di Salvatore Sfrecola
Vi sono amministrazioni che potrebbero assumere gli idonei di precedenti concorsi. Invece ne bandiscono altri. Non solo, ma “nominano” dirigenti anche trascurando i limiti stabiliti dalla legge.
Vediamo di che si tratta. Partendo dalle regole base, quelle dettate dalla Costituzione che all’art. 97, comma 3, così stabilisce: “Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”. Questo, perché “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione” (art. 98, comma 1, Cost). Insomma la selezione pubblica (in questo consiste il concorso) che accerti le occorrenti conoscenze professionali al massimo livello è necessaria perché i pubblici uffici siano dotati di personale qualificato. Un tempo la selezione, a livello di funzionari, prevedeva almeno tre prove scritte ed un colloquio su materie varie. Col tempo questa selezione deve essere parsa eccessivamente severa. E così le prove scritte sono diminuite di numero, come le ore a disposizione dei candidati, passate da otto a sei. Dove sono rimaste, perché in molti casi è stato previsto un semplice colloquio.
Ancora troppo difficile? Così, auspici le organizzazioni sindacali, sono stati previsti nel tempo riconoscimenti di pregresse mansioni (spesso molto generiche e generosamente attestate) e “percorsi formativi” che hanno fatto slittare in avanti migliaia di dipendenti. Per consentire loro di guadagnare di più. Giusta aspettativa, sennonché, passati di livelli gli stessi sono anche divenuti assegnatari di mansioni più elevate, spesso superiori alla loro preparazione ed esperienza. È così che l’attività amministrativa si rallenta in ragione della complessità di talune fattispecie e del conseguente timore di decidere. Lo chiamano il “timore della firma”, tanto enfatizzata al punto da convincere il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che di professione fa l’avvocato, a bloccare, sia pure a tempo, la responsabilità per danno erariale per “colpa grave”. Cioè, chi danneggia lo Stato o l’ente pubblico per il quale lavora causando un danno non risponde, nonostante abbia commesso una gravissima negligenza e trascuratezza dei suoi doveri professionali. Perché questa è la colpa grave.
Una scelta “politica” gravissima, decisa contro gli interessi dei “cittadini contribuenti”, cioè quelli che pagando le tasse alimentano i bilanci pubblici, che il Parlamento ha convalidato e prorogato, anche con Draghi a Palazzo Chigi. Gli elettori dovranno tenerla a mente nel momento in cui votano.
Non basta. Nello sfaldamento delle regole sul reclutamento e le progressioni in carriera generalizzate, in alcune amministrazioni si fa da tempo largo uso di nomine fiduciarie, per libera scelta della politica che deve “piazzare” amici e simpatizzanti negli uffici pubblici, mortificando ancora una volta i vincitori di concorso, con effetti gravi sul funzionamento dell’Amministrazione nella quale dovrebbe vigere la regola del riconoscimento del merito. Si tratta delle nomine consentite dall’art. 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001 che prevede la possibilità di attribuire qualifiche dirigenziali a coloro i quali possano vantare un’esperienza professionale in un settore nel quale l’Amministrazione risulta deficitaria. Che, poi, è una ipotesi del tutto teorica in quanto gli uffici pubblici nel loro complesso dispongono di tutte le professionalità occorrenti e, quando mancano in un settore ricorrono all’amministrazione che ne dispone.
Letta così la norma si può ritenersi, sia pure parzialmente, giustificata purché, in quanto derogatoria, sia di stretta interpretazione ed applicazione, previa verifica dell’effettiva esigenza e dell’elevata professionalità del candidato, come ribadito ripetutamente dalla Corte dei conti in sede di controllo preventivo sulle nomine. Esemplare la deliberazione n. 102 del 2018 con la quale la Sezione regionale di controllo per la Campania ha ricordato la necessità della previa verifica dell’esistenza di risorse interne, con ricorso ad estranei solo in caso di esito negativo della ricognizione di funzionari interni, in quanto “il sistema di provvista dirigenziale disciplinato dall’art. 19, commi da 1 a 6, d.lgs. n.165/2001 valuta assolutamente eccezionale l’affidamento di funzioni dirigenziali a soggetti esterni; ciò in quanto la modalità di reclutamento fisiologica resta quella di affidare l’incarico a coloro che abbiano superato il percorso di qualificazione concorsuale per l’inserimento nel ruolo dirigenziale (cfr. Corte dei conti, Sezione Centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, delibera 5/2018), anche al fine di soddisfare le legittime aspettative dei dirigenti interni a ricoprire l’incarico. Pertanto, rappresenta onere della pubblica amministrazione effettuare una previa verifica circa la rinvenibilità di competenze adeguate all’interno dell’amministrazione; “la previa ricerca all’interno delle qualifiche dirigenziali presenti nei ruoli dell’Amministrazione realizza, ad un tempo, l’interesse di quest’ultima alla migliore e più efficiente utilizzazione delle risorse umane già presenti e, contestualmente, l’interesse dei dirigenti di ruolo a percorsi professionali che consentano un effettivo arricchimento del relativo curriculum” (cfr. Corte dei conti, Sezione centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni pubbliche, delibera n. 36/2014). Solo in caso di ricerca infruttuosa di risorse interne, in possesso dei requisiti professionali richiesti dall’incarico, può essere avviata una procedura all’esterno, suffragata da una “rinnovata volontà discrezionale” dell’Amministrazione medesima, debitamente motivata (cfr. Corte dei conti, Sezione Centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, delibera 4/2015). Infatti, come evidenziato dalla giurisprudenza contabile, “l’art. 40, comma 1, lett. e) del decreto legislativo n. 150/2009 – successivamente intervenuto ad apportare modifiche all’art. 19, comma 6 del decreto legislativo n. 165/2001 – ha inteso limitare ulteriormente la facoltà di ricorrere a soggetti esterni, consentendo il conferimento degli incarichi a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale solo nell’ipotesi in cui tale qualificazione non sia rinvenibile nell’ambito del personale dirigenziale dell’Amministrazione; con ciò, rinforzando i requisiti di professionalità già richiesti dalla precedente normativa, con la specificazione che deve trattarsi di «competenze non rinvenibili nei ruoli dell’Amministrazione», presupposto, quest’ultimo, in assenza del quale l’incarico non può essere conferito”.
Accade, invece, che si nominino dirigenti ex art. 19, comma 6, non solamente tra gli estranei alla Pubblica Amministrazione, ma anche tra funzionari dello stesso apparato, in aperta contraddizione con la regola che per operare con quella norma occorre avere carenze di quella determinata professionalità. Non basta, perché sovente sono stati “nominati” coloro che, candidati in un concorso, non sono riusciti a superarlo. E se nei ministeri la Corte dei conti, che verifica le nomine, ha fatto argine agli abusi, come dimostra la deliberazione innanzi richiamata, nelle agenzie statali, sottoposte ad una generica “alta vigilanza” dei ministri di settore, la libertà di chi dirige è massima e incontrollata. Ma per non apparire del tutto ingenui va detto che se il ministero non vigila è evidentemente compiacente.
Ad esempio si è fatto ricorso a nomine fiduciarie anche in presenza di idonei in precedenti concorsi che potrebbero essere immediatamente immessi in ruolo, solo che si facessero scorrere le graduatorie, come si è sempre fatto, e come ha ripetutamente sollecitato in particolare la Dirstat, il sindacato della dirigenza pubblica, che ne ha fatto una battaglia denunciando gli “arbitri nelle nomine dirigenziali senza concorso”. Gli idonei, infatti, cui si potrebbe attingere sono coloro che, avendo partecipato ad un concorso lo hanno superato ma non sono stati nominati perché in eccedenza nelle graduatorie rispetto ai posti da conferire in prima battuta. E così, rendendosi successivamente disponibili posti in organico, le amministrazioni li hanno sempre chiamati. Sono stati selezionati e possono entrare subito in servizio.
È stata sempre considerata una scelta logica, che consente anche risparmio di costi rispetto al ricorso a nuovi concorsi. Eppure l’Agenzia delle entrate, nelle more dell’espletamento di un concorso, pur disponendo degli idonei in una precedente procedura concorsuale a 175 posti di dirigente conclusasi solo pochi mesi fa, avrebbe programmato nomine di dirigenti ai sensi dell’art. 19, comma 6, d.lgs 165/2001 attraverso un interpello che richiede la partecipazione di soggetti ai quali si richiedono capacità professionali che certamente gli idonei possiedono.
In questo contesto cosa fa il Ministro dell’economia Daniele Franco che, ai sensi dell’art. 60, comma 1, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, è titolare della funzione di “alta vigilanza” sulle agenzie fiscali? Tace, forse mal consigliato dai suoi collaboratori i quali sembra ritengano, in barba allo stesso concetto di vigilanza ed alle pronunce del Consiglio di Stato che le agenzie fiscali siano assolutamente autonome. E questo conferma l’intuizione di Cavour il quale, rilevata l’assenza di fatto del controllo politico del Parlamento sulle agenzie, lui che teneva al ruolo della Camera, le abolì.