di Salvatore Sfrecola
Non sono il primo e non sarò certamente l’ultimo a riflettere sulla crisi della politica, resa evidente dall’assegnazione di posti di responsabilità governativa di grande rilievo ad estranei ai partiti e al mondo politico in generale, tratti dalla “società civile”, come si sente ripetere. Tecnici con tutti i limiti della mancanza di un retroterra politico.
La prova più recente l’ha fornita ieri, alla Camera, il Ministro dell’interno, Luciana Lamorgese, un bravo funzionario posto alla guida del più politico dei ministeri. Che un tempo era al centro dell’attività dei governi e della vita politica, quando le questioni dell’economia, dell’istruzione, della giustizia erano residuali e comunque rientravano negli “affari interni”. Ancora all’inizio dell’Ottocento stentano ad assumere forma autonoma alcune branche dell’amministrazione, che diventano ministeri, via via aumentati fino a raggiungere, ai giorni nostri, un numero rilevante, oltre venti per curare materie un tempo trascurate, dall’ambiente, al turismo, alla ricerca scientifica, alle infrastrutture, per fare qualche esempio.
Ebbene, ieri il Ministro dell’Interno, intervenendo in un question time sollecitato da una interrogazione del Presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, ha dimostrato assoluta inadeguatezza perché non ha risposto alle domande più importanti sugli incidenti di sabato scorso culminati con l’assalto alla sede centrale della Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL). In particolare, quando ha detto che le forze di polizia presenti in piazza del popolo, dove si è tenuta la manifestazione dalla quale si sono distaccati i violenti che hanno devastato alcuni locali della sede sindacale, non sono intervenute a fermare alcuni di quelli che sarebbero stati, allo stato delle conoscenze, i capi del manipolo (spero si possa usare senza correre rischi) che si è distinto in Corso d’Italia, dimostrando di non avere il polso della situazione. Infatti, se quell’aggressione o comunque quella presenza di fronte alla sede sindacale era stata preannunciata nella piazza sarebbe stato agevole per Polizia e Carabinieri, in attesa che il corteo o una sua parte si dirigesse verso l’obiettivo, andare a presidiare in forze quella sede. A questa specifica domanda il Ministro non ha risposto. Ora questa situazione suggerisce alcune domande e riflessioni. Considerato che il Ministro sembra sia stato lasciato solo in un momento così delicato, nel corso del quale bisognava che comunque, pur nella sua responsabilità ministeriale, si consultasse col Capo del governo. Oppure il Ministro tecnico non ha avuto il necessario supporto della struttura tecnica, cioè dell’apparato di pubblica sicurezza. Ora io non voglio assolutamente gettare la croce sul Ministro dell’interno, ma ritengo che questa situazione sia la dimostrazione del fatto che in quel posto di responsabilità deve sedere un politico il quale sia portatore di una idea politica dell’ordine pubblico concordata in sede di Consiglio dei ministri, sotto la direzione del Presidente del Consiglio che ha il compito, secondo l’art. 95 della Costituzione, di dirigere “la politica generale del Governo… promuovendo e coordinando l’attività dei ministri”.
Manca evidentemente una visione politica dell’ordine pubblico, come hanno dimostrato recenti disordini di gruppi eversivi di sinistra e il rave party nel viterbese. Come manca una visione politica del contrasto all’immigrazione clandestina.
Questo accade perché la politica ha dimostrato di non saper affrontare con la necessaria determinazione i problemi del Paese. Ne dà dimostrazione la scelta di un tecnico al Ministero tra i più politici, come ho già detto, che giunge dopo ben altri casi di regressione della politica, ormai da anni, da quando a Palazzo Chigi si sono insediati Lamberto Dini, poi Carlo Azeglio Ciampi, Mario Monti, Giuseppe Conte ed oggi Mario Draghi. La politica, che ricorre a dei tecnici per una posizione di elevatissima responsabilità di guida del governo, nell’intesa che siano capaci, attraverso le proprie conoscenze personali e professionali, anche internazionali, di guidare il Paese, significa che non è nella condizione di esprimere un Capo del Governo o un ministro in un ruolo particolarmente delicato. E questa è evidentemente una grandissima mancanza della politica la quale rinuncia proprio alla funzione sua propria, di governare.
Credo dunque che sia arrivato il tempo, dopo questa sequela di personaggi illustri del mondo della finanza e dell’accademia, che la politica si riappropri del ruolo, che gli è proprio, di guida del Paese e di riferimento fondamentale della vita politica. Non accade in nessuno dei paesi che noi conosciamo, con i quali intratteniamo importanti relazioni politiche che un tecnico assuma una funzione di governo, soprattutto al massimo livello. Non accade nel Regno Unito, nel Regno di Spagna, nella Repubblica francese, nella Repubblica federale tedesca, paesi nei quali la politica ha costantemente dimostrato di saper esprimere al massimo livello il governo della comunità. È necessario, dunque, che nella prospettiva della elezione del Capo dello Stato, che è decisione di estrema importanza politica, e delle prossime elezioni per il rinnovo delle assemblee legislative nel 2023, la politica arrivi a quelle scadenze mettendo in campo una classe dirigente adeguata. Con tutte le critiche che sono state fatte alla prima Repubblica ed in particolare alla Democrazia Cristiana, che certamente ne merita molte se noi ora siamo in queste condizioni, per aver contribuito all’impoverimento della classe politica, tuttavia, quel partito, nei suoi anni d’oro, aveva quantomeno un paio di decine di personalità che potevano indifferentemente fare il Presidente del Consiglio, il Presidente della Repubblica, il ministro del Tesoro, della pubblica istruzione o della Giustizia, senza ricorrere ad estranei, ai vagheggiati tecnici per cui, secondo alcuni, alla sanità ci vorrebbe un medico, alla difesa un generale, agli esteri un diplomatico e alla pubblica istruzione un professore universitario. Certo è che alcune scelte, che sono sotto gli occhi di tutti, di personaggi minori posti alla guida di dicasteri importanti (e tutti lo sono nel settore di competenza) hanno dimostrato, in alternativa, che i partiti i quali hanno indicato un candidato inadeguato non tengono in nessun conto quel ruolo, per cui va bene chiunque, oppure che non dispongono della persona giusta. In un caso e nell’altro è un aspetto significativo della crisi della politica, una crisi gravissima dalla quale si deve uscire nel più breve tempo possibile se l’Italia vuole riprendere il ruolo che la storia le assegna, utilizzando anche i fondi comunitari ma anche restituendo ai cittadini fiducia nella politica, quella fiducia che in altri momenti è servita a convincere gli italiani a mettere a disposizione dello Stato risorse importanti, provenienti dal loro risparmio per sovvenire alle esigenze del Paese. In proposito, invito tutti a rileggere le parole di Luigi Einaudi quando esamina le condizioni con le quali, nel corso della prima guerra mondiale, sono stati decisi i prestiti per sovvenire alle esigenze dell’impegno militare italiano, alle quali la popolazione in tutta Italia ha corrisposto con entusiasmo, avendo fiducia nell’obiettivo dell’unificazione nazionale e del riscatto dalla servitù straniera che ancora persisteva in parte del territorio nazionale, e nella classe politica che quelle risorse aveva chiesto.
Anche oggi servirebbero risorse ingenti tratte dal risparmio privato per far fronte alle esigenze rese evidenti dall’inadeguatezza delle infrastrutture viarie, ferroviarie, acquedottistiche, portuali e aeroportuali o dalle condizioni dell’assetto idrogeologico che manda in tilt intere aree del Paese alle prime piogge, che ci sembrano sempre eccezionali e dovute al cambiamento climatico quando chi ha buona memoria le ricorda da sempre. Il risparmio degli italiani è certamente a disposizione purché a chiederlo sia un governo che dia certezza della buona spesa, non che esordisca bloccando la giurisdizione della Corte dei conti in tema di danno erariale commesso con colpa grave. Una scelta a tutela di chi spreca denaro pubblico, della quale non risulta che alcuno al governo o in Parlamento si sia ancora vergognato.