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Dal nazifascismo al comunismo: la seconda “crociata” di Edgardo Sogno*

di Rossella Pace

A 21 anni dalla morte di Edgardo Sogno, il suo nome non è che un ricordo sbiadito dal tempo. L’esercizio della sua memoria, da parte di quanti ricordano il leggendario Franco Franchi[1], si dirige principalmente in due direzioni, molto caratterizzanti. Edgardo Sogno è, per molti, o l’eroe della Resistenza o il presunto golpista, poi prosciolto da ogni accusa.

Pochi hanno però concentrato la loro attenzione sull’uomo che uscì dalla lotta di liberazione, vincitore e sconfitto allo stesso tempo. La sua era, infatti, la parabola di un vincitore in quanto la patria, grazie anche alla Organizzazione da lui guidata, era stata salvata dal fascismo e dall’occupazione tedesca, ma nello stesso tempo fu la parabola di uno sconfitto, in quanto sostenitore della monarchia, perché lo sbocco di quella battaglia fu la nascita della Repubblica.

Al suo più caro amico, Ferdinando Prat, Sogno scriveva nel 1947, alla fine dell’esperienza del Gruppo Franchi: «Ho lasciato la politica dal due giugno. D’allora in poi mi è mancata un’indicazione sicura, nell’imperativo che mi ha sostenuto e guidato durante la guerra. Essendo venuto a mancare ho sentito chiaramente che non ho una vocazione politica assoluta e che soltanto un forte movente morale o sentimentale mi può spingere su quella via. Oggi il movente morale della lotta contro il nazismo e il fascismo è venuto meno, come pure quello sentimentale monarchico è privo di qualsiasi attualità. In questo campo vivo solamente di ricordi e non ho disegni per il futuro».

Il futuro, però, il Comandante Franchi lo aveva ben presente, a giudicare da come si mosse già all’indomani del referendum, ritrovando vigore in un nuovo imperativo morale, la lotta contro un nuovo nemico: quello comunista.

Prima ancora di mettere ben a fuoco la sua nuova vocazione, all’indomani della liberazione egli diede vita al Gruppo Franchi, il quale, secondo il suo Statuto, avrebbe dovuto rinsaldare e conservare i vincoli fra gli appartenenti all’Organizzazione omonima[2] e, svolgere un’attività di difesa e di propaganda delle idee democratiche che avevano ispirato la lotta di liberazione da esso condotta, mediante la pubblicazione di opuscoli, giornali e riviste.

La prima funzione, quella di associazione di ex combattenti, non ebbe però sviluppo, vista l’esiguità degli iscritti per vari motivi: primi fra tutti la dispersione degli ex combattenti fuori Milano, la tendenza degli organizzatori alla rigida selezione e la mancanza di una sede idonea. Cominciava ad emergere un elemento che sarebbe stato comune all’esperienza di molti partigiani: la solidarietà tra i vecchi compagni della vita clandestina si palesava nella forma della partecipazione diretta a iniziative comuni, scavalcando in tal modo il Gruppo stesso.

Per tale motivo la lotta per la continuazione delle idee democratiche tramite la stampa e l’azione politica, dovendo necessariamente determinarsi nella vita pubblica, non poté abbracciare tutte le tendenze che erano, invece, molto ben presenti nella O.F. Esso abbracciò un orientamento di stampo puramente liberale che tese ad escludere chi non si riconoscesse in tale tendenza. Effettivamente, il nome della Franchi fu usato da vari gruppi di ex appartenenti a questa, in connessione con quelle iniziative dirette, delle quali prima parlavamo, che avrebbero dovuto svolgersi nell’ambito del Gruppo Franchi, ma così non fu. Il problema ora, alla vigilia dello scioglimento, era capire se, nei venti mesi che erano seguiti alla Liberazione, il nome della Franchi fosse stato usato illecitamente, facendo ricadere su tutti i suoi membri la responsabilità morale e materiale di quelle attività. Questo aspetto ben si spiega leggendo tra le righe delle vicende delle due iniziative di carattere culturale del Gruppo: Il “Corriere Lombardo” e la Rivista “Costume”, nelle quali per necessità tecniche si rese indispensabile la collaborazione di elementi estranei sempre più numerosi e che furono, soprattutto “Il Corriere Lombardo” legati a quelle attività illecite da parte di alcuni ex combattenti.

Dunque il primitivo progetto di Sogno per la costituzione di una rete di iniziative facenti capo al Gruppo, e da esso controllate e dirette, si rivelò ben presto illusorio e inattuabile, data l’impossibilità di mantenere qualsiasi tipo di legame tra un corpo morto e attività che portavano ogni giorno, chiaramente, l’impronta di individui che ad esse davano vita. Dal momento della sua creazione, possiamo affermare con certezza che il Gruppo Franchi visse solo sulla carta, non diventando mai una realtà effettiva. Non funzionò perché nella forma con la quale era stato concepito e costituito non aveva nessuna possibilità di funzionare. La questione però non si esaurì qui, complice l’intero quadro internazionale, soprattutto quello europeo.

Nel 1948, anno delle prime elezioni della Repubblica italiana, l’Italia fu pervasa da un clima di irrequietezza al quale si aggiunse la crescente tensione internazionale. I mesi antecedenti le elezioni mostrarono un Paese fortemente diviso al suo interno. Con la presenza del Partito Comunista più forte d’Europa, l’Italia diventò terreno di lotta ideologica, proprio in vista delle nuove consultazioni di popolo. L’allineamento del partito di Togliatti con la politica di Mosca creava molti problemi agli Stati Uniti, i quali cercavano in ogni modo di ampliare la loro influenza sul Paese. In questo quadro le consultazioni popolari divennero fondamentali per l’Italia. L’Italia diventò uno dei punti nevralgici della guerra fredda e gli americani si mostrarono decisi, appoggiando la Dc di Alcide De Gasperi, a non cedere terreno all’affermazione del comunismo. Da parte loro comunisti e socialisti, uniti nel Fronte della Democrazia Popolare, erano anche essi pronti a dar battaglia. Il quadro internazionale piombò prepotentemente sulle elezioni nazionali: l’insurrezione al di là della cortina di ferro fece tremare l’Europa intera, la quale cominciava ad avere forti dubbi circa l’annessione dei suoi territori orientali al sistema sovietico. Lo spettro dell’Armata Rossa lungo i confini dei Paesi occidentali favorì la propaganda nazionale anticomunista. Le consultazioni videro, oltre ad una stragrande partecipazione di popolo, superiore alle elezioni del 1946, la vittoria della Dc e l’arretramento del Fronte della Democrazia popolare e delle destre. Una netta vittoria dell’anticomunismo, che, a pochi anni dalla fine di una guerra persa, sancì la volontà dell’Italia di entrare a far parte del sistema del blocco occidentale.

In questo clima – ufficialmente per iniziativa del deputato radicale Jean Paul David, ma segretamente appoggiata e voluta dal primo ministro Henri Queuille, di concerto con l’ambasciatore americano a Parigi Jefferson Caffery che ne aveva stabilito anche i compiti e il finanziamento – nacque a Parigi il movimento Paix et Liberté. Una nota della Divisione affari riservati del ministero dell’Interno italiano ne dava così notizia:

Nel settembre del 1950 si è costituito a Parigi il movimento di Pace e Libertà che si propone di controbattere la propaganda comunista […]. Tutta la Quarta Repubblica è rappresentata nel movimento. Quanto ai fondi […], essi sono soprattutto forniti dalla presidenza del Consiglio. La quale sovraintende dietro le quinte […]. Né è segretario l’onorevole Jean Paul David, deputato della Senna e segretario generale del Rassemblement des Gauches Republicaines, coadiuvato da altri cinque membri […]. L’onorevole David ha in animo di creare un movimento analogo in Germania e nel Belgio e vedrebbe volentieri il formarsi di un Pace e Libertà italiano.

A tale proposito David si impegnava concretamente, assecondando la volontà dei due ministri degli Esteri Georges Bidault e Carlo Sforza. Anche a Roma, come era accaduto un anno prima a Parigi, il 9 maggio 1951 nacque il Comitato Pace e Libertà.

Il questore di Roma in proposito scrisse a Scelba, ministro dell’Interno:

Il comitato si inquadra nell’omonimo comitato europeo Paix et Liberté, che ha sede a Parigi […]. Il movimento ha carattere apartitico, ma decisamente anticomunista. Secondo notizie di fonte riservata, tutta la sua attività, organizzativa e propagandistica, sarebbe sovvenzionata, coi fondi ERP, dagli Stati Uniti d’America a mezzo delle varie rappresentazioni diplomatiche nordamericane nei paesi assistiti.

A ben vedere era già dal 1949 che il ministro degli Interni – come si apprende da una lettera indirizzata ad Aldo Moro da Edgardo Sogno nel 1969, presente nel suo Archivio privato – cercava di organizzare, in appoggio alle forze dell’ordine e nell’ambito di un progetto di difesa nazionale, sezioni civili operanti contro il comunismo.

Dalla corrispondenza di Sogno con il ministro degli Esteri Carlo Sforza, in una lettera del 14 agosto 1950, sappiamo che a guidare tale funzione venne scelto proprio il Comandante Franchi. Egli rifiutò questa prima proposta perché non intenzionato a lasciare la carriera diplomatica, ma accettò, comunque, di mettere a disposizione del governo italiano le sue capacità durante un suo passaggio in Italia.

Nacquero così, su sua indicazione, gli «Atlantici d’Italia»: una struttura di supporto alle forze dell’ordine dalla quale sarebbe nata, qualche anno dopo, l’organizzazione Gladio, voluta dalla NATO su scala europea come forza contro insurrezionale. Come già accaduto per la rete intessuta a livello nazionale dalla Franchi nella lotta al nazifascismo e per quella rimasta in potenza con il Gruppo Franchi, anche questa prendeva forma nelle principali città del Piemonte, della Liguria, della Lombardia, del Veneto, dell’Emilia e della Toscana, come confermato dallo stesso Sogno ad Aldo Cazzullo nell’intervista contenuta nel suo volume autobiografico:

Operavamo nel triangolo industriale, Milano, Torino e Genova; che è sempre stato il mio teatro di azione, e rappresentava il vero nerbo del partito. Ma andavo a sfidare i rossi anche nelle loro roccaforti emiliane. Ogni cellula era diretta da responsabili a livello locale che servivano per l’inquadramento e l’appoggio alle forze governative in caso di insurrezione popolare comunista e inoltre si sarebbero occupati di controllare gli agenti marxisti e l’impatto della loro propaganda sulla popolazione.

Intanto Sogno ritornò a Parigi, dove restò fino al 1953. Scelba, informato della fondazione di Paix et Libertè e convinto della necessità di dover costituire un fronte internazionale contro il comunismo, convinse il governo italiano a costituire una sezione italiana. Come già detto, il comitato italiano nasce a Roma il 9 maggio 1951, ma non sembrò decollare veramente sotto la direzione di Giulio De Marzio. Tanto che Sogno avrebbe scritto a David nel 1954, in fase di ricostruzione del Comitato di Milano:

Je tiens à signaler que nous n’avons rien à que voir avec le comité de Rome, qui ne nous a laissé en héritage rien de positif.

Altrettanto eloquente fu la risposta di David ad una lettera di De Marzio:

Le Comité international n’a pu que prendre acte du fait que votre Comité n’avait pas manifesté d’activité depuis très longtemps. Par contre, il a pu constater que l’organisme mis sur pied par M. Sogno à Milan avait dépoyé une activité importante et notamment édité un material intéressant par la lutte que nous menons.

Dunque, come lo stesso Sogno avrebbe riferito ad Aldo Moro nel 1969, fu sotto sollecitazione del Presidente del Consiglio, Mario Scelba, che il Comitato di Milano vide la nascita. Questa volta, contrariamente a quanto accaduto in precedenza, Franchi aveva accettato. Nell’organizzazione del nuovo Comitato egli beneficiava del contributo di David, il quale lo coinvolse in una ampia serie di progetti, invitandolo costantemente a tutte le riunioni internazionali. All’epoca della rivolta d’Ungheria contro l’URSS, da una base operativa creata clandestinamente a Vienna, offrì sostegno finanziario e logistico operativo agli insorti anticomunisti. Il movimento Pace e Libertà era ampiamente finanziato dalla Fiat e appoggiato incondizionatamente da Vittorio Valletta, che aveva d’altronde già finanziato “Il Corriere Lombardo”. Inoltre, Sogno aveva ricevuto finanziamenti anche dall’ambasciata americana.

Furono gli anni più floridi per il comitato italiano, e il leader venne coinvolto in un comitato ristretto riunito presso il ministero degli Interni: «il movimento otteneva soffiate dall’Ufficio affari riservati», e poteva contare su di un archivio di notizie molto ben fornito conservato da un ex comunista, ora membro del Comitato.

Con un giornale e molti manifesti murali, Pace e Libertà iniziò il suo lavoro propagandistico. Ma la sua vita fu di breve durata. Le scissioni all’interno del gruppo, il mancato riconoscimento da parte di Scelba dell’organizzazione, che ebbe come conseguenza la limitazione della presenza del movimento nell’amministrazione, e infine le difficoltà finanziarie portarono Sogno, come già accaduto per il Gruppo Franchi, a dover chiudere il movimento.

Tra 1956 e 1958 si tentò di riportare in vita il gruppo di Pace e Libertà, anche in virtù del fatto che quando nel novembre 1956 truppe sovietiche invasero l’Ungheria, Sogno si recò nel Paese per salvare alcuni esponenti del deposto governo Nagy, ma ogni sforzo fu vano.

Il mondo e la guerra fredda stavano entrando in una nuova fase nella quale altri attori e altre comparse sarebbero entrate in gioco, per le quali il contributo umano, culturale e politico di Edgardo Sogno sarebbe stato rilevante.

A 21 anni dalla sua scomparsa si può affermare senza dubbio che senza il suo apporto sia la prima “crociata”, quella contro il nazifascismo, che la seconda, quella contro il comunismo – così egli stesso le definiva – non sarebbero state le stesse. La messa a punto di una rete nazionale in entrambi i casi risultò essere fondamentale per la veicolazione di quelle idee di democrazia che, a prescindere dal colore del regime, avrebbero dovuto essere patrimonio naturale di tutti quegli uomini e quelle donne che in essi si riconoscevano e non condizionati da nessun regime.

A 21 anni dalla sua morte, preferiamo ricordare l’ «avversario di quei regimi liberticidi».


[1] Franco Franchi era uno dei nomi di copertura di Edgardo Sogno durante la lotta di liberazione.

[2]Organizzazione Franchi, d’ora in poi sempre O.F.

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