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“Esercizio provvisorio del bilancio” e democrazia parlamentare

di Salvatore Sfrecola

Corrono in questi giorni deputati e senatori per approvare entro il 31 dicembre il bilancio di previsione dello Stato per l’esercizio finanziario 2022, ad evitare l’“esercizio provvisorio”. Espressione enfatizzata anche dalla stampa senza che sia messo in risalto che in tal modo la discussione parlamentare del bilancio viene sostanzialmente ridotta al minimo e, da ultimo, chiusa con il voto su una “questione di fiducia” posta dal governo, il che significa impossibilità di emendare il testo.

È la negazione del rilievo parlamentare dell’approvazione del bilancio che costituisce il piano annuale, con proiezione triennale (2022-2024), delle politiche pubbliche, atto fondamentale di uno stato, di qualunque stato. Ed è, appunto, ad imitazione di quel che avviene in altri ordinamenti che da alcuni anni i regolamenti parlamentari prevedono un’apposita “sessione di bilancio”, che è quello spazio di tempo nel quale i parlamentari si concentrano sulla definizione dei documenti finanziari. Diceva Cavour, che il Presidente Draghi ama richiamare spesso, “datemi un bilancio ben fatto e vi dirò come un paese è governato”. Proprio a dimostrazione del ruolo centrale del bilancio. Pertanto la riduzione degli spazi di tempo offerti a deputati e senatori costituisce una limitazione della democrazia e dell’apporto che ogni parlamentare e ogni partito devono dare alla definizione delle politiche pubbliche le quali tengono conto delle grandi linee della programmazione finanziaria ma anche delle esigenze delle categorie e dei territori delle quali i parlamentari sono naturalmente i portatori.

Il fatto di dire che il bilancio deve essere approvato entro il 31 dicembre, ad evitare l’esercizio provvisorio, è una affermazione che fa capire che ci sono idee confuse sul significato dell’esercizio provvisorio che non è quel dramma che viene enfatizzato a copertura di questa limitazione dei poteri del Parlamento. Questo istituto, infatti, previsto dalla Costituzione dall’articolo 81, al comma 5 nella versione ultima, legittima che con legge e solo per un periodo non superiore a quattro mesi sia possibile la gestione provvisoria del bilancio non approvato entro il 31 dicembre. L’esercizio provvisorio, dunque, potrebbe riguardare un mese o due mesi. In questo tempo la gestione del bilancio, per la competenza e la cassa, è consentita per tanti dodicesimi della spesa prevista da ciascuna unità di bilancio quanti sono i mesi dell’esercizio provvisorio ovvero nei limiti della maggiore spesa necessaria, qualora si tratti di spesa obbligatoria e non suscettibile di impegno di pagamenti frazionati in dodicesimi. Ora nessuno può onestamente dire che l’esercizio provvisorio è un danno per l’economia e per il Paese. Il danno, invece, per la democrazia sta nel fatto che il Parlamento viene anche su questo tema fondamentale esautorato dal suo ruolo nella fase delicata di definizione delle partite di spesa e delle entrate. È vero che in regime di esercizio provvisorio della legge di bilancio, che ha inglobato negli ultimi anni quella che un tempo era la “legge finanziaria” e poi la “legge di stabilità”, cioè quella normativa che modifica il sistema delle leggi che incidono sul bilancio, non entrerebbero in vigore dal 1° gennaio le norme tributarie e quelle ordinamentali, ma è anche vero che a fronte di un ritardo di un mese o due avremmo il pieno rispetto del ruolo del Parlamento. E comunque le norme tributarie potrebbero ugualmente avere vigore dal 1° gennaio una volta approvato definitivamente il bilancio.

Che poi la discussione sulla legge di bilancio vada a rilento in alcuni casi è un fatto che dipende dalla capacità dei gruppi parlamentari di dominare e regolamentare l’intervento dei propri rappresentanti nel dibattito in commissione e in aula. Quel che preme sottolineare è che la democrazia esige il libero dispiegarsi dell’attività dei rappresentanti del popolo. Un valore che si va perdendo da tempo e che il covid ha accentuato.

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