifica il modo con il quale si conserva l’evidenza di un atto, nella specie la fattura rilasciata dal professionista.
L’Agenzia si trincera ovviamente dietro la norma della legge di bilancio che evidentemente difetta di coordinamento, certamente frutto di una distrazione della stessa Amministrazione finanziaria che avrebbe potuto prevedere una forma di trasmissione della fattura al sistema in modo da consentire di prendere in carico la spesa ai fini della annuale dichiarazione dei redditi, precompilata o no.
Infine, una ulteriore riflessione. L’estratto conto registra, ovviamente, anche operazioni diverse da quelle sanitarie oggetto della detrazione. Così il fisco si ingerisce in altre attività del cittadino contribuente non si comprende bene a quale titolo.