di Domenico Giglio
A suo tempo, in occasione del centocinquantesimo anniversario della proclamazione del Regno d’Italia, nel 2011, vi sono state numerose rievocazioni e rivisitazioni dei grandi problemi affrontati dai governi nella fase di formazione dello Stato nazionale, che hanno concorso a controbattere la violenta e faziosa polemica antirisorgimentale di quanti dipingevano l’Italia, prima dell’unità, specie nel Sud, come un “paradiso terrestre” che l’unità avrebbe danneggiato.
In questo quadro di rivisitazione, documentata ed esaustiva della legislazione e delle realizzazioni impostate e condotte, vi fu una interessante pubblicazione del Consorzio di Bonifica della Romagna Occidentale sui “Percorsi di sviluppo in 150 anni di Italia Unita” dove si dà atto che “solo con l’Unità si ha l’attenzione verso la bonifica e l’irrigazione, cosicché la bonifica divenne un obiettivo di sviluppo su scala nazionale”, codificata in una legge fondamentale, la n. 869 del 23 giugno 1882, dovuta al ravennate Ministro dei Lavori Pubblici, Alfredo Baccarini, ingegnere idraulico.
In questa legge lo Stato si assumeva il 50% della spesa, il 25% gli Enti Locali ed il residuo 25% i privati, legge base che, nella successiva, n. 195 del 22 marzo 1900, assumeva le caratteristiche di Testo Unico, cui seguì l’approvazione di un importante regolamento, il R.D. 8 maggio 1904 n. 368, in gran parte tuttora in vigore. Con questa legge veniva così sancito il preminente interesse pubblico nella attività bonificatoria e questo in un paese come l’Italia, purtroppo ricca, in tante regioni, di vaste aeree di dissesto idrogeologico, per cui in un’epoca ancora precedente alla Legge Baccarini, nel 1863 veniva programmata una cartografia geologica, con un Real Comitato Geologico, promotore fra gli altri, Quintino Sella, ingegnere, e valente mineralogista, oltre che oculato, anche se duro, Ministro delle Finanze, che portò al pareggio il bilancio del giovane Regno d’Italia.
E se il Re Umberto I° è noto che aiutasse, dalla sua cassa privata, i lavoratori “scariolanti”, che operavano alla bonifica della zona di Ostia e della foce del Tevere, “…Vedevi le inerti paludi- domate da squallidi eroi..”, (Giovanni Pascoli – Ode al Re Umberto ), anche Vittorio Emanuele III fu sempre attento a questi problemi agricoli, per cui è interessante vedere in questa pubblicazione, la testimonianza fotografica di una visita, effettuata dal Re, il 25 aprile 1918, durante l’ultimo anno di guerra, alle bonifiche ravennate, compresi gli impianti idrovori, intraprese sui terreni di proprietà delle Cooperative Socialiste dei braccianti. Ed in questa visita a riceverlo furono i loro dirigenti, tra cui Nullo Baldini, che poi ne dettero notizia sul quotidiano “Romagna Socialista”. In tale occasione il Re ebbe parole di compiacimento per le vaste bonifiche compiute e per il modo in cui erano condotte.
In conclusione crediamo utile riportare quanto scritto in questa pubblicazione, dall’avv. Anna Maria Martuccelli, Direttore Generale dell’ANBI (Associazione Nazionale Bonifiche): “Dal Piemonte a tutta la pianura padana, alle lagune venete, alla Maremma toscana, all’Agro romano, alle paludi pontine, al bacino del Fucino, al Volturno, al Tavoliere delle Puglie, al Metapontino, alle piane calabresi, alla Sicilia ed ai Campidani della Sardegna, la bonifica idraulica e l’irrigazione si espandono lungo lo Stivale in forza di quella spinta che solo l’ Unità d’Italia poteva determinare”.