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La rielezione di Mattarella ed il riproporsi di nodi irrisolti

Maggiore è il carisma dell’istituzione

più agevole la successione

                                                                              Alfonso CELOTTO

di Jacopo Severo Bartolomei, Collaboratore stabilizzato presso cattedra di diritto costituzionale – Università Roma III

I. Gli annali della storia costituzionale italiana hanno registrato, per la seconda volta nell’arco di meno di un decennio, la rielezione del Presidente della Repubblica, che a norma degli artt. 83-85 Cost. è eletto dal Parlamento riunito in seduta comune in composizione integrata, e resta in carica per sette anni.

La reiterazione della circostanza non costituisce dato neutro per la disamina di funzionalità dell’ordinamento costituzionale, ma è il sintomo, oltrechè di una evidente incapacità del ceto parlamentare di concordare un nominativo per la Suprema magistratura repubblicana, di un sistema politico ripiegato su se stesso, del preteso motore del dinamismo dell’organizzazione costituzionale inceppato e statico; un Parlamento riluttante ad accettare l’evoluzione del quadro complessivo nel senso di  mancata conferma a prossima tornata elettorale della maggioranza dei suoi membri, non solo per la legge di revisione costituzionale n. 1 del 2020, e quindi ossessionato dalla propria autoconservazione, così da tramutarsi in organo di mera autoreferenzialità.

II. Qui si vuole tentare, alla luce di considerazioni di commentatori e dei rilievi di vari opinionisti, una opera di comparazione diacronica, raffrontando il contenuto ed il tenore dei rispettivi discorsi di reinsediamento di Giorgio Napoletano (20 aprile 2013) e Sergio Mattarella (3 febbraio 2022), per rintracciarne elementi di prossimità e segni di discontinuità, nell’ambito della valutazione della metamorfosi dell’Istituzione presidenziale dagli anni 90 in poi.

I due discorsi sono accomunati dall’esordio di ringraziamento per la rinnovata fiducia e dal finale contrassegnato dalla standing ovation, sebbene entrambi i Presidenti nel corso del rispettivo primo settennato – Sergio Mattarella quasi ossessivamente negli ultimi mesi, in coincidenza con la coda del semestre bianco, e senza lesinare citazione di predecessori  – non avessero celato di ritenere in chiave sistematica la rielezione “una forzatura costituzionale” sotto diversi profili.

La durata dei due discorsi è stata speculare, poco sotto i 40 minuti, ovazione finale esclusa; impegnativi i temi affrontati e solenne l’atmosfera, subito dopo il rito del giuramento di fedeltà alla Repubblica e osservanza indefessa alla Costituzione, previsto dall’art. 91 Cost.. D’altronde, nell’ultimo biennio del proprio mandato – cd. fase da  “picconatore”, il Presidente F. Cossiga  non si è limitato all’ inagurazione della stagione delle esternazioni, ma si è sospinto in orgogliosa rivendicazione dell’ampiezza dei poteri presidenziali (“ho spianato la strada a tutti loro e adesso non li ferma più nessuno…il Capo dello stato ha un sacco di poteri; i nostri poteri sono altissimi e vaghissimi, imprecisati e imprecisabili….poteri che vanno dunque interpretati e all’occorrenza dilatati. Ed è qui che potrebbe sorgere un problema, perchè l’ambiguità di queste funzioni, per come sono scritte, è contro la certezza del diritto e potrebbe in futuro indurre qualche presidente a far politica in proprio”, cit. in Marzio Breda, CAPI SENZA STATO. I Presidenti della Grande Crisi italiana, Marsilio Venezia 2022).

E‘ nella successiva travagliata presidenza di Oscar Luigi Scalfaro che la dilatazione “a fisarmonica” dei poteri presidenziali – secondo  la locuzione di Giuliano Amato, frutto di proficua elaborazione della tesi di Carlo Esposito, per cui i Presidenti della Repubblica diventano i “reggitori dello stato nei momenti di crisi del sistema”  -riceve la sua definitiva consacrazione con la sempre più fitta ed incisiva interlocuzione con governo, parlamento e magistratura. L’inquilino del Colle realizza che il discreto esercizio della moral suasion si appalesa insufficiente, e di fronte alla constatazione di “un’opinione pubblica sconvolta ed inclinea lasciarsi sedurre dagli estremismi”, teorizza un programma di pedagogia civile imperniato sull’alfabetizzazione della gente sui valori costituzionali, ed assume  in coincidenza con le ricorrenti crisi governative, svariate iniziative di esternazione, sotto forma pure di appelli o veti (memorabile quell'”Io non ci sto!” ad esser accomunato col malaffare dei tangentopoli, nel contesto dell’inchiesta sui fondi riservati del Ministro dell’Interno).

Con il periodo di Scalfaro, il Presidente dismette l’abito di arbitro neutrale, e diventa fattore di condizionamento propulsivo, per cui le esternazioni non solo si infittiscono ma anche penetrano nei gangli decisionali della dialettica politica; il suo mandato 1992-1999 segna una contraddizione insanabile, perchè il piemontese-novarese che si era ripromesso il ritorno alla fedeltà dell’ortodossia costituzionale, così rimarcando la soluzione di continuità con le effervescenze verbali del predecessore, finisce per diventare il primo e più penetrante “presidente governante”, certificando la fine della forma di governo parlamentare razionalizzata classica.

Il sistema subisce una metamorfosi incisiva ed irreversibile, in quanto le occasioni di esternazione o messaggio se non tassative, si ritenevano tipizzate: all’atto assunzione incarico, in occasione del rinvio motivato in sede di mancata promulgazione atti normativi, in coincidenza con la fine anno nel tradizionale messaggio agli Italiani.

III. Nel quadro di evoluzione e trasformazione dell’Istituzione apicale, il discorso di reinsediamento di un Presidente assume una valenza speciale, che da un lato traccia un bilancio del tipo “stato dell’unione” assimilabile a quello del Presidente federale USA, dall’altra parte si carica dei toni di Manifesto di programmazione costituzionale.

Per sviluppare il ragionamento del raffronto, dobbiamo notare che, seppur numerosi in entrambe le occasioni siano stati gli applausi intervallanti le rispettive allocuzioni (con la significativa differenza che i parlamentari del M5S non applaudirono Napolitano, mentre ora quelli di FDI seppur dissenzienti hanno ora concorso all’applauso in chiusa del discorso ), assai differenti sono risultati non solo stile e tenore dell’eloquio – in cui più direttamente si rispecchia la singolare commistione di formazione esistenziale con la sensibilità politico-costituzionale – bensi il contesto nazionale ed internazionale, in cui i presidenti lo hanno esposto innanzi al Parlamento in seduta comune integrato dai delegati regionali. Inoltre nel primo caso il Presidente espressamente aveva palesato il proposito di un‘interruzione anticipata nello svolgimento del mandato, poi verificatasi con le dimissioni nel 2015, mentre Mattarella sembra aver escluso siffata eventualità, lesiva della dignità della carica.

Il discorso di Napolitano è stato improntato all’insegna di una “vibrante” rampogna rivolta ai partiti politici, tanto che esso si potrebbe compendiare con lo schema oratorio del monologo-invettiva di shakesperiana memoria; i partiti politici vengono aspramenti criticati ed il loro operato stigmatizzato apertis verbis,  in quanto impegnato a far prevalere non già l’interesse comune ma “contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa le scelte da compiere, calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalizzazioni”.

L’obiettivo perseguito dal Presidente, ben oltre la consueta opera  di moral suasion, si ripropone espressamente di indicare ai partiti presenti in Parlamento la direzione da intraprendere senza indugio, lungo la strada delle riforme di grado costituzionale e ordinario, tra cui in primis la revisione della legge elettorale.

IV. La normativa sulla legge elettorale – che, come noto, in Assemblea costituente si pretendeva di livello primario, con tutte le conseguenze annesse, in termini di rigidità e di inammissibilità di suscettibilità a sottoposizionea referendum abrogativo ex art. 75 Cost. – costituisce l’architrave della funzionalità e stabilità di un regime politico, il quale è la risultanza della combinazione di una forma di governo (parlamentare, presidenziale, semipresidenziale, etc.) con un dato sistemi di partiti (ad es. Bipartitismo del cd. Modello windsor, il multipartitismo temperato, etc.).

Bene fece nel 2013 Napolitano a richiamarvi l’attenzione, perchè l’opzione per un sistema elettorale coerente con il parlamentarismo razionalizzato, è rimasto un nodo spinoso irrisolto dal 1993, cioè da quando il referendum abrogativo sulla preferenza unica promosso da Mario Segni, occasionò il varo del Mattarellum e la riconfigurazione dei collegi elettorali; ora dopo la riforma del famigerato Porcellum, ed una pronuncia della Corte costituzionale, vige il Rosattellum, un sistema elettorale misto, proporzionale al 64% e per il resto maggioritario, ma il problema è tutt’altro che appianato.

Infatti la legge elettorale, rientrando nel tema delle regole del gioco, abbisogna sia del massimo dibattito ed ampia condivisione, che di una sua scrittura astraendo dalle concrete congiunture (sondaggi di opinione) ed aspettative dei partiti (schieramenti e coalizioni, per possibile candidato premier); a tal proposito si afferma che la sua scrittura debba avvenire secondo la nota metafora filosofica del “velo di ignoranza” (John Rawls, A theory of Justice) ,mentre in realtà sinora si è costantemente proceduto col “pallottoliere in mano”.

V. Procedendo a sommaria disamina dei contenuti e funzione del discorso di reinsediamento di Mattarella, si rappresenta l‘espressa esclusione della parte sulle magistrature e sulla giustizia, in quanto l’operato o meglio il lacunoso se non infingardo operato del Presidente quale Capo del CSM, in concomitanza con le gravi vicissitudini occorse nel passato settennato, fanno sì che all’argomento debba essere dedicata apposita sessione, non bastando alcuni moniti e richiami a far dimenticare l’incredibile concessione di tre elezioni suppletive, per avvalorare la tesi criticabile della carenza del potere di scioglimento extraordinem dell’organo di autogoverno (espressione invalsa tra i membri CSM, su cui in questa circostanza si è preferito glissare)

Il discorso di Mattarella riconosce che “è per me una nuova chiamata – inattesa – alla responsabilità, alla quale tuttavia non posso e non ho inteso sottrarmi…..La lettera e lo spirito della nostra Carta continueranno a essere il punto di riferimento della mia azione”.

Il Presidente ci ha tenuto a fornire una chiave di lettura, in senso di debita assunzione di responsabilità, al revirement dell’accettazione del secondo mandato, affermando che “queste attese del popolo sarebbero state fortemente compromesse dal prolungarsi di uno stato di profonda incertezza politica e di tensioni”, con conseguenze atte a porre a rischio anche risorse decisive e le prospettive di rilancio del Paese, impegnato nella fuoriuscita dalla stagione pandemica.

Non solo il protrarsi delle tergiversazioni, con il pervenimento a votazioni a maggioranza assoluta senza una designazione condivisa e dopo aver bruciato la candidatura del Presidente del Senato, indicata da coalizione di centrodestra, ma le ripercussioni sullo scenario socio-economico, con l’innalzamento dello spread a livelli pregoverno Draghi e il riaffacciarsi delle tensioni sui mercati finanziari, in un contesto internazionale di forte innalzamento dei costi energetici e dei prezzi di alcune basilari materie prime.

La roadmap additata si dipana all’insegna di una raccomandazione dal tenore imperativo: “Non possiamo permetterci ritardi, nè incertezze”. Non rientra nello stile del Presidente il tono di rimbrotto o rampogna, riscontrabile invece all’indirizzo dei partiti nel discorso di Napolitano; tuttavia in questi passaggi si ritrova il richiamo stentoreo ad una assunzione di responsabilità collettiva, affinchè non si disperdano occasioni irripetibili di riscatto, dopo decenni di mancata crescita economica, ristagno sociale e da ultimo crisi sanitaria senza precedenti nel secondo dopoguerra.

“Questa ripresa, per consolidarsi e non risultare effimera, ha bisogno di progettualità, innovazione, investimenti nel capitale sociale, di un vero e proprio salto di efficienza del sistema-Paese…….Un’Italia che sappia superare il declino demografico a cui L’Europa sembra condannata”. Dopo l’appello al rilancio del processo di costruzione europea ed all’indefettibile apporto alla Conferenza sul futuro del vecchio continente, il Presidente sprona i popoli della UE alla consapevolezza del ruolo di sostegno ed implementazione dei processi di stabilizzazione e di pace “nel martoriato panorama mediterraneo e medio-orientale”.

Una attenta riflessione si deve prestare al cuore del discorso incentrato “sul funzionamento della nostra democrazia……un’autentica democrazia prevede il doveroso rispetto delle regole di formazione delle decisioni, discussione, partecipazione….occorre evitare che i problemi trovino soluzione senza l’intervento delle istituzioni a tutela dell’interesse generale ….vanno tenute unite due esigenze irrinunciabili; rispetto dei percorsi di garanzia democratica e tempestivita delle decisioni. Per questo è cruciale il ruolo del Parlamento, come luogo della partecipazione….senza partiti coinvolgenti, così come senza corpi sociali intermedi la democrazia è asfittica, quindi bisogna favorire una stagione di rinnovata partecipazione, in primis dei giovani“

Tuttavia la auspicata riattivazione del circuito virtuoso della rappresentanza politica, nel contesto di una rinnovata stagione di partecipazione popolare, potrebbe ridursi a mero espediente retorico, a raffronto della percentuale di partecipazione all’elezione suppletiva per il collegio di Roma 1, dopo l’ascesa al Campidoglio on.le Roberto Gualtieri.

Rammentando il pensiero di uno dei più disincantati teorici della scienza politico-sociologica contemporanea, possiamo citare che:” Se negli ultimi decenni la democrazia si è indebolita, ciò non significa che viviamo in società predemocratiche o non democratiche. Le conquiste della democrazia hanno lasciato una importantissima eredità di pratiche, atteggiamenti, valori e istituzioni….Tuttavia nella postdemocrazia è proprio la sopravvivenza delle istituzioni e delle consuetudini democratiche a impedirci di vedere quanto si sia indebolita la democrazia: le sue istituzioni e consuetudini sopravvivono, ma l’energia reale del sistema politico è ormai nelle mani di una ristretta elite di politici e ricchi capitani d’industria, ed è sui desideri di questi ultimi che la politica tende a orientarsi sempre più“;

I problemi della regolamentazione bancaria internazionale, dell’evasione fiscale, della concorrenza sulla tassazione delle imprese e dei rischi ambientali possono essere risolti solo con frontiere nazionaliermetiche (cosa impossibile) o con istituzioni transnazionali. Perciò la democrazia si trova tra l’incudine e il martello: non si può tornare al mondo precedente la globalizzazione,ma la globalizzazione ci spinge senza dubbio verso condizioni politiche di estrema debolezza della democrazia“ (Colin CROUCH, Combattere la Postdemocrazia, Laterza, Bari 2020, rispettivamente pgg. 5 – 99)

Si è inagurato il settennato bis del Presidente Mattarella all’insegna di grandi attese e rinnovate speranze, ma le ragioni di debolezza della democrazia restano intatte ed il nodo del degrado del circuito culturale (università, mass-media, etc.) rimane tutto da affrontare e lungi dal poter esser agevolmente risolto nel breve periodo.

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