di Salvatore Sfrecola
Il tema della responsabilità dello Stato per gli errori giudiziari è certamente centrale in un ordinamento liberale e la sua definizione, se adeguata, restituisce fiducia dei cittadini nella Magistratura e nei magistrati. Questi, come ogni altro professionista, possono sbagliare, spesso indotti in errore da testimoni falsi ma che al momento sono apparsi credibili o da informative e rapporti fuorvianti ma apparentemente ineccepibili, anche per la provenienza da una pubblica amministrazione o dalla polizia giudiziaria. I fatti nella ricostruzione che viene offerta al magistrato inquirente possono essere erroneamente definiti. Non è ammissibile, invece, l’errore di diritto, inteso come applicazione di una normativa non pertinente, perché estranea alla fattispecie, ad esempio perché abrogata. Tema sempre delicato in un Paese gravato da migliaia di norme di vario livello, legislative o regolamentari, statali e regionali. Da ultimo di matrice europea.
Iura novit curia, il giudice conosce la legge. Deve conoscerla. Non è ammissibile che non la conosca, specie oggi che le banche dati mettono a disposizione degli operatori del diritto tutte le norme vigenti con rinvio a quelle abrogate o richiamate, come fa la Gazzetta Ufficiale che pubblica puntuali e dettagliate annotazioni alle leggi.
Nonostante tutto questo il giudice può sbagliare e, conseguentemente, danneggiare un cittadino innocente. Effetto certamente grave in caso di giudizio penale nel quale misure cautelari, quali l’arresto o la interdizione di attività pubbliche, costituiscono di per sé un danno economico, spesso rilevante ma all’immagine che può rivelarsi fonte di ulteriori e protratti nel tempo danni economici. Un soggetto, ad esempio, potrebbe perdere occasioni di lavoro per essere la sua immagine deteriorata dalla vicenda giudiziaria.
Lo Stato deve risarcire il danno subìto dal cittadino innocente. Non c’è dubbio, è un fatto di civiltà incontestabile. E il risarcimento del danno deve essere effettivo, non meramente figurativo, come oggi avviene. Ne va dell’immagine stessa dello Stato e del prestigio della Magistratura, un aspetto che sembra sfuggire. Poi lo Stato valuterà, nelle forme che la legge intende adottare, se l’errore del magistrato sia meritevole di sanzione, disciplinare o economica in relazione alla gravità dei fatti, in rapporto al grado della colpa, da valutare in rapporto alle condizioni nelle quali ha operato, alla notitia criminis alla base delle sue indagini, alle informative ricevute. Voglio escludere, infatti, che un magistrato decida una misura a carico di una persona innocente per dolo, ossia con la volontà di danneggiarlo. In un tale caso deve essere espulso dalla Magistratura.
Come evidente da quanto precede sono nettamente contrario alla responsabilità civile, risarcitoria, diretta del magistrato il quale sarebbe sempre condizionato dal timore di essere un domani chiamato in giudizio ad esempio da un imputato “di peso” o, in un giudizio civile o amministrativo, da una parte dotata di rilevanti mezzi economici. Questa possibilità minerebbe l’indipendenza del magistrato, la sua libertà di decidere in piena autonomia. Naturalmente ferma restando la sua responsabilità nei confronti dello Stato “datore di lavoro” che fosse chiamato a risarcire il danno prodotto dal singolo magistrato per colpa grave, che è una fattispecie ben indentificata, nella nimia neglegentia, id est non intelligere quod omnes intelligunt, diceva Ulpiano (D. 50.16.213.2; libro primo regularum), non comprendere ciò che è facile comprendere, quindi un errore macroscopico, commesso con straordinaria trascuratezza e negligenza della regole elementari di comportamento che, tra l’altro, escludono che si possa danneggiare altri.
Delineate queste che, a mio avviso, debbono essere le regole base di una definizione della responsabilità dello Stato per i danni subiti da chi in nome dello Stato viene danneggiato vediamo, con riferimento ad un caso concreto, particolarmente emblematico, come lo Stato non risarcisca adeguatamente. Il riferimento è alla c.d. “legge Vassalli”, la legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati), riformata nel 2015 (legge 27 febbraio n. 18).
Il caso concreto è quello della “Operazione Malta”, condotta dalla Procura della Repubblica di Napoli a fine 2010, quando fu data notizia, nel corso di una conferenza stampa, il 14 dicembre di quell’anno, che era stata sgominata “una banda di truffatori internazionali dediti a frodi assicurative ai danni degli automobilisti campani!”. Fu bloccata l’attività della società di assicurazioni maltese, cui seguirono una dozzina di arresti e il maxisequestro di altre 15 società italiane. Il Gip, nell’autorizzare i provvedimenti cautelari, aveva scritto: “L’egregia indagine condotta dalla Guardia di Finanza, condensata abilmente dal PM nella richiesta di custodia cautelare, è assolutamente completa, straordinariamente dettagliata, priva di lacune istruttorie e pervasivamente convincente”. Tempo un mese e il Tribunale del riesame ribaltava le frettolose conclusioni di Procura e Gip: “..la contestazione in esame è giuridicamente infondata….se la disanima del Gip si dimostra insufficiente, la prospettazione interpretativa fatta propria dal PM è errata”. Nel frattempo molte delle società coinvolte finirono in stato di insolvenza, con perdita di posti di lavoro e risarcimenti per i sinistri a carico del Fondo Vittime della Strada. Naturalmente non mancò la gogna mediatica montata da qualche organo di stampa che era andato al di là della semplice notizia.
Alla fine nessun reato e nessun colpevole. Dopo alcuni anni la Corte d’appello di Napoli ha riconosciuto un indennizzo per ingiusta detenzione di poche migliaia di euro. La conclusione amara è che hanno pagato gli indagati, i contribuenti non quanti, magistrati e/o agenti di polizia giudiziaria, hanno in varia misura concorso all’errore. Nessuna sanzione disciplinare, neppure un buffetto sulla guancia.
È così che uno dei presunti colpevoli, il quale ha subito danni all’attività professionale per l’arresto ed il procedimento, ha citato in giudizio lo Stato, ai sensi della legge Vassalli per aver i magistrati ignorato il diritto dell’Unione Europea, secondo il quale la vigilanza sulla compagnia di assicurazione era di competenza delle autorità maltesi, non dell’Italia, ma il Tribunale di Roma non ha riconosciuto gli errori dei magistrati, a differenza del Tribunale del Riesame e della Corte d’appello di Napoli in sede di ingiusta detenzione. La sentenza ha disposto anche la condanna al pagamento delle spese legali in favore della Presidenza del Consiglio dei ministri. Sicché l’interessato è stato scoraggiato a ricorrere in appello.
Alcuni dati sulla legge Vassalli riferiti dall’on. Enrico Costa: negli ultimi 12 anni lo Stato è risultato soccombente in 8 casi su 544 procedimenti, a dimostrazione del fatto che, malgrado la riforma del 2015, quella legge non è uno strumento efficace per risarcire il cittadino dei danni derivanti dagli errori giudiziari.
Naturalmente questo, come si è detto iniziando, determina un danno alla credibilità dello Stato perché, se l’interpretazione della legge lascia ampia discrezionalità ai magistrati, nondimeno l’errore sulla competenza, come nel caso che si è ricordato non attiene all’interpretazione ma alla errata individuazione della norma da applicare.
La realtà di cui occorre prendere atto è che una legge nata nel 1988 sull’onda emotiva del caso Tortora, quando il referendum popolare ha visto oltre l’80% dei cittadini votare a favore della responsabilità civile dei giudici, è stata congegnata in modo da non funzionare. La riforma del 2015 – imposta da una sentenza della Corte di Giustizia del 2011 che stabiliva la responsabilità dello Stato per errori dei magistrati per mancata osservanza del diritto dell’UE – ha subito la stessa sorte (Governo Renzi, Guardasigilli Orlando).
Si dice “per non scontentare la magistratura”. Credo sia una conclusione sbagliata perché gli errori giudiziari, non compensati sul piano del risarcimento economico e dell’immagine, determinano nei cittadini quella sfiducia nei confronti della Giustizia alla quale si associano danni non irrilevanti alla credibilità dell’Italia, anche sul piano internazionale. Mancato risarcimento dei danni per errore giudiziario e lentezza della giustizia sono, infatti, un mix del quale l’Associazione Nazionale Magistrati (A.N.M.) dovrebbe darsi carico nell’interesse del prestigio dell’Amministrazione della Giustizia.
Una revisione profonda della legge Vassalli, dunque, s’impone. È necessaria ed urgente, anche ad evitare nuove iniziative referendarie che, come insegna l’esperienza, non risolvono i problemi. Che sono di impostazione del tema ma anche, e forse soprattutto, di disponibilità delle risorse necessarie per far fronte all’onere dei risarcimenti. E sappiamo che, quando si vuole, nel bilancio si trova quel che occorre.