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Intervista al Preside Prof. Michele D’Elia: Licei quadriennali, una moda. I miei colleghi dirigenti scolastici prima di entusiasmarsi dovrebbero farsi delle domande*

“Licei quadriennali? Non bisogna ridurre la scuola a una serqua di bigini. I miei colleghi dirigenti scolastici prima di entusiasmarsi dovrebbero farsi delle domande”.

Ci va giù duro il professor Michele D’Elia. Classe 1945, una carriera di preside di varie scuole medie e poi dello storico Liceo Scientifico Statale “Vittorio Veneto” di Milano sino al 2012. Cultore universitario della propria materia, giornalista pubblicista, autore di varie pubblicazioni e pure di un noto manuale di Storia per la scuola media, dal titolo Progresso Storico, (Ed. Trevisini, 1988), adottato in tutta Italia, il tema dell’accorciamento del percorso scolastico degli istituti di istruzione secondaria di secondo grado, portato all’attualità da un bando ministeriale a dicembre scorso – che alcune scuole hanno approvato, mentre altre lo hanno bocciato nelle tante varie riunioni del collegio docenti improvvisate con buona volontà nel pochissimo tempo messo a disposizione – investe secondo lui la politica, non sempre in grado di fare e di dare il meglio alla nostra scuola. “Purtroppo – chiarisce D’Elia – molti cavalcano la moda delle superiori di quattro anni immaginando mirabolanti esperienze di vita a 17 anni, concetto già espresso dagli ‘sperimentatori’ in  altre occasioni negli scorsi anni. Essi non considerano che all’estero apprezzano il nostro modello: posso dirlo per esperienza diretta, considerando insoddisfacente la scuola superiore di quattro anni. Per noi sarebbe un regresso. I nostri governanti, e chi li segue o precede, sostengono l’esatto contrario. E’ avvenuto così anche per  la laurea triennale, che nessuno studente universitario apprezza, anche su questo ho esperienze  personali”. E ancora: “Tale convinzione fa il paio con la proposta del Segretario Generale del PD, Letta, di estendere il diritto di voto ai sedicenni. Il conformismo domina la nostra Società”.

Lei nota davvero del pressappochismo nella nostra classe dirigente, preside D’Elia?

“No, no. Scriva pure che c’è ignoranza.

Ignoranza, addirittura?

“Ignoranza del sistema scolastico, dei meccanismi che regolano la vita della nostra scuola. Per comprendere compiutamente quel che voglio dire occorre fare una breve premessa che ci porta alla Legge Casati”.

Un bel salto indietro

“La legge Casati del 13 novembre del 1859 introduce l’istruzione tecnica, divisa in due cicli di tre anni. Poi l’istruzione tecnica si arricchisce, con contenuti di carattere generale e culturale. E questo fu davvero un bel salto. Poi arriva la Riforma Gentile e siamo nel 1922. E che cosa si fa con la Legge Gentile? Si sperimenta, dal 15 ottobre 1923, il liceo scientifico di quattro anni. La sperimentazione finisce dopo i quattro anni previsti, e si valuta, alla fine del percorso, che questo lasso di tempo non è stato sufficiente a un dipomato di un liceo scientifico per formarsi in maniera adeguata. Pertanto, nel 1930 si definisce il nuovo percorso del liceo scientifico – che è una nobilitazione della sezione fisico matematica degli istituti tecnici e delle altre scuole – portandolo a 5 anni. E oggi – veniamo all’oggi – che si fa? Si pensa di riportare il percorso degli studi della secondaria superiore di nuovo a quattro anni?”

Così pare, almeno nelle sperimentazioni che il goveno ha pensato di avviare

“Se è così, la prima domanda che dobbiamo porci è: ma perché dobbiamo tornare indietro?”

Lo dica lei

“Io dico di no. Noi abbiamo la necessità che i ragazzi semmai maturino negli studi, che vengano formati affinché affrontino bene il mondo del lavoro e l’università. E abbiamo un esempio concreto, che contraddice in pieno ciò che sta avvenendo. Abbiamo avuto cioè l’istituto magistrale che per secoli ha avuto la durata di quattro anni 4 anni, come si ricorderà. Alla fine però lo abbiamo portato a cinque anni. L’abbiamo prima chiamato istituto socio-psico-pedagogico, poi da qualche anno liceo delle scienze umane. Riassumendo: prima non andavano più bene i quattro anni – neppure per il solo magistrale visto che li abbiamo portati a cinque. E ora? Torniamo indietro? Ma questa è una contraddizione in termini gravissima”.

Si dice che l’innovazione si renda necessaria allo scopo si preparare al più presto i giovani ad aprirsi al mondo.

“Ma non è così. Ci sono due fattori da considerare. Secondo alcuni la scuola superiore apre al mondo. Ma insisto, non è vero: tu apri al mondo il giovane quando il giovane è solidamente preparato. Ad esempio, l’università come reagisce a questo eventuale accorciamento del percorso? Se c’è il numero chiuso, che fanno poi? Un anno propedeutico? A che cosa serve a questo punto accorciare?”

Qual è il secondo fattore?

“Consiste nell’incongruenza che sta nel fatto che ci troviamo davanti a un accorciamento del percorso universitario. Le università sono state portate a tre anni con laurea europea, voluto da Berlinguer, AllegreBlackstone eRüttgers. Alcune delle nazioni coinvolte avevano già questi corsi di tre anni e quindi ne hanno aggiunto due. Noi che avevamo percorsi di quattro anni di studi universitari siamo stati costretti a portarli a cinque (con il cosiddetto 3+2, ndr). Stiamo ripetendo per la scuola superiore gli stessi errori. Questa frettolosità non apre al mondo del lavoro. Peraltro, non necessariamente puoi aspirare a un lavoro con un dipoma quadriennale. Allora io credo che si tratti di una scelta demagogica e di fumo, per far vedere che si produce. E si crea nei ragazzi – ed è questo il motivo più grave – l’illusione che con questo accorciamento si trovi per loro un futuro dignitoso e un’occupazione. Invece nascerebbero delle frustrazioni e dei frustrati. Qualunque studio sui tempi di maturazione contraddicono questa idea. Per ridurre un percorso da cinque a quattro anni devi tagliare”.

La legge dice che la riduzione non può comportare dei tagli importanti sull’orario e sostanziali sui contenuti

“Se non tagli comprimi. Come è successo per la storia”.

Che cos’è successo con la storia?

“Con la riforma Berlinguer si decise che qualunque ultimo anno dei vari cicli di studio fosse destinato a sviluppare il Novecento e di conseguenza che gli Arabi e tanti altri argomenti anche se non da eliminare sarebbero stati sviluppati nei loro concetti generali. Poi però si arriva in prima media che non si sono fatti alcuni argomenti fondamentali per la comprensione della storia.

Spesso non si è capito che molti docenti delle medie e delle superiori non sono dei novecentisti. Io ad esempio sono un professore di storia e filosofia ma non sono un novecentista, a meno che non mi dedichi a questi studi. Per concludere: sto presagendo una distruzione dello stesso tipo per la scuola superiore. La mania di accorciare è praticamente una maniera per indorare la pillola, disossare la scuola. Stiamo assistendo a una distruzione metodica del nostro ordinamento scolastico, togliamo un pezzetto per volta e poi abbiamo dei ragazzi che arrivano all’università e non sanno neppure scrivere. Si rischiano situazioni di incultura. Ma io ho avuto nella mia scuola una ragazza che veniva dall’Alaska per studiare latino, italiano, storia, filosofia, materie che da loro non fanno. Ma come fa un ragazzo che ha frequentato un istituito tecnico a stare in un posto dove si produce, arrivandovi con un anno in meno di studio? Inoltre mi chiedo: com’è che si accorcia? Si toglie una materia oppure si riducono in pillole le materie già presenti? I miei colleghi prima di entusiasmarsi dovrebbero farsi delle domande. Un ragazzo che ha fatto quattro anni di liceo invece che cinque anni chi lo piglia a lavorare?”

Il bando del Ministero e la normativa che regola la materia prevedono, come detto, che non si tagli nulla ma che si comprima in quattro anni il percorso, aumentando le ore settimanali di lezione.

“Ma questi scienziati non lo sanno che la curva dell’attenzione degli studenti dopo 45 minuti inizia a scendere? Come si fa a tenere per sei ore e oltre i ragazzi incollati in aula? Docenti e alunni sono diventati all’improvviso dei geni? Ma lo studente in questo modo si convincerà  negli anni che si può fare tutto in minor tempo e tenderà a diventare superficiale anche sul lavoro. Sono cortine fumogene. Le materie sono le stesse ma, se tu me le riduci in pillole, poi tu hai uno che crede di sapere ma non sa. Vuol dire che si affiderà a Internet e saprà ancora meno. Viene meno il concetto fondamentale di capacità critica. Se non ho una base solida di conoscenza critica non posso criticare ciò che non conosco. Le astrazioni si perdono. Se non hai l’abitudine di compulsare un testo, se la perdi, se viene meno quel sistema di severità, nel senso buono di preparazione, come cittadino ti faranno bere tutti gli intrugli che vogliono. La scuola serve a formare un cittadino consapevole, ma se gli togli gli strumenti per indagare la realtà lo si manovra come si vuole. Chiunque, non solo i politici. Qui i guai iniziano dalla scuola primaria”.

In che senso, preside?

“Nel senso che a furia di dire che la grammatica non serve, i ragazzi non sanno più scrivere. La nostra scuola elementare era un modello. Io sono stato all’estero per visite e viaggi di studio. Peraltro, il fatto che avessero scuole dove si insegnasse il latino era una cosa super, ma noi abbiamo poi eliminato le ore del latino”.

Molti docenti si chiedono se davvero ci fosse tutta questa fretta

“Cui prodest? Io pubblicai nel 2014, in tempi non sospetti, un articolo in cui denunciavo questa cosa, che serve a chi vuole sfasciare la scuola. Quale vantaggio può trarre la società italiana da questo accorciare continuo? Le motivazioni sono soltanto una superficiale demagogia. Tenga conto che la Bocconi anni fa propose la laurea biennale e gli stessi studenti si sono ribellati. Io incontro ancora studenti della mia scuola che mi dicono: preside, noi siamo contenti di avere studiato tanto, perché con quella preparazione andiamo dovunque. Sono pensionato, potrei disinteresarmi ma se la scuola ti entra nel sangue, ti entra e vai avanti. Ma io parlo spesso con i ragazzi all’università, quando faccio gli esami. Sono cultore della mia materia presso l’ateneo. Questi stessi studenti che parlano con me mi dicono: accorciamo ma poi alla fine io devo per forza fare la laurea quinquennale, perché le aziende non accettano la laurea triennale. I ragazzi le cose raffazzonate non le vogliono. I ragazzi di oggi sono più svegli, hanno capito che queste scorciatoie fumose e labirintiche non servono loro, li danneggiano, perché se così non fosse la maggioranza dei ragazzi si terrebbe i tre anni e invece no, vanno avanti. Ma queste cose non le pensano coloro che portano avanti le innovazioni? Insisto: avamo la scuola di quattro anni sperimentale, quella della Legge Casati, e l’abbiamo portata a 5 anni, e ora torniamo indietro? Aggiungiamoci pure l’esperienza delle magistrali”.

Intanto si assiste, ogni anno di questi tempi, alla corsa alle iscrizioni al liceo. Segno che gli studenti dopotutto vogliono studiare. Che cosa ci segnala questo dato?

“La corsa alla scuola di cultura, ai licei, ci segnala che abbiamo un popolo che vuole acculturarsi e la scuola che fa il contrario. I licei attraggono anche dall’estero. Chi viene dall’estero va ai licei, non va ai tecnici, e questo che cosa vuol dire? Vuol dire che viene qui perché c’è il latino e i più arditi si fanno anche il greco. Ma come si fa a tagliare la grammatica? Certo, si può fare: si taglia e stop. Ma la scuola deve andare incontro alle esigenze culturali e a quelle di maturazione temporale, la natura non fa salti. La scuola deve seguire i tempi di maturazione del giovane, non li deve forzare. Non bisogna ridurre la scuola a una serqua di bigini. Ed è brutto il sistema di far passare in maniera indolore le più gravi riforme, un po’ di scuole alla volta per dire: l’esperimento ha funzionato. Ma non è così che si lavora, ci vogliono degli esperti sul piano culturale”.

Si sostiene che i collegi dei docenti che bocciano la proposta ministeriale lo facciano perché i docenti vogliono difendere i posti di lavoro che potrebbero in parte perdersi con l’accorciamento del percorso di studi. Che cosa ne pensa?

“Ma no. Io ai professori e alla loro professionalità ho sempre dato il posto che meritano. Penso piuttosto a quei colleghi e quei dirigenti scolastici che cavalcano questa tigre. Siamo all’immaginario”.

Nell’immaginario?

“Sì, immaginiamo che il ragazzo a 17 anni avrà compiuto tutte queste esperienze. Ma dove? Sono girandole di proposte e di tanti futuri uno diverso dall’altro, ma non ci sono le basi. Nella vita va avanti solo chi è stato rigoroso e chi ha imparato a sapersi impuntare. E quando al ragazzo hai tolto gli strumenti per fare questo non lo farà nelle altre parti della vita”.

Un’altra contestazione riguarda i tempi davvero brevi che ha dato il ministero per decidere nei collegi dei docenti di dicembre. I docenti si attendevano tempi più lunghi per potere discutere a fondo prima di prendere decisioni tanto importanti per il futuro dell’istruzione.

“Questo vizio che ha l’amministrazione di chiedere dalla mattina per la sera una decisione importante è gravissima. E persiste nel tempo. Come dirigente lo posso dire, perché arrivavano in agosto circolari fondamentali propri a ridosso dell’inizio dell’anno scolastico nuovo e questo vizio è rimasto. Penso lo si faccia per non dare il tempo alle persone di pensare mentre stanno deliberando. Questo è chiaro. Del resto la scuola italiana sta finendo nelle mani degli amministrativi, di coloro che nella scuola sono entrati quando studiavano o docenti che non sanno che cosa vuol dire entrare alle 7 e mezza e restare fino a che il tempo lo richiede e verificare sul terreno quello che è stato scritto presso il ministero”.

Si sostiene che l’accorciamento del percorso scolastico a quattro anni consentirebbe ai nostri studenti di tenere il passo degli altri studenti europei

“E’ una bufala di dimensioni ciclopiche. Che contraddice la realtà. I ragazzi che escono dalle scuole di altri Paesi sono intelligenti ma non hanno la solidità culturale che nonostante tutto noi in Italia riusciamo a dare ai nostri ragazzi. Siamo noi avanti, non loro. Perché mai vengono allora a studiare da noi, dove si fa un anno in più? Vuol dire che qui trovano ciò che là non c’è. Quello che lei ha detto mi ricorda il concetto di esterofilia, poi però si scopre che all’estero ci copiano. Come mai nelle scuole degli Usa si studia il latino? Come mai Johnson sta facendo una guerra per introdurre il latino come lingua curriculare nelle scuole inglesi? Ogni scuola è cucita su un determinato popolo. Per noi non va bene necessariamente quel che si fa altrove. Noi stiamo storpiando la nostra visione della vita, e lo facciamo volutamemnte perché ci sono dei poteri forti che non hanno il pensiero lungimirante. Non si accorgono o non vogliono accorgersi dei danni che sarebbero apportati alla struttura portante  e pensante del popolo italiano”.

Anche gli industriali spingono verso i licei quadriennali

“Gli idustriali spingono perché conviene loro, in quanto avrebbero del personale che potrebbero meglio manovrare. Non solo, loro puntano alla cosiddtta eccellenza. Ma l’eccellenza non serve, se è isolata. Faccio il nome di quella che è stata la mia scuola: il liceo Vittorio Veneto di Milano: l’essenziale nella scuola e nella società non è di avere un solo genio e gli altri a perdere. No, il compito della scuola è quella di dare strumenti critici medio-alti a tutti. Questo significa la solidità culturale. E invece…”

E invece? Come finirà?

“Si dirà che si è fatta la sperimentazione, che ha funzionato, e si appproverà tutto. Invece è questa una deformazione del sistema scolastico italiano: le riforme che riguardano il passato sono state frutto di quindici, venti, anche trent’anni anni di studio e di riflessione. La riforma Gentile e la legge Casati avevano dietro di sè anni di studio ed erano portate avanti da commissioni libere da pressioni”.

Vede del pressappochismo nella classe dirigente? Possibile che sia così?

“No, scriva pure che c’è ignoranza. Ignoranza del sistema scolastico e dei relativi meccanismi. Noi possiamo anche avere un genio della chirurgia ma non è detto che sappia come funziona una scuola elementare. Ed è normale anche che io non sappia cosa sia una sala operatoria, ma certo non mi passa poi per la testa di dire io come operare un paziente. Osservo che non capisco i tanti dirigenti scolastici che partono in tromba mentre invece loro dovrebbero fare da freno. Vogliamo modificare? Bene, si studia la cosa e poi si vede. E’ facile dire ‘siamo più moderni’, ma non è vero: siamo regrediti, all’estero ci invidiano. Ogni volta, per il semplice fatto che arrivassi dall’Italia, era normale attendersi da me che io conoscessi il latino e il greco. Questo è un retaggio che rischiamo di perdere”.

Un ultimo quesito. Qual è il suo parere, guardando dal suo osservatorio, in merito alla più volte denunciata caduta degli apprendimenti?

“Prima di tutto una caduta di apprendimenti non c’è. Perché dovremmo pensare che all’improvviso docenti e alunni siano diventati una manica di cretini? C’è una perdita del rigore nello studio, questo è vero. Questo però dipende dal fatto che sono divenute ccessivamente blande le richieste. I presidi, pressati dall’alto, premono suidocenti: ma perché dobbiamo bocciare? Basta leggere le circolari, alla fine resta poco da valutare. E se il messaggio che parte dall’alto è che si possa superare l’ostacolo con il minimo sforzo, i ragazzi che vuole che facciano? Quello fanno”

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