di Salvatore Sfrecola
Invoca “modalità meno democratiche nella somministrazione dell’informazione” Mario Monti, Senatore a vita, ex Presidente del Consiglio dei Ministri, un’esperienza di Commissario europeo, opinionista del Corriere della Sera. Ed è subito polemica per quella frase pronunciata a “In onda” su “La 7” e non gradita. Certamente inopportuna, probabilmente formulata in modo che va al di là delle intenzioni. Perché di certo un problema di comunicazione c’è in Italia per quel che riguarda la diffusione del virus da Covid19 se a distanza di quasi due anni dall’allarme dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) si parla ancora di emergenza e non poche sono le contraddizioni somministrate al cittadino lettore o ascoltatore delle TV se il movimento degli scettici è consistente e giunge ad esprimersi in forma violenta respingendo le indicazioni delle autorità quanto alle precauzioni da seguire, dalle mascherine, da indossare in caso di assembramento, alle vaccinazioni.
Forse non sarebbe stato comunque facile comunicare agli italiani, come non è stato facile anche altrove, quale sia la effettiva situazione dell’epidemia in una condizione in divenire per le caratteristiche del virus che muta in forme diverse, a volte più contagiose, in alcuni casi più “severe”, cioè più gravi. Ma è certo che qualcosa nella comunicazione istituzionale non è stata chiara, come la negazione, fin dall’inizio, della praticabilità delle cure domiciliari quando è evidente che la gravità del morbo è naturalmente graduata (eppure tutti sono ricompresi nel dato “nuovi contagi”), se alcuni superano la malattia a casa ed i ricoverati occupano alcuni i reparti ordinari, altri quelli deputati alle terapie intensive. La gente si chiede come siano curati i degenti dei reparti ordinari e perché non sia possibile guarire a casa e perché da parte delle autorità mediche non sia stato indicato un protocollo terapeutico. Una condizione di incertezza nella quale è agevole la constatazione che si sia arrivati impreparati, senza adeguati piani di intervento, nonostante è facile dire che quel virus, isolato nel 2019, come rivela il numero che lo accompagna, sarà stato certamente studiato dall’O.M.S. ben prima del 30 gennaio 2020, quando è stato dato l’allarme. Perché in quell’Organizzazione ci sono esperti italiani i quali non sappiamo se abbiano allertato il Ministero della salute e se, nell’affermativa, perché questo non si sia tempestivamente attivato.
E adesso che si diffonde opportunamente la vaccinazione si rincorrono le voci intorno alla sua efficacia nel tempo, prima indicata in molti mesi se non anni e gradualmente ridotta. Probabilmente per effetto della natura in parte naturalmente sperimentale della campagna vaccinale. Ma anche questo è un elemento informativo che suscita dubbi ed alimenta i contrari alla vaccinazione anche perché non occorre molta fantasia per immaginare che dietro il virus corrano interessi dei grandi gruppi produttori dei vaccini, interessi che si alimentano di dose in dose.
Si poteva spiegare meglio? Certamente sì. Con la prudenza del caso e con la fermezza che l’autorità pubblica deve saper esercitare, evitando, ad esempio, di difendere a spada tratta misure contraddittorie come la possibilità del trasferimento in seconde abitazioni mentre si denunciano i pericoli dell’assembramento. O mentre virologi o supposti tali diffondono tesi contrastanti, adatti ad un dibattito scientifico, pericolosissimi se svolte in televisione, incalzati dai giornalisti alla ricerca dello scoop.
“L’Italia del 2021 – ha scritto Pietro Mancini su AffariItaliani.it – attraversa, certo, una fase drammatica, a causa della pandemia e delle deboli risposte della politica democratica, sostituita da una personalità, Mario Draghi, stimata, ma non eletta dal popolo, nelle cabine. Ma porre dei limiti all’informazione e al pluralismo, “perché occorre dare un messaggio”, acuirebbe le tensioni sociali. E attenzione ai precedenti del 1921. Al Quirinale, certo, oggi, c’è un democratico, silenzioso ma vigile, Mattarella, e non un Re travicello, come Vittorio Emanuele III, che nulla fece per fermare l’avvento del fascismo”. Una conclusione sbagliata di una buona analisi, quella critica dell’uscita improvvida di Mario Monti, a conferma che la figura di Vittorio Emanuele III, richiamata spesso fuori contesto, fa comodo a tutti per nascondere, ancora una volta, gli errori drammatici di liberali, cattolici e socialisti che nel 1922, chiamati dal Re a costituire un governo non vollero assumersene la responsabilità in un momento obiettivamente difficile, come quello della crisi economica del dopoguerra e delle conseguenti tensioni sociali, e preferirono appoggiare il governo di Benito Mussolini conferendogli una solida maggioranza.
Forse, ad una migliore riflessione, l’articolista di AffariItaliani.it sarebbe meno preoccupato se al Quirinale sedesse una personalità estranea ai partiti, in funzione di autentico arbitro. Un Re, insomma. Non “Re Giorgio” che, come scrive il Nostro, insieme ai Togliatti e ai Cossutta “e c. avallarono, in quanto organici al PCUS, provvedimenti per limitare, o sopprimere, la libertà dell’informazione. E lo stesso “Re Giorgio”, allora responsabile della commissione meridionale del Comitato centrale del Pci… scrisse, su “L’Unità”, nel 1956, che “l’intervento sovietico ha non solo contribuito a impedire che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, ma ha rafforzato la pace nel mondo’”.