di Salvatore Sfrecola
Giornali e televisioni hanno dato notizia della elezione, all’unanimità, di Giuliano Amato a Presidente della Corte costituzionale. Giurista insigne, costituzionalista raffinato, autore di testi che costituiscono un riferimento imprescindibile, definito anche il “dottor Sottile”, per la sua capacità di individuare soluzioni per le vicende più complesse, di Amato sono state ricordate anche le esperienze politiche, da ministro del Tesoro, dell’interno, delle riforme costituzionali, Presidente e Vicepresidente del Consiglio dei ministri, uomo di punta del Partito Socialista Italiano ai tempi di Bettino Craxi.
Nessuno, tuttavia, ha avuto il dubbio che, con tale curriculum “politico”, il giurista Amato non doveva essere nominato giudice della Corte costituzionale, cioè componente di quel Collegio che deve dire se una legge approvata dal Parlamento, quindi di iniziativa politica, sia o meno conforme alla Costituzione ed ai suoi principi.
Credo che qualunque cittadino di buon senso, di quelli che credono nella indipendenza e nell’autonomia di chi è chiamato a giudicare, ritenga che i giudici e, quindi, anche i giudici “delle leggi”, debbano non solo essere indipendenti, e questo è fuori discussione, ma anche apparire tali agli occhi del popolo italiano in nome del quale emettono le sentenze. Pertanto, la scelta di un politico “di razza” come giudice della Consulta appare inopportuna, anche perché costringe il nominato ad una defatigante astensione quanto meno psicologica rispetto a vicende ad atti normativi d’iniziativa di parlamentari o di ministri della propria area politica.
Ugualmente, i giudici, che dovrebbero parlare solo con le loro sentenze e non far sapere prima come la pensano su temi di rilievo lato sensu politico, come sui temi etici e sulle grandi questioni della società, dovrebbero fare a meno di parlarne nei convegni e nei congressi. Ed i Presidenti della Corte costituzionale dovrebbero evitare nelle interviste e nelle relazioni annuali di enunciare tesi su temi etici, consigliando il Parlamento ad intervenire indicando una delle soluzioni possibili, così individuando in qualche modo le linee della legislazione che preferiscono, mettendo, altresì, in mora la classe politica che nella sede propria della funzione legislativa fa esercizio di quella sovranità che, ai sensi dell’art. 1 della Costituzione, appartiene al popolo.
Il fatto è che la smania di apparire, di farsi notare, di “prendere la scena”, perché ne parlino i giornali e le televisioni ha evidentemente un fascino al quale l’umana vanità non sa sottrarsi. E così Giuliano Amato, appena eletto Presidente non solamente ha fatto quella che i giornali hanno definito una lezione di diritto costituzionale, che è la sua materia, sul Presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo, ma ha toccato anche temi sui quali vi è una variegata espressione di sensibilità. E se ha fatto osservare, con la sua solita verve, utilizzando una metafora, che “i sistemi costituzionali sono come gli orologi, e non è detto che sostituire la rotella di un ingranaggio prendendola da un altro faccia funzionare il meccanismo allo stesso modo; le rotelle sono tutte collegate fra loro e l’orologio funziona solo se gli ingranaggi si incastrano uno con l’altro”. Per dire che “non si può adottare l’elezione diretta senza intervenire sull’intero impianto costituzionale”. Poi ha ricordato che “negli ultimi anni i conflitti sono diventati di valori. Cos’è la famiglia? Cos’ è il genere? Quanta sicurezza e quanta libertà? Questi sono conflitti più impegnativi, nei quali ci possono essere posizioni difficili da comporre. Bene, buona parte delle questioni che ci siamo trovati ad affrontare in questi anni, vanno a toccare esattamente questi temi… Sono questioni su cui la Costituzione dice chiaramente: la soluzione non va. Però non dice con altrettanto chiarezza quale soluzione devi sostituire a quella. E qui la collaborazione tra la Corte e il Parlamento diventa essenziale”. I temi sono noti: l’ergastolo ostativo, il fine vita, il cognome materno e paterno, che non è questione marginale in quanto indentifica la famiglia nella successione delle generazioni.
Sono temi sui quali, a mio avviso, il Presidente della Corte costituzionale avrebbe il dovere di tacere per non farsi paladino di una delle tesi a confronto in Parlamento e nel Paese. Ma la tesi di Amato è che “la collaborazione con il Parlamento è fondamentale”. E qui emerge il politico che vorrebbe indicare la soluzione, non attendere le decisioni delle Camere. È un’invasione, sia pur garbata, di campo. Ad esempio, dire che “i ragazzini sono privi di un’identità a cui ancorarsi”, è espressione equivoca, alla quale ne aggiunge un’altra, quanto meno opinabile, secondo la quale “alle spalle c’è una famiglia che non parla, che non a cosa dire”. S’incammina in un sentiero impervio irto di ostacoli e da giurista invade campi della sociologia e della psicologia sociale. Unicuique suum, è regola sempre valida, che esprime la consapevolezza dell’umiltà del sapiente.