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“Il Sagittario”, un Circolo culturale, un pezzo di storia della politica a Roma, un esempio per un nuovo impegno dei “liberi e forti”

di Salvatore Sfrecola

Nel panorama delle attività culturali degli anni ’60, a Roma, un ruolo significativo è stato ricoperto dal Circolo “Il Sagittario”. Vi si tenevano conversazioni, tavole rotonde, presentazione di libri, nella centralissima via Ludovisi, in un’ampia sala messa a disposizione dall’Unione Monarchica Italiana (U.M.I.), 80 posti a sedere che ogni volta risultavano insufficienti rispetto ai presenti.

L’iniziativa l’avevano assunta alcuni studenti universitari (i meno giovani si ritrovavano la domenica mattina al Circolo Rex, all’epoca presieduto dall’Avv. Carlo d’Amelio) che con me condividevano l’esigenza di riflessioni di carattere storico e politico che avessero un significato anche nell’attualità. È stata un’esperienza esaltante, condivisa con alcuni amici che ricordo in rigoroso ordine alfabetico, fra gli altri, Mario Capone, Antonio d’Amelio, Elda D’Amico, i fratelli Filippi, Antonio Galano, che purtroppo non è più tra noi, Serena Galtieri, che vedo molto attiva su Facebook, Sergio Pratellesi e Antonio Ratti, che ha svolto un’importante attività di ricerca tra archivi pubblici e privati, dando alle stampe contributi importanti sull’attività delle formazioni partigiane e sulla resistenza monarchica contro il nazifascismo dopo l’8 settembre 1943 e sulla storia del movimento monarchico, anche in collaborazione con Domenico De Napoli che quei temi aveva portato in campo universitario (“Il movimento monarchico in Italia dal 1946 al 1954”, Loffredo Editore, Napoli, 1980, pp. 268). L’importanza delle ricerche di De Napoli e Ratti è attestata dalle ampie citazioni che ritroviamo in un libro, fondamentale per la ricostruzione delle vicende di quel complesso e convulso periodo storico, scritto da Andrea Ungari, professore ordinario di Storia contemporanea alla UniMarconi (“In nome del Re – i monarchici italiani dal 1943 al 1948, Le Lettere, Firenze,2004, pp. 350, € 30,00, nella  Biblioteca di “Nuova storia contemporanea”, Collana diretta da Francesco Perfetti).

Sicuramente ho dimenticato qualcuno che non me ne vorrà, pronto ad integrare l’elenco. Grande collaborazione ci fu costantemente assicurata in quegli anni da Luigi Marucci che ci agevolava nella diffusione del programma degli appuntamenti del Circolo, anche attraverso l’agenzia di stampa FERT, diretta da Mario Pucci.

Era il “direttivo” che con me metteva a punto i programmi, individuava gli argomenti ed i relatori, tutti illustri. Cominciammo coinvolgendo gli amici di famiglia che non si sarebbero preoccupati del numero dei presenti che, in realtà, come ricordavo innanzi, furono subito tanti. Avevamo l’abitudine di inviare i cartoncini con l’indicazione dell’evento anche a personalità che sapevamo non avremmo trovato tra il pubblico ma che, vedendo il livello dei relatori, quando interpellati per tenere una conversazione hanno sempre aderito di buon grado.

E così a “Il Sagittario” tenne una conversazione il Rettore della Sapienza Giuseppe Ugo Papi, studioso insigne, titolare della Cattedra di economia politica, sui cui testi venivamo interrogati a Giurisprudenza. Un Rettore che parla ad un circolo di studenti non è un fatto usuale ed attesta il livello dell’attività svolta e dei relatori impegnati. Come la Professoressa Emilia Morelli, titolare della cattedra di Storia del Risorgimento, l’on. Ottorino Monaco, medico, parlamentare liberale, l’on. Raffaele Costa, fustigatore dei costumi della “casta”, con il quale avrei collaborato negli anni ’90 come Consigliere giuridico ai Ministeri della sanità e, poi, delle infrastrutture e dei trasporti. Uno straordinario successo ebbe la conferenza tenuta dal Prof. Edgardo Beltrametti, politologo, giornalista, già corrispondente di guerra dal Vietnam per Il Tempo, attento alle vicende delle Forze Armate e dei Servizi di informazione. Ed a proposito dei Servizi “Il Sagittario” ha ospitato la prima uscita pubblica del Gen. Giovanni De Lorenzo dopo l’abbandono della carica di Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, a seguito delle polemiche politiche sulle presunte deviazioni del SIFAR (le famose schedature di politici, sindacalisti e intellettuali militanti) che l’alto ufficiale aveva diretto in passato e sulla sua gestione dell’Arma dei Carabinieri con riferimento in particolare al “piano Solo”, un programma di interventi dell’Arma in situazioni di emergenza che fu scambiato per un piano insurrezionale. Ne ha scritto Mario Segni ne “Il colpo di Stato del 1964 – la madre di tutte le fake news” (Rubbettino, Soveria Mannelli, 2021, pp 178, € 13,00), che ha fatto giustizia, sulla base delle risultanze processuali e delle testimonianze dei protagonisti, dell’attacco mosso da alcuni ambienti di sinistra alla Democrazia Cristiana ed al Presidente della Repubblica, Antonio Segni, accusato di aver tramato, d’intesa con il Generale, niente meno che un golpe.

Per invitarlo andai a trovarlo a casa poco dopo l’alba. Mi aveva procurato l’appuntamento il Colonnello Filippi, dei Carabinieri, fedelissimo del Generale. Si attardò con me per esprimere il dolore per le insinuazioni degli organi di stampa e dei politici che avevano dubitato della sua fedeltà alle istituzioni democratiche. Mi chiese di mio padre. E saputo che ne avevo seguito le orme mi raccontò del suo, anch’egli alto ufficiale d’artiglieria, del quale aveva seguito l’esempio combattendo in Russia, con l’ARMIR, quale Tenente Colonnello Vice capo dell’Ufficio operazioni, e poi contro i tedeschi dopo l’8 settembre, al Nord sul fronte alpino e successivamente a Roma. “Le pare che io possa aver pensato ad un golpe?, mi disse.

La sua conversazione ebbe una straordinaria partecipazione di pubblico e di giornalisti. Spiegò come funzionava l’intelligence e chiarì che in Italia il SIFAR non aveva fatto nulla di diverso da quel che è regola degli analoghi servizi dei paesi della NATO. Fu poi censurato, a seguito di una indagine del Senato della Repubblica (la Commissione Beolchini), per aver raccolto notizie su alcuni “vizietti” di uomini delle istituzioni e sui rapporti opachi che taluni avevano con elementi della finanza avventurosa e della criminalità economica. Chiarì ancora, ma non ci voleva molto a capirlo, che una personalità pubblica ricattabile, in ragione di talune frequentazioni private, costituisce un pericolo per le istituzioni. Come fu nel Regno Unito per lo “scandalo Profumo” quando fu scoperto che il brillante Segretario di Stato per la guerra, John Profumo, astro nascente del Partito Conservatore, aveva avuto rapporti intimi con una avvenente ballerina che analoghe effusioni era solita riservare all’addetto navale dell’ambasciata sovietica a Londra. E si sospettò che, nell’entusiasmo dell’amplesso, al ministro potesse essere sfuggito qualche dettaglio di questioni rilevanti per la sicurezza dello stato.

Intento degli amici che s’impegnarono con “Il Sagittario” era quello di riflettere sul presente e sulle prospettive dell’Italia, sempre con fare un po’ politicamente scorretto, si direbbe oggi, per difendere le nostre idee di liberali e cattolici legati alla tradizione dello Stato Risorgimentale, della Monarchia parlamentare, un’esperienza storica che ritenevamo, e in molti riteniamo tuttora, un esempio cui attingere, se non altro per l’insegnamento, per l’integrità morale di quegli uomini che avevano “fatto l’Italia”, con personale sacrificio, a volte anche rinunciando alle proprie idee, purché  fosse realizzata l’unità del Paese sul quale avevano per troppo tempo governato spagnoli, francesi ed austriaci, una realtà ben scandita dalla Canzone degli italiani, l’Inno di Mameli: “Noi siamo da secoli Calpesti, derisi, Perché non siam popolo, Perché siam divisi”.

I nostri “eroi” erano Vittorio Emanuele II, il Padre della Patria, il Re che aveva realizzato lo stato nazionale avvalendosi della preziosa collaborazione di Camillo Benso di Cavour, il grande amministratore e il fine diplomatico, che aveva portato nelle assise europee le aspettative degli italiani, e Giuseppe Garibaldi, il generoso combattente della libertà, ovunque fosse in pericolo, il Generale al quale il Presidente Abramo Lincoln aveva chiesto di guidare un’armata nella guerra di secessione americana. E fu il “miracolo del Risorgimento”, secondo una fortunata espressione di Domenico Fisichella.

Eravamo un bel gruppo, un po’ spavaldo, come si confà a dei ventenni, quando si comincia a pensare sul da farsi e sulle prospettive personali, professionali e politiche.

Vorrei riprendere quell’esperienza con gli amici di un tempo, se disponibili, e con quanti hanno voglia di testimoniare le proprie idee in questo momento difficile per l’Italia e per l’occidente liberale e cristiano che ha bisogno di un “Nuovo Risorgimento”, di un impegno culturale reso ancora più necessario dai risultati delle più recenti competizioni elettorali che hanno visto crescere l’assenteismo, segno inequivocabile di una disaffezione per la politica e, quindi, per le vicende della società nella quale viviamo, squassata dalle contraddizioni che hanno accompagnato la fine delle ideologie, scioccamente enfatizzata, trascurando che sarebbero venute meno anche le idee a base della filosofia politica, ciò che ha significato la regressione dell’impegno politico di molti e l’irrompere nella platea parlamentare di un populismo becero che tuttavia ha coinvolto quanti, disgustati dall’inadeguatezza della politica, si sono rivolti con fiducia al nuovo che prometteva una rigenerazione del costume politico. Speranza presto delusa. I nuovi hanno sommato ai difetti dei vecchi il desiderio spasmodico di trasformare il ruolo onorifico in una professione. Sicché continua la ritirata della politica, attestata, se non altro, dal fatto che periodicamente delega ruoli fondamentali del potere a personalità della finanza (da Dini a Ciampi, da Monti a Draghi) dimostrando di non essere in condizione di presentare adeguate candidature politiche. Ne consegue un progressivo inaridimento del dibattito delle idee e l’affermarsi di una mentalità burocratica nella gestione del potere che facilmente sfocia in atteggiamenti illiberali che stressano il sistema costituzionale ad iniziativa di esponenti di partito di estrema modestia. Non più preparati nelle scuole di formazione né nell’esperienza degli organi collegiali degli enti locali e delle regioni in vista di incarichi parlamentari e di governo. Una politica è fatta di slogan di facile presa ad imitazione di quelli che il consumismo ci offre attraverso la pubblicità televisiva.

Occorre una ripresa delle idee di fondo del liberalismo democratico in un contesto nel quale siano conservati e valorizzati il senso del dovere, l’amore per la Patria, il ruolo della Famiglia.

Questo è un appello che mi auguro non cada nel vuoto perché è tempo di tornare alla politica e rifondare lo Stato che ci è stato consegnato dai padri del Risorgimento nazionale, che è ancora vivo in più di quanti si possa immaginare. È in primo luogo un impegno culturale che riconosca le radici cristiane, il valore della Patria (“la nostra casa”, scriveva Giuseppe Mazzini ne “I doveri dell’uomo”) e della Famiglia “il luogo in cui – nel corso del tempo – si trasmette la tradizione”, ha scritto Francesco Borgonovo in un importante contributo alla riscoperta ed al consolidamento dei valori (“Conservare l’anima – manuale per aspiranti patrioti”, con prefazione di Marcello Veneziani, Lindau, Torino, 2021, pp 152, € 14,00). La famiglia che è prima di tutto il luogo dei “legami di amore, di gratuità e di dovere” (Borgonovo). La società “naturale” che si fa di tutto per mortificarne il ruolo attraverso la negazione delle figure del Padre e della Madre, complici spesso gli stessi protagonisti, confusi dalla pubblicità e dalle teorie che vorrebbero l’indifferenza dei ruoli.

Del resto anche la Patria va amata gratuitamente, come hanno fatto i nostri nonni nelle trincee della Grande Guerra, la quarta guerra d’indipendenza con la quale l’Italia politica è rientrata nei suoi confini naturali, con Trento e Trieste.

Il nostro è come un appello ai “liberi ed ai forti” di sturziana memoria, agli uomini ed alle donne che non hanno timore di manifestare le loro idee, che vogliono guardare in faccia la realtà e confrontarsi con i fautori del mondo senza frontiere, che ci vogliono senza identità, senza storia. Ma noi non dimentichiamo che siamo gli eredi della civiltà del diritto di Roma che ha permeato degli istituti fondamentali delle regole giuridiche gli ordinamenti di tutto il mondo, nel rispetto della persona e nell’apertura a chiunque fosse desideroso di diventare civis romanus, purché rispettoso delle leggi e condividesse lo spirito della romanità. Di questa identità noi siamo fieri perché è storia di civiltà che attraverso i secoli giunge a noi con i filosofi, gli artisti, i narratori, i grandi uomini di stato. E anche noi accogliamo tutti purché rispettino le nostre tradizioni, la nostra storia, se vogliono entrare a far parte della nostra comunità e non rimanere ospiti del bel Paese.

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