“La nostra Costituzione è detta la piu bella del mondo; poi si riduce a totale burletta e si viola in continuazione” Paolo Mieli, 30.12.21
di Jacopo Severo Bartolomei, Collaboratore stabilizzato presso cattedra diritto costituzionale Università degli studi Roma III – Prof. Alfonso Celotto
Il settennato di Sergio Mattarella volge al termine e la prospettiva della sua disponibilità ad una rielezione per un secondo mandato azzoppato, ‘stile Napolitano” cioè non portato a scadenza naturale, scema irreversibilmente. Non sono tanto le dotte citazioni di lavori all’assemblea Costituente (ad es. emendamento Giovanni Leone su non iterabilità) che il professor Mattarella non lesina di sciorinare nelle ultime allocuzioni, non dismettendo l’abito professorale e con piglio degno del “rieccolo” per antonomasia, l’aretino Amintore Fanfani, a confortarci nella constatazione dell’affastellamento nel gioco sempre più convulso e alineare delle forze politiche nella scelta e definizione di soggetti papabili nella corsa all’elezione della Suprema magistratura repubblicana: quei cittadini ultracinquantenni, nel pieno godimento dei diritti civili e politici che con spigoloso ed icastico, ma efficace neologismo, sono “i Quirinabili”. Dal tramonto tombale di Giuseppi Conte, alla cui seconda compagine governativa da lui trasformisticamente presieduta, il Senatore Renzi ha motivatamente staccato la spina onde fargli intendere la carenza assoluta di radicamento parlamentare e la sua compromessa pretesa di leadership M5S, lo scenario politico è stabilmente presidiato dalla figura di Supermario. Mario Draghi, discepolo di Ciampi in Banca d’Italia e poi governatore illuminato della BCE è destinato a giganteggiare, in linea con la tradizione tecnica risalente a più invasiva crisi finanziaria della lira (governo Amato 1992), secondo cui gli uomini di palazzo Koch sono, in virtù di competenze professionali spiccate e dell’accreditamento internazionale, ineluttabilmente vocati a svolgere il ruolo di “playmaker” dei vertici istituzionali. In verità tale mutazione delle istituzioni repubblicane è l unica effettiva “deriva golpista” di sovvertimento della forma di governo parlamentare e dell’organizzazione costituzionale sancite dalla Carta 1948 che abbia avuto modo di dispiegarsi e di incidere pesantemente nella dialettica democratica.
Infatti, la Banca d’Italia, organo tecnico non rappresentativo e quindi politicamente irresponsabile, già ente d’emissione della valuta nazionale ai tempi della lira ed ora, con l‘avvento dell’euro. Titolare di penetranti compiti di mera funzione di vigilanza sul sistema creditizio nazionale e di coordinamento della politica monetaria con gli organismi sovranazionali, è assurto a causa del perdurare dell’emergenza finanziaria (fenomeno preconizzato in LA CRISI FISCALE DELLO STATO, stressato da aspettative normative crescenti – cfr. James O’CONNOR Torino 1975; Niklas LUHMANN, Sociologia del Diritto, bari 1977) a:
- luogo privilegiato se non esclusivo di elaborazione della politica economico-finanziaria dello Stato, con sensibile svilimento delle attribuzioni degli organi costituzionali a ciò deputati, in primisParlamento e Governo;
- luogo di interferenza delle decisioni nazionali “sovrane” con quelle dei paesi europei e, in particolare delle nazioni (Francia e Germania) a capo della costruzione europea transitata dal trattato di Maastricht 1992, attraverso l’unificazione monetaria col marco punto di riferimento (lo ZOLLVEREIN, invece aveva previsto, in via prodromica, per l’unificazione dei territori della Germania sotto la guida della Prussia, non solo l’unione monetaria ma anche quella doganale e finanziaria, in maniera tale da creare uno spazio economico comune stabilizzato);
Dopo la richiesta avanzata da Giorgia Meloni, fondatrice e leader di FDI, unica formazione partitica collocatasi, sia per tatticismo che per convinzione, all’opposizione dell’esecutivo Draghi, di un prossimo Presidente della Repubblica “Patriota” e gli interrogativi capziosi postisi dagli opinionisti accreditati presso tribuna del “politically correct”, per l’individuazione di possibili soggetti con tale profilo, è tornata in mente l’esperienza di Carlo Azeglio Ciampi (1999-2006, decimo presidente della Repubblica.
Il talentuoso livornese era una figura composita e si è rivelato, in prospettiva storica, personaggio più complesso di quanto all’esterno apparisse. L’ex governatore della Banca d’Italia che ha reso palazzo Koch una delle sedi centrali dei Palazzi del potere capitolino, è rimasto consacrato alle cronache anche per le sue battute franche e schiette, senza infingimenti.
Alle obiezioni e riluttanze palesate da Giovanni Bazoli, giovane avvocato bresciano, all’atto della designazione alla guida del banco Ambrosiano, poi dichiarato fallito, secondo cui la sua formazione di giurista non gli sarebbe risultata utile né congeniale, è rimasta proverbiale la pronta replica “ Figliolo, io sono diventato governatore della Banca d’Italia con la laurea in lettere”. Ciampi è ricordato come l’uomo che non solo, prima di accettare la candidatura al Quirinale, aveva predisposto una lettera di dimissioni, qualora l’elezione non fosse avvenuta ai primi scrutini con ampia maggioranza (in effetti risulterà eletto col 71,5%) ma, come colui che ha effettivamente inaugurato la stagione dei tecnici al governo, previo esautoramento della dialettica parlamentare e di ogni concreta rilevanza del rapporto fiduciario, tra Parlamento e Governo, così spostando l’attenzione da Montecitorio e segreterie dei partiti al Palazzo del Quirinale (cd. Governo del Presidente, dove la fiducia del Capo dello Stato precede e sopravanza quella delle Camere).
Per ricordare qualche particolare della sua lunga esperienza da funzionario e governatore della Banca d’Italia prima e premier nonché ministro dell’economia poi (governo Prodi 1996) si rammenta che:
- sotto la sua sapiente regia, il conseguimento degli standars europei e dei criteri euroburocratici (ad es. il fatidico rapporto del 3% tra deficit pubblico e PIL) diventa fattore prioritario e predominante nell’elaborazione della politica economica;
- in quest’ottica non solo il dicastero del MEF assume un’importanza spropositata ma addirittura al suo interno un organo tecnico quale la ragioneria centrale dello stato (titolare altro Grand CommisAndrea Monorchio) si trova a svolgere una iperfunzione destinata a raggiungere livelli parossistici post riforma dell’art. 81 Cost e l’imposizione della misura di pareggio di bilancio annuale (in quest’ottica si pone anche l’esasperata attenzione a cd. bollinatura degli atti normativi da parte della medesima Ragioneria).
- I premier via via succedutesi dopo Ciampi (Monti, etc.) non perdono occasione di sottolineare la provenienza da altri ambienti e quindi la loro spiccata fisionomia di tecnico, non già per contrapporsi al “politico”, ma per rappresentarsi agli occhi della pubblica opinione come estranei ai giochi partitici;
I tecnici si rappresentano in veste di virtuosi prosperati sin ad allora nell’iperuranio dell’asserito merito (come Romano Prodi, boiardo di stato alla guida IRI, prima di essere leader dell’Ulivo) e non lambiti dalle dinamiche di scambio e compensazione proprie della Repubblica dei Partiti, se non della partitocrazia (Pietro SCOPPOLA).
d) nel ruolo di determinare gli obiettivi economico-finanziari e il contenuto delle missioni internazionali Ciampi si affida a due personaggi tecnici, allevati alla corte di palazzo Koch, che sono Fabrizio Saccomanni e Mario Draghi, da lui etichettati “gli apostoli” giacché sulla loro credibilità negli ambienti europei in generale e tedeschi in particolare, egli riponeva precipuo affidamento onde accreditare l’immagine di un Italia diversa più seria, in modo da mitigare e quindi controllare sino all’azzeramento lo Spread.
Non è questa la sede per confutare secondo i dettati della scienza economica più avanzata la bontà né dell’adozione dei criteri di Maastricht, né del perseguimento di una politica di rigore finanziario con effetti drammaticamente recessiva e antiespansiva; occorre solo evidenziare come, al di là delle apparenze i meccanismi di selezione della classe politica soggiacciono a delle regole ferree, predeterminate da decenni anteriori agli avvenimenti, secondo logiche che sovrastano il ristretto ambito dello scenario politico nazionale.
Tuttavia Ciampi il “nonno d’Italia” non è solo il Grand commis de l’Etat, il supertecnico per eccellenza, bensì pure un uomo appassionato, dal cuore giovanile, intriso di idealità e valori risorgimentali, tra cui il senso profondo della Patria. Al riguardo è emblematico il ripristino in forma solenne della Festa della Repubblica del 2 giugno, la quale più che significare avversione a forma di governo della monarchia costituzionale vuole segnare la definitiva archiviazione della disfatta morale e civile della Nazione durante la seconda guerra mondiale con l’armistizio del 8 settembre del ’43. Lontano da ogni retaggio nazionalistico, il culto ossessivo della Patria, come valore condiviso, segna la tappa essenziale del progetto di riconciliazione generale, per la ripartenza della Nazione e assunzione di novella dignità nel concerto europeo, dopo la stagione dei Trattati istitutivi 1957, di cui siamo rimasti debitori ai Padri fondatori (Adenauer, Schumann, De Gasperi).
Orbene seppur si stagliano evidenti i tratti comuni tra Ciampi e Draghi sin dalla formazione gesuitica (Istituto San Francesco Saverio a Livorno), la solida formazione universitaria (in verità molto più variegata per il primo ed internazionalizzata per il secondo) la brillante carriera in Banca d’Italia, il profilo da eurotecnocrate, contrassegnato dalla cieca fiducia nella progressione della costruzione europea tuttavia uno scarto ineludibile di matrice esistenziale e culturale, intercorre tra i due uomini. Non solo e non tanto per l’ovvia constatazione di appartenenza a generazioni diverse (Ciampi nato 1920, Draghi nato), quanto l’atteggiamento di fondo e la propensione al “patriottismo repubblicano”.
In questo Ciampi resta difficilmente eguagliabile da ogni suo seguace (cfr. l’indice di gradimento che al quinto anno raggiunse l’87%, percentuale di popolarità in precedenza lambita solo da Sandro Pertini, spettatore vittoria ai mondiali di calcio in Spagna), motivo per cui se il suo pupillo Draghi vuole ricalcare le sue orme, come sembrerebbe emerso dalle parole pronunciate nella conferenza stampa di fine anno, secondo cui “il governo può andare avanti indipendentemente da me (…) il mio destino personale non conta assolutamente niente e non ho particolari aspirazioni, ma sono un uomo e un Nonno, al servizio delle istituzioni”, deve innanzitutto mantenere le promesse fatte all’insediamento da premier nel non lontano febbraio 2021. Infatti “qualcuno sembra essersi pienamente accorto che il tuo modo di governare non è cosi’ nuovo, in quanto un governo che introduce molti decreti e chiede tanti voti di fiducia è in stretta continuità con i meno apprezzati predecessori” (Gianfranco PASQUINO, editoriale Domani, 29.12.21) e quindi è venuta l’ora di smascherare il Re nudo, cioè la pretesa dei Supertecnici di Banca d’Italia di ricoprire i ruoli di vertice delle istituzioni senza l’imprescindibile vaglio democratico del momento elettorale.
Su questo punto una classe dirigente, politico-amministrativa avveduta, dovrebbe realizzare che non esiste emergenza finanziaria, bancaria, sanitaria o pandemica che tenga, altrimenti giornalini e giornaletti e la smettano di ammansirci solite lezioncine di democrazia “usata come un dentifricio” (MS Giannini), additando la Russia di Putin o la Turchia di Erdogan come regimi autoritarie e quindi incomparabilmente deteriori rispetto alla decrepita democrazia liberale classica.
L’augurio da formulare al “quirinabile” deputato a divenire il XIII Presidente della Repubblica è che sia un politico esperto e uomo coraggioso, capace di scrollarsi di dosso quel pesante “fardello di contiguità” nella perpetuazione di prassi e condotte incostituzionali da vari eminenti tecnici e custodi dell’ortodossia avallate disinvoltamente per troppi decenni.