di Dora Liguori
Elisabetta in Baviera, imperatrice d’Austria, più conosciuta come Sissi, fu davvero una donna che non ebbe pace, prima in vita per le sue tribolazioni e poi in morte, per colpa dei film e delle fiction. Infatti, a prescindere da alcuni libri, i film e gli sceneggiati che su di lei vengono costruiti, si “distinguono” sempre per il loro pochissimo rigore storico, con il risultato che di lei ci viene rimandata ancora un’immagine molto lontana da quella che caratterizzò (alla luce dei documenti attendibili) la reale avventura terrena di questa “povera” donna.
E tanto per non cambiare registro, anche l’ultima fiction tedesca non fa eccezione, infarcita com’è da una serie di errori storici (ne elencheremo solo alcuni) assolutamente poco comprensibili. Infatti, la vita di Elisabetta e Francesco Giuseppe d’Austria, è stata già tanto piena d’avvenimenti che non occorrerebbe proprio inventarseli. Lo scopo di una fiction, vista la poca propensione esistente, oggi, alla lettura, dovrebbe essere persino quella educativa; invece, falsando la storia, si creano distorsioni appunto storiche, poco utili ad una sia pur minima conoscenza collettiva della medesima.
Insomma… occasioni sprecate!
Come anticipato, la fiction tedesca ci consegna la visione di una donna bella e sensuale, oltre che politicamente molto più intelligente del consorte, Francesco Giuseppe imperatore d’Austria. Nella realtà, da quel che i documenti ci consegnano, sensuale non lo fu affatto (forse fu ammalata di romanticismo) mentre, per quanto attiene alla bellezza, essa lo fu realmente, tanto da passare (non del tutto a ragione) per la più bella donna dell’ottocento in Europa. Francamente, esistendo quadri e fotografie si può notare, ad esempio, che l’italiana, contessa Nicoletta di Castiglione, in venustà, la sorpassava abbondantemente.
Comunque, a proposito della sua decantata bellezza, la prima a non crederci era proprio lei poiché pur sapendo di possedere una figura molto bella (era alta 1 metro e 72 e sovrastava il consorte tutt’altro che aitante) nonché gli arcifamosi capelli lunghi oltre al giro vita (pare sino alle caviglie), di contro conosceva bene la pecca contenuta nel suo aggraziato e bel viso: denti brutti e irregolari. Per questo motivo, lei, che era molto attenta al culto della sua bellezza, non sorrideva mai (non esistono quadri e fotografie in tal senso); forse non sorrideva neppure in famiglia, cosa che avrà finito per renderla non propriamente simpatica.
Etichetta a parte, la giornata dell’imperatrice iniziava al mattino con ben tre ore per la sola toletta dei capelli (pettinarla doveva essere un’impresa). A proposito di falsi storici e di capelli, la cosiddetta amica Franziska Rosler (poi maritata Feifalik), che nella fiction si porta a Palazzo, tutto era fuorché una prostituta… ce la vedete un’imperatrice che frequenta, sia pure di nascosto, un postribolo per avere lezioni di sesso? Molto più semplicemente l’imperatrice aveva conosciuto Franziska a teatro e avendone ammirato l’abilità di parrucchiera (anzi come allora si diceva di “pettinatrice”) la volle con sé a corte, quale sua parrucchiera personale assicurandole uno stipendio di 2000 fiorini annui (lo stipendio di un alto funzionario). Del resto pettinarla, come detto, non era impresa semplice… occorrevano circa tre ore. L’amicizia con l’imperatrice durò tutta la vita ed essendo Franziska molto bella e a lei somigliante, spesso l’imperatrice la usò addirittura quale controfigura. Capelli a parte, molte delle restanti ore del giorno, Elisabetta, per mantenere, nonostante le gravidanze, il suo vitino di vespa, le dedicava ad estenuanti ore di ginnastica ed esercizi con attrezzi vari, nonché cavalcate di anche cinque o sei ore che sfiancavano le povere dame di compagnia (in genere la seguivano in carrozza).
Appare evidente che i residui di tempo che aveva a disposizione erano pochi… e, a prescindere dalle rare volte che partecipava a pranzi e cene ufficiali, dove fingeva solo di mangiare, per il resto, di cibo non desiderava parlarne affatto, anzi lo rifiutava. Per sostentarsi era solita ingurgitare tuorli d’uova e, potendo, fragole. Una dieta tanto sballata che la condusse alle soglie dell’anoressia, disturbo che, come noto, accompagna al rifiuto del cibo anche il rifiuto della sessualità.
Insomma, Sua Maestà Sissi, era, per gli uomini: vedere e non toccare, compreso il legittimo consorte. Infatti, appena il poveretto osava, la signora cadeva immediatamente, e forse per voluta induzione psichica, malata. E pare che forse proprio per questa sua frigidità, Elisabetta, nonostante le molte chiacchere circa la sua amicizia con il conte ungherese Andrassy (si paventò persino che l’ultima sua figlia Maria Valeria fosse figlia del conte), sia rimasta fedele a Francesco Giuseppe… lei, agli uomini, preferiva i cavalli.
In sintesi, fu una donna tendenzialmente ribelle a tutti e soprattutto a se stessa e per questo anche profondamente infelice, e non solo per colpe altrui, ma anche per i suoi problemi psichici, aggravati da un carattere alquanto testardo, carico d’ansie e poco malleabile. Ciò non toglie che Sissi, dotata di una pronta intelligenza, ebbe, per l’epoca, incredibili, aperture mentali e consapevolezza delle sue mancanze. Infatti, con molta intelligenza nel 1854, sposando a soli 17 anni Francesco Giuseppe, e divenuta imperatrice d’Austria, conscia della sua poca cultura, passò il resto della vita ad acculturarsi da autodidatta, tranne che per lo studio delle lingue per le quali ebbe subito ottimi maestri.
Divenuta ammiratrice del poeta tedesco Heine, volle cimentarsi anche lei nella poesia e molti suoi versi, pur non essendo memorabili, sono interessanti. Ed è proprio dai suoi versi che si possono dedurre i molteplici problemi psichici che l’affliggevano, quali nevrosi, depressione e cadute di tipo anoressico. Non a caso era grande amica di suo cugino Ludwig II re di Baviera, che di testa neppure ci stava tanto.
Elisabetta, da ribelle qual era creò non pochi problemi al succube suo consorte che, vuoi o non vuoi, nonostante le molteplici amanti che aveva (e con quella moglie stravagante ci mancava pure che non le avesse) le era molto legato. Tale era questo affetto, in un uomo peraltro privo di grandi sentimenti, che solo a lei non seppe negare nulla, persino quando sarebbe stato utile e ragionevole farlo (vedi lo sperpero di denaro, criticatissimo dal popolo austriaco, per la costruzione che Elisabetta volle di una villa classicheggiante, detta Achillejon, a Corfù).
Vizi e manie a parte, Elisabetta, indubbiamente ebbe anche doti d’animo voltate alla pietà verso gli umili, una vocazione che, essendo poco compresa dalla rigida etichetta asburgica, fece subito inorridire la suocera Sofia e il poco sensibile, ancorché innamorato, consorte Franz, il quale non potendola cambiare, anche su consiglio dei medici, ad un certo punto la lasciò libera di vivere a modo suo.
L’imperatore, sempre per affetto, più volte sbagliò consentendo alla consorte non poche scelte originali, scelte che, criticate da mezza Europa, non mancavano di porlo in grande imbarazzo. Eppure, il suo più grande errore fu proprio quello di non avvalersi dell’istinto di Elisabetta, un istinto che la portava a saper comunicare con i popoli, intuendone i malesseri. Lei, infatti, con largo anticipo, aveva compreso come il mondo stesse cambiando e che la storia dei sovrani (gli unti dal Signore e per questo intoccabili) non avrebbe retto più a lungo. Francesco Giuseppe, invece, con la sua rigidità mentale, aveva una stima infinita del suo ruolo, e non poteva né voleva comprendere Elisabetta che spesso, si sentiva, o almeno fingeva di sentirsi, una simile agli altri, ossia una parte del popolo, motivo per il quale li comprendeva nelle loro rivendicazioni e da loro era compresa.
In particolare ciò le fu facile, anche in forza della sua bellezza, con i focosi ungheresi, molto meno sedusse gli italiani… essi non difettavano di belle donne in patria. Infine, la donna, pur non essendo quella mente politica che spesso i film e le fiction cercano di regalarle, se fosse stata maggiormente ascoltata da quell’inflessibile militarista ch’era il consorte Franz, qualche guaio costui se lo sarebbe potuto persino evitare.
Detto fra noi, eccentricità a parte, per Elisabetta, ciò ch’era iniziato come una fiaba, il matrimonio con l’imperatore d’Austria, si rivelò, ben presto, una grande disgrazia, e non solo per lei ma per entrambi: due persone tanto dissimili mai avrebbero dovuto unirsi.
E parlando di disgrazie va subito detto che il bel Franz (da giovane, pur non essendo molto alto, era tutt’altro che brutto) godeva di una tale sfortuna che se per caso sulla via si fosse incontrato con un gatto nero, la povera bestiola, fatti i dovuti scongiuri, avrebbe subito cambiato strada. Infatti, tale era la jella che lo accompagnò per tutta la vita, a livello familiare e non solo, che fu presto chiaro come ad essergli parenti si rischiasse una brutta fine.
Nato a Vienna nel 1830, primogenito di Sofia di Baviera e di Francesco Carlo d’Asburgo-Lorena, dopo le dimissioni (per motivi mentali) dello zio Ferdinando I, peraltro senza figli e il rifiuto (spinto dalla moglie) del padre alla corona, ereditò il trono imperiale nel 1848. Probabilmente, Francesco Giuseppe partì con le migliori delle intenzioni ma, visti i risultati, prima di condannarlo occorrerebbe sottolineare come egli ereditasse un impero già minato alle basi… il 1848 non era passato invano neppure da Vienna. Alla violenta crisi che, in quel periodo, aveva investito quasi tutta Europa, andarono ad aggiungersi una serie di sue scelte errate, con conseguenti sconfitte belliche e insuccessi (da Sadowa alla perdita, dopo Solferino, della Lombardia, la separazione dalla Germania, la cessione del Veneto, l’umiliazione della Prussia), insuccessi che fecero esclamare, con sottile ironia, allo zio Ferdinando, quello fatto dimissionare perché incapace: “perché mi hanno cacciato via nel 1848? Sarei stato capace anch’io, quanto mio nipote, di perdere delle battaglie”
E chiamalo scemo! Ferdinando, invece, aveva, nonostante i malanni che lo affliggevano, una buona cultura, propensione alle lingue e alle arti, ma c’era un ma, per i politici del momento, il più grave dei suoi malanni consisteva in una certa bontà d’animo non concepibile (a loro dire) per un Asburgo.
Tornando a Francesco Giuseppe, iniziò a far “strage” di familiari a soli cinque anni, con la morte della sorellina più piccola anch’essa di appena 5 anni. Le sventure continuarono nel 1857 quando perse la prima figlia Sofia di due anni; a seguire il fratello Massimiliano, già viceré del Lombardo veneto che, invitato in Messico per cingere la corona d’imperatore, nel 1867 venne imprigionato e fucilato dai rivoluzionari messicani. Per il dolore, la madre Sofia, dopo un anno venne a mancare, privando Franz, oltre che della madre anche della sua prima consigliera. Senza perdere tempo anche la moglie di Massimiliano, Carlotta, non reggendo, uscita di testa finirà i suoi giorni completamente pazza. Nel 1889, tanto per proseguire nella serie dei lutti ci pensò il figlio Rodolfo, erede al trono d’Austria. Come la madre Sissi, anche lui sofferente di depressione, pensò di togliersi la vita presso il castello di Mayerling, in compagnia della sua giovanissima amante, Maria Vetsera. L’imperatore, non ebbe nemmeno il tempo di riprendersi che l’anarchico italiano Luigi Licheni, nel 1898, sul lungo lago di Ginevra, gli andò ad uccidere la moglie Sissi.
Per Francesco Giuseppe fu il crollo! Nonostante la serie di amanti che non si era mai fatto mancare e la presenza costante a Vienna dell’ultima e più importante delle sue relazioni, pare approvata persino dalla moglie, l’attrice Katerina Schratt, definita “l’imperatrice senza corona”, l’uomo, a modo suo, era rimasto sempre legato alla sua “insopportabile” Sissi.
Distrutto, dalla notizia, esclamò: “nulla mi è stato risparmiato su questa terra!”
Ma non era ancora finita poiché l’ultima dipartita fu quella, nel 1914 a Sarajevo, di Francesco Ferdinando e consorte Sofia, nipote di Francesco Giuseppe e suo erede al trono, ucciso da Gavrilo Princip, esponente del movimento anarchico-socialista “Giovane Bosnia”. Più che un lutto familiare, l’attentato mortale rappresentò una catastrofe inimmaginabile per tutti: la prima guerra mondiale.
Le motivazioni e i veri mandanti dell’attentato non sono, a distanza di oltre un secolo ancora chiari e forse mai lo saranno. Le ricostruzioni fatte contengono lacune spaventose ed io stessa, sollecitata a ricercare e scrivere un saggio o anche un romanzo sull’argomento, ho declinato l’invito per l’impossibilità reale, non conoscendo il tedesco, di accedere a determinati archivi. A mio giudizio, solo un team di studiosi potrebbe farlo e forse verrebbe fuori che l’attentatore Princip fu solo una pedina degli alti comandi austriaci per convincere Francesco Giuseppe ad una guerra che, lo stanco l’imperatore, non voleva intraprendere.
Non a caso ebbe a dire: “La guerra! Lor signori non sanno cos’è la guerra! Io lo so … da Solferino”.
Infatti, uomo tutto d’un pezzo, abituato alla freddezza militare che lo rendeva quasi privo di sentimenti, di fronte alla mattanza di Solferino ebbe orrore di sé stesso e di chiunque proponesse una guerra. A proposito di battaglie, sempre la fiction tedesca lo fa vedere combattente in prima persona… errore clamoroso! Ai re, per ovvi motivi, non era consentito gettarsi nella mischia, con eccezione di re Carlo Alberto di Savoia che nella battaglia persa nella fatal Novara, infrangendo le regole, vi si gettò… ma lui cercava la morte e neppure quella ebbe poiché, causa della sua alta statura (due metri) anche gli austriaci, individuandolo, non se la sentirono di uccidere un re. Suo figlio Vittorio Emanuele, nella stessa battaglia, seppur coraggioso, si limitò a dare soltanto qualche ordine.
Pertanto, l’uomo Francesco Giuseppe, ebbe in sorte poche luci e molte ombre e, comunque, fu ben lontano, pur essendo un gran sensuale (a differenza della frigida Elisabetta) dall’essere, come lo rappresenta la fiction tedesca, un debosciato fumatore di oppio e un quasi deficiente politico. Nella realtà era estremamente legato a quello che definiva il suo dovere di “primo funzionario dello stato”; per il resto, in quanto a chiamiamoli svaghi, amava la caccia ma, leggendo poco, non amava i letterati, in compenso, lui rigido e tutto d’un pezzo, amava il ballo e la musica, come ovvio, non certo la musica italiana (quella gli stava proprio sullo stomaco e ne aveva ben donde) bensì amava la musica di tutta la famiglia Strauss. Sempre in fatto di amori, non amò l’Italia e, l’Italia, o meglio il lombardo-veneto, fatta eccezione per il fratello Massimiliano, non amò lui e, solo formalmente, per merito della moglie e del conte Andrassy, trovò un accordo con l’Ungheria. Il resto, comprese le molte condanne a morte che firmò, facevano parte di un sistema di regno assolutista (l’imperatore firmava e ritrattava concessioni) dall’intransigente stampo militaristico che non contemplava pietà per i cosiddetti traditori.
Regnare, in fondo, occorre ammetterlo, è un sistema tanto complicato che persino un santo come Luigi IX, re di Francia, nel XIII secolo, così lo sintetizzò: o sei un buon cristiano o sei un buon re!
P.S A proposito della jella di Francesco Giuseppe, pure la povera e bella attrice Romy Schneider, fece una brutta fine. Non era diretta parente ma avendone impersonato, in ben tre film, la moglie Sissi… vedi mai!