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Aumentano nel mondo quanti studiano l’italiano. Che nel “bel Paese dove il sì suona” spesso langue

di Salvatore Sfrecola

In un post di Nicola Izzo (motto Etiam si omnes ego non), che ha riscosso notevoli condivisioni su Facebook e specifici commenti, si legge: “l’italiano ,supera il francese e diventa la quarta lingua più studiata al mondo”. E aggiunge “ora non resta che farla studiare anche in Italia”. “La vedo dura”, è stato uno dei primi commenti.

La lingua tra le “più studiate” è anche “la più bella del mondo”, aveva affermato il protagonista delle Confessioni del cavaliere d’industria Felix Krull di Thomas Mann. Quel personaggio va oltre: “gli angeli nel cielo parlano italiano”, ricorda Giuseppe Patota, ordinario di Storia della lingua italiana nell’Università di Siena-Arezzo, nell’introduzione al suo volume “La grande bellezza dell’italiano, Dante, Petrarca, Boccaccio” (Laterza, Bari, 2015). Una bellezza della quale “ne hanno dato e continuano a darne ampia testimonianza gli stranieri, intellettuali e non, che dal Rinascimento in poi hanno di volta in volta qualificato l’italiano come “armonioso, delicato, dolce, elegante, fluido, gentile, gradevole, grazioso, liscio, melodico, piacevole, seducente” (Stammerjohann, 2013, 269).

Sarà un caso, ma la notizia della preferenza accordata in molti paesi allo studio della lingua italiana, complice, forse la ricorrenza dei 700 anni dalla morte di Dante, ma immagino anche il permanente fascino della prosa di Boccaccio, delle rime di Petrarca, di Ugo Foscolo, di Alessandro Manzoni e di Giacomo Leopardi, per non citare che alcuni fra le migliaia di poeti, scrittori, filosofi, giuristi che hanno onorato la lingua del bel Paese, giunge nel momento in cui i giornali e le televisioni danno notizia della protesta degli studenti ai quali, in sede di esame di maturità, si richiede una prova scritta di italiano. Protestano i nostri maturandi perché, dopo due anni di didattica a distanza (DaD), hanno scritto poco o niente, anche se avrebbero potuto compensare leggendo di più. Si sa, infatti, che leggere è necessario per saper scrivere. Che è solo leggendo un buon testo, qualunque sia il contenuto, che s’impara a scrivere in modo corretto e chiaro nell’uso delle parole, nel loro arricchimento con aggettivi, nella costruzione delle frasi nelle quali i verbi esprimono nel modo più efficace i concetti, anche attraverso frasi semplici, di dimensioni che non aggravino la fatica del lettore.

Essendo comunque sempre necessario esercitarsi nella scrittura che, in ogni caso, la DaD non avrebbe dovuto escludere in quanto sarebbe stato possibile, anche nell’emergenza, richiedere agli studenti di presentare degli elaborati usando un pc. Se questo non è avvenuto i maturandi hanno un buon motivo per protestare, anche se è stato detto dal Ministro della pubblica istruzione che, nella correzione degli elaborati, le Commissioni di maturità, che sono formate nella quasi totalità dai docenti che hanno seguito i ragazzi nel corso dell’anno, terranno conto della stasi che c’è stata nella elaborazione delle tracce da sviluppare secondo i programmi di studio dell’istituto di istruzione frequentato.

Vorrei, con l’occasione, segnalare ai docenti, agli studenti e alle loro famiglie che lo studio della lingua italiana non è importante esclusivamente per chi si dedicherà ad una professione umanistica, dalle lettere classiche alla filosofia, al diritto, tanto per semplificare, perché una buona conoscenza dell’italiano è necessaria anche a chi pensa di avviarsi a studi scientifici. Anche un ingegnere, infatti, un architetto, un medico sarà chiamato, nel corso della sua attività professionale, a redigere una relazione, ad affidare ad uno studio l’acquisizione di un impiego o una promozione. Saper scrivere e saper parlare, due facce della medaglia della comunicazione, assicura certamente una marcia in più, come si usa dire.

La scuola deve formare i futuri cittadini ed i futuri professionisti che poi troveranno il completamento della loro preparazione al lavoro negli studi universitari o nell’apprendistato. Ma la base della cultura, quella generale che dà il senso anche dell’appartenenza ad una società che, come l’italiana, vanta un’antica e pregevole storia letteraria, filosofica, storica e artistica, viene fornita soltanto dalla scuola media, inferiore e superiore.

Ricordo che il mio insegnante di italiano al liceo Tasso di Roma, il Professor Marcello Aurigemma, a noi sembrava eccessivamente pignolo nel segnare con la matita rossa quelli che considerava errori di punteggiatura o nell’uso improprio delle parole. E così un giorno, alla protesta di alcuni di noi che lamentavano che avesse segnato come errore l’uso delle virgole o degli aggettivi ci disse: “se queste cose io non ve le faccio notare oggi, non ve le farà più notare nessuno e vi porterete dietro degli errori, che ripeterete e vi peseranno nella vostra vita professionale”.

Voglio concludere queste brevi considerazioni, che dedico agli studenti, in particolare a mio nipote Leonardo, impegnato nella terza media, per ricordare che la lettura è fondamentale e che può essere esercitata su testi molto diversi, scegliendo quelli che più interessano, dai romanzi alle storie fantastiche, alle storie vere, alla geografia che ci porta a conoscere posti lontani e affascinanti, perché leggere apre la mente e facilita la scrittura. Lo dico anche perché non molti anni fa alcune centinaia di professori universitari scrissero al Ministro della pubblica istruzione dell’epoca per segnalare di aver constatato nelle tesi di laurea, quindi in un documento per un certo verso specialistico che completa gli studi universitari, errori di grammatica non ammissibili neppure in una terza elementare.

Se ci pensate questa osservazione individua una responsabilità grave della classe docente perché la scuola non deve essere un “diplomificio” per cui si concede un diploma di scuola media inferiore, superiore o un diploma universitario a chiunque si presenta a sostenere il relativo esame. “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”, si legge nell’art. 34, comma 2, della Costituzione. Il che significa che la scuola deve aiutare tutti a raggiungere il più elevato livello di istruzione, ma deve soprattutto premiare i migliori, perché questo è giusto e perché il diploma è un titolo di studio che attesta il relativo livello di istruzione. E non può essere uguale per tutti.

“Se si dovesse misurare la qualità della scuola italiana dalla capacità media che gli italiani dimostrano nell’uso della lingua nazionale, sia quando parlano sia – in particolare – quando scrivono, tale valutazione sarebbe spesso mortificante, come denunciano le affermazioni ricorrenti che l’insegnamento della lingua nazionale nelle scuole italiane sia scomparso. La realtà della nostra storia recente e presente ci mostra che altri fattori, insieme alla scuola, sono responsabili di questa comune modesta competenza: dalla folta immigrazione interna del dopoguerra alla legittima obbligatorietà della Scuola Media, non sostenuta da adeguata riqualificazione dei professionisti dell’insegnamento; dalle condizioni sociali critiche di molti nuclei familiari di grandi città e periferie industriali alla babele delle proposte di aggiornamento, condizionate spesso da intenti ideologici e da interessi dei politici, e non sempre fondate su qualificate ricerche culturali e didattiche”, scrivono Carmela De Leo e Adriana Raccone Regaldo, ne “La lingua che scriviamo”, indicazioni di metodo ed esercitazioni per la composizione scritta, per il triennio della scuola media superiore” (SEI, torino.1986).

Per non dire della pronuncia spesso intrisa di accenti localistici assolutamente4 intollerabili.

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