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L’arrogante che cade fa sempre tanto rumore

di Salvatore Sfrecola

“Il tempo è galantuomo”, si sente spesso ripetere. Ed io ho sempre aggiunto: “almeno lui”. In un mondo in cui i galantuomini sono sempre meno, gli arroganti, i millantatori, gli spregiudicati gestori del potere, ritengono di poter fare e disfare a loro piacimento. Spesso beffandosi delle leggi, non di rado dei vincoli di bilancio, fidando dell’appoggio della politica, delle amicizie, delle compiacenze. Non ammettono critiche. E quando ne ricevono le ritengono diffamazioni! Quanti ne ho visti! Da magistrato della Corte dei conti, sia nel controllo che in Procura mi sono sentito dire più volte “porto i saluti di Tizio”. Oppure “prima di venire da Lei sono passato da Caio”. Nell’illusione che Tizio o Caio, un collega più anziano o un politico di peso, venissero a dirmi di chiudere un occhio. Forse qualcuno lo ha pensato, nessuno che mi conoscesse lo ha mai fatto.

Da cultore di storia, meglio di storie, quanti ne ho incontrati sui libri di personaggi che hanno gestito il potere che derivava loro da posizioni istituzionali, non per servirle ma per servirsene, come fossero cosa propria. Vanno avanti facendo piaceri ai potenti di turno, pensando così di ottenere protezione, finché incappano in uno più prepotente di loro o nelle maglie della giustizia, magari per un incidente banale, un conto che non torna, un provvedimento annullato dal Giudice amministrativo che comporta la nomina di un commissario “ad acta” e diventa l’occasione per una indagine più ampia. Allora escono fuori le magagne, le cose fatte in violazione della legge abusando del potere che fino a un certo momento sono state ignorate o tollerate. E quando questi personaggi incappano nella indagine giusta, affidata a un magistrato che non si fa intimidire, che ha la capacità di guardare le carte a fondo, allora improvvisamente il personaggio arrogante, che vantava o millantava amici potenti si ritrova solo. Nessuno lo conosce più. E a chi chiede di lui, risponderanno “Lui chi?”. Un amico, macché, al più una conoscenza istituzionale, sempre superficiale, in occasioni pubbliche.

Ed allora l’arrogante cade. Sempre rumorosamente.

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