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Salvate il banchiere (centrale) Draghi

dell’Avv. Jacopo Severo Bartolomei, Collaboratore stabilizzato cattedra diritto cost.le Roma III –Prof. Alfonso Celotto

Nell’ultimo mese, in coincidenza col periodo delle festività natalizie e d’inizio anno, la vita della Repubblica è risultata scandita da alcuni appuntamenti salienti: il discorso del Premier, l’approvazione della legge di Bilancio, il messaggio di commiato del Presidente della Repubblica e last but not least il Consiglio dei Ministri che ha varato l’ennesimo decreto legge in tema di emergenza sanitaria.

L’esecutivo ha deciso di procedere con d.l. n. 1/2022 all’introduzione dell’obbligo vaccinale generalizzato per tutti i cittadini con età superiore ai 50 anni e il Premier ha avvertito di indire un’apposita conferenza stampa per il 10.1.21 onde illustrare le nuove misure riportando indietro l’orologio del rapporto con l’opinione pubblica ai tempi del Conte uno, e delle dirette televisive a rete unificate stile Maduro. La peculiarità dell’appuntamento è che ha dichiarato che non avrebbe accettato domande sulla sua possibile o effettiva “quirinabilità”, con ciò volendo significare di esser ancora Premier a tempo pieno.

In forza delle nuove disposizioni adottate con d.legge, con entrata in vigore dal 15.2.21, si è posto da subito il problema delle limitazioni all’agibilità di numerosi Grandi elettori, che non potranno presenziare alla seduta inagurale del Parlamento in seduta comune fissata il 24 gennaio. Parimenti dovrebbe intendersi definitivamente esclusa l’ambizione per coloro i quali, al pari del sen. Gianluigi Paragone, fra i primi fuoriusciti dal M5S e fondatore di Italexit, ad aspirare all’elezione al Colle più alto, sono annoverabili tra i feroci critici, ancor prima che dell’estensione dell’obbligo vaccinale, della politica sanitaria continuata dall’esecutivo Draghi, in stretta continuità col precedente (continuità rappresentata dal Ministro della salute R. Speranza), con invocazione della riserva di legge per trattamenti obbligatori a tutela della salute pubblica ex art. 32 Cost. Con la protrazione dello stato di emergenza, tra l’indifferenza o l’assuefazione dei più si è introdotto, con la giustificazione del riacuirsi della pandemia, un varco per la violazione del diritto costituzionalmente  in tema di elettorato attivo/passivo e uno sbrego nella costituzione materiale regolatrice dell’ordinamento repubblicano, sancendo la natura minorata – da figli di una divinità di serie B – dei diritti di obiezione di coscienza, resistenza passiva  e tutela di minoranze dissenzienti, che non godono più in concreto diritto di cittadinanza primaria, nemmeno nel caravanserraglio dei mass media prevalenti. Ora gli organi parlamentari si cimentano nell’individuazione delle modalità più consone a garantire la partecipazione di tutti gli aventi diritto al voto, in modo da rispettare l’equilibrio dei rapporti di forza tra i gruppi parlamentari espressi dagli elettori o risultanti a seguito dei passaggi.

Infatti nella prima riunione del Consiglio dei Ministri, sebbene non integralmente verbalizzati dal sottosegretario Cons. Roberto Garofoli, sono emersi significativi contrasti all’interno della variegata coalizione della maggioranza; tali sensibili divergenze hanno indotto acuti osservatori a preconizzare o il trasloco (traslazione per volontà superiore, del noto “ce lo chiede l’Europa e i mercati finanziari”) di Draghi da Palazzo Chigi al Colle, ovvero la messa in discussione dell’indirizzo politico da “unità nazionale” cui sinora si è voluta improntare l’azione del potere esecutivo, avallata  da riacutizzazione dei contagi da COVID19 ad opera della cd. Variante omicron. A ciò si aggiunga la realistica constatazione che l’immunità di gregge non è stata raggiunta né è raggiungibile allo stato attuale dei vaccini disponibili, abbisognevoli di richiami a cadenza infrasemestrale (circostanza da sola deponente per loro intrinseca provvisorietà e sperimentalità).

L’aspetto positivo dell’affievolimento del ruolo del Premier, tuttavia, è che, in concomitanza con l’entrata nel vivo sia del dibattito che degli adempimenti procedurali (convocazione parlamentari e grandi elettori, con designazione dei delegati regionali , ad opera del Pres.te Fico, per prima chiama  a Montecitorio) i partiti politici, recte le formazioni rappresentate nei gruppi parlamentari, sono tornate a far sentire delle loro voci differenziate, onde cercare di indirizzare l’operato dell’esecutivo secondo loro programmi e ancor più le aspettative propri elettori.

È stato detto che sono accettabili “momenti di sospensione (della democrazia e/o del suo funzionamento) con l’intervento di un deus ex machina a tutela del sistema, ma non per molto: il prima possibile si deve tornare alla fisiologia del conflitto politico” (P. IGNAZI, Domani 7.1.22) concetto che storicamente, nella Roma repubblicana, era reso evidente dall’assoluta transitorietà (6 mesi) della carica didictator.

Tuttavia, questa è un’opinione impressionistica, perché se riandiamo ai due maggior esponenti della teoria generale del diritto del 900, abbiamo da un lato Carl Schmitt, secondo cui Sovrano è chi decide dello e sullo stato di emergenza (Le Categorie del Politico) e dall’altro lato, l’insegnamento di Hans Kelsen, secondo cui la democrazia è un regime ontologicamente procedurale (elettività delle camere e intrasmissibilità del potere aliunde), balza evidente come la stessa locuzione di “sospensione della democrazia” sia un concetto anfibologico; se la democrazia è per essenza un metodo, quando non lo si applica si fuoriesce dai suoi confini, né si può invocare un rimedio peggiore del male, altrimenti troveremo valida giustificazione per ogni golpe (da quello dei colonnelli ellenici a quello del generale cileno Pinochet).

Alcuni passi salienti del discorso in conferenza stampa di Draghi: “Il governo può andare avanti indipendentemente da me (…) Il mio destino personale non conta assolutamente niente. Non ho particolari aspirazioni di un tipo o di un altro. Sono un uomo e un nonno al servizio delle istituzioni” hanno segnato la vita dell’esecutivo ed aperto scenari per la corsa al Quirinale. Il Premier ha detto di aver compiuto la missione, con l’avvertenza che il metodo dell’esecutivo di salvezza nazionale da lui presieduto, non solo non deve dismettersi, bensi consolidarsi ed ampliarsi, in quanto la ricerca di una coalizione “la più ampia possibile” sarà la stella polare pure per la votazione ad opera del Parlamento in seduta comune. Alla formulazione indiretta della sua candidatura – in modo pure un po’ guascone, con il richiamo alla locuzione “nonno d’Italia” invalsa per la presidenza Ciampi – l’exgovernatore BCE ha accompagnato la condizione di un voto frutto di ampia convergenza, quasi plebiscitario da parte dei grandi elettori, col tentativo di coinvolgere pure forze minoritarie ora all’opposizione. I Partiti politici hanno dapprima reagito freddamente, poi alcuni leader hanno espresso critiche esplicite diversamente argomentate.

“La politica riconquisti il ruolo centrale della democrazia”, parola di Massimo D’Alema, ex premier ed ora in procinto di ritornare tra le fila del PD Lettiano. “La cosa che mi impressiona di più non è il fatto che abbiamo il governo Draghi, essendo questa una condizione di necessità, ma il tipo di campagna culturale che ha accompagnato questa operazione; i giornali scrivono sulla necessità di sospendere la democrazia e di affidarsi ad un potere altro, cioè il potere della grande finanza internazionale. Noi invece dobbiamo riguadagnare con intelligenza, senza velleità, il terreno della democrazia politica; a partire dalla vicenda delle elezioni del capo dello stato”.

Più articolato e meno tranchant, ma nella stessa direzione, il giudizio di Carlo Calenda, leader di Azione, che ha ricordato come il governo si sia “inceppato” compiendo dei passi falsi in almeno tre questioni decisive: a) -legge di bilancio debole e poco ambiziosa, inficiata di tatticismo nel contrasto a virulenza ripresa dell’infrazione (+3,9% su base annua, a dicembre); b)-il “mezzo“ obbligo vaccinale , con provvedimento inadeguato; c) -indebolimento coesione della maggioranza. Calenda, al posto di continuare “l’inutile gioco dell’identikit del prossimo” Presidente della Repubblica, suggerisce la pronta verifica della permanenza delle condizioni per la continuazione del Governo, giacché il capitale politico di Draghi non si mostra illimitato e occorre sincerarsi sulla volontà di Supermario di scalare il Quirinale. Infatti, la questione vera per l’Italia “non è più garantire” ma dimostrare capacità a sbloccare un paese ingessato da tre lustri di mancato sviluppo e di stallo dell’ascensore sociale, con l’impoverimento del ceto medio.

L’Italia si è incamminata sul viale del tramonto, cioè in direzione di un drammatico declino in termini demografici, socioeconomici e geopolitici.

Se è vero che il costituente ha delineato la figura di un arbitro imparziale ed ha indicato un metodo di collegialità super-partes per individuare la persona migliore, il concreto atteggiarsi della Suprema magistratura repubblicana nei periodi di crisi ha rivelato poteri ulteriori e di maggior invadenza che quelli propri di un’asettica funzione notarile. Ecco perché nella pretesa di aver “pescato Jolly” (Matteo Renzi) a tutti i costi al Quirinale, onde prolungare gli effetti positivi del suo ruolo da Capo dell’esecutivo, risiede un paradosso insolubile, giacchè le funzioni del Presidente della Repubblica sono di tutt’altro tenore, e nemmeno possono tramutare in quelli di un regime presidenziale de facto, se non col pericolo di un grave vulnus istituzionale.

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Sul discorso di Mattarella, occorre evidenziare – in via pregiudiziale e preliminare, con gergo curiale – il mancato scioglimento, in via definitiva ed irreversibile, del dilemma se il messaggio fosse quello consueto a cadenza annuale ovvero quello di commiato a fine settennato. Mattarella è stato nel complesso un discreto Presidente della Repubblica, un monarca repubblicano discreto, ma un’onta indelebile ha macchiato e vieppiù macchierà il giudizio sul suo mandato: il mancato scioglimento del CSM dopo les affaires Saguto e Palamara , il silenzio sulla decapitazione prima del vertice (cooptato) della Procura di Roma e poi di quelli della Corte di Cassazione, dopo l’annullamento eclatante da parte del Consiglio di Stato.

Guardacaso proprio il capitolo sulla riforma della giustizia e sul riassetto della magistratura è stato del tutto assente nel discorso televisivo andato in onda il 31.12.21.

La sessione di bilancio ha rappresentato un’altra pagina commendevole dei rapporti dell’esecutivo con l’attuale “Paludoso” Parlamento: l’approvazione della legge con il voto di fiducia sul maxiemendamento, senza alcuna reale discussione parlamentare, col pretesto di non scivolare nell’esercizio provvisorio di bilancio – evenienza agitata come uno spauracchio – ha segnato una ennesima riprova della dequotazione del ruolo del Parlamento con grave danno alla democrazia (cfr. Salvatore SFRECOLA, Esercizio provvisorio del bilancio e democrazia parlamentare, 27.12.21, in Un Sogno Italiano).

Da ultimo la caratura istituzionale o di unità nazionale del Governo del Presidente avrebbe dovuto comportare una più incisiva attività nell’approntare la legge elettorale (sebbene prerogativa del Parlamento) e nella disciplina attuativa (rimodulazione delle circoscrizioni elettorali), per non dare l’impressione al disorientato elettorato che al demagogico quasi unanimismo nelle indicazioni di voto per il referendum approvativo ex art. 138 Cost del 2020, ha fatto e continua a far  da pendant lo sforzo di arrivare sino all’ultimo giorno della corrente legislatura “allargata”, perché prima della riduzione del numero si è spaventati dalla non ricandidatura e soprattutto della non rieleggibilità.

Nell’imminente rush finale, assisteremo all’intensificarsi delle invocazioni pro Supermario al Quirinale, fino a lancio di un vero e proprio appello: “SALVATE IL BANCHIERE (CENTRALE) DRAGHI”.

Il rincorrersi delle voci che il Premier Draghi – garante dell’Italia nei confronti UE e dei mercati finanziari in generale – possa ascendere al Colle, pone in fibrillazione il sistema politico ed il mondo economico; sia perché Draghi sta tenendo insieme una maggioranza parlamentare amplissima, un’inedita conventio ad includendum, sia perché il debito pubblico italiano è destinato a risentirne, con l’innalzamento da 100 a 140 dello spread, il differenziale con i titoli di stato tedeschi.

Tra quanti sostengono la giusta tesi della fisiologica supremazia della politica rappresentativa sul potere dei tecnocrati – dalle cui fila proviene il Premier, figlioccio di Ciampi – deve annoverarsi Massimo D’Alema, che ha senza mezzi termini stigmatizzato il trasloco come “un’abdicazione della politica in favore del potere della grande finanza internazionale”. Invece, tra quanti sostenitori della realpolitik giudicano impraticabile la soluzione Draghi, in quanto nessun altro “papabile” Presidente del Consiglio riuscirebbe nell’impresa di mantenere in equilibrio una maggioranza così eterogenea sino alla scadenza naturale della legislatura, l’exgovernatore BCE ha visto salire le sue quotazioni. Questo trend è auspicato e assecondato dalle grandi testate giornalistiche, italiane e pure internazionali (The Economist, The New York Times, etc,)

Perché nell’attuale contesto al Capo dello Stato non è più meramente richiesto di rappresentare l’unità nazionale ex art. 87, comma primo, Cost. nonché presiedere gli organi apicali delle forze armate e della magistratura, bensì pure farsi Garante in Europa dell’affidabilità dell’Italia come sistema Paese, è agevole intuire che in tale ruolo Supermario non tema confronti.

Il Governo delle Banche mondiali, con lo spartito dettato dalle esigenze dei mercati finanziari, si avvicina e la democrazia recede a ideale desueto, buono ad essere usato “come un dentrificio” (Massimo Severo Giannini).

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