di Salvatore Sfrecola
La tragedia alla quale assistiamo in questi giorni, di un paese libero e sovrano aggredito dal vicino potente, desideroso di farne uno stato cuscinetto a difesa dei suoi confini, neutralizzato e smilitarizzato, non è ignota agli italiani, che pure sono notoriamente scarsi di memoria storica.
Era il 1848 quando il vento della libertà, che cominciò a soffiare impetuoso in Europa con la richiesta di costituzioni che affermassero il diritto dei cittadini, come singoli e componenti di una comunità, raggiungeva l’Italia. A Milano i cittadini si ribellavano al potere del governo austriaco, all’epoca la più grande potenza continentale. A Napoli chiedevano invano la costituzione, a Roma attendevano dal nuovo pontefice Pio IX quelle libertà civiche che aveva in qualche modo fatto balenare come espressione del suo governo di Papa re. Contemporaneamente a Torino un giovane sovrano, Carlo Alberto di Savoia Carignano, dai giovanili ardori liberali compressi per alcuni anni dalla volontà del capo della casata e dall’esigenza di essere degno della successione al trono, concedeva lo Statuto, una costituzione ottriata, come si diceva, perché non votata da un’assemblea costituente. quasi a sminuirne il significato, ma importante perché “chiara e sobria”, come avrebbe detto Piero Calamandrei, repubblicano, nel 1947 in Assemblea Costituente. Una costituzione che governerà l’Italia per oltre un secolo assicurando a tutti libertà e democrazia parlamentare, compressa soltanto quando la classe politica cederà alla pressione del fascismo.
Ebbene, nel 1848 quel giovane sovrano del Regno di Sardegna si metteva in qualche modo a capo del moto rivoluzionario diretto all’unificazione nazionale sollecitato dalle menti più brillanti, anche dal repubblicano Giuseppe Mazzini, e dava alle sue truppe il tricolore al quale sovrapponeva lo stemma della sua casata, la bianca croce di Savoia, come dirà Giosuè Carducci. Quel piccolo stato di fronte alla grande potenza dell’Austria Ungheria con un piccolo esercito, guidato da generali dalla scarsa esperienza di fronte all’armata guidata da uno dei massimi esponenti della casta militare dell’epoca, il maresciallo Radetzky, non ebbe il timore di affrontare l’incerta battaglia e alla fine fu sconfitto dopo qualche successo. Al nuovo re, il ventinovenne Vittorio Emanuele, succeduto al padre che aveva abdicato dopo la sconfitta di Novara, il generale vittorioso, a nome del suo Imperatore chiedeva l’abrogazione dello Statuto, la neutralità, la smilitarizzazione, compresa la cessione della Piazzaforte di Alessandria, in pratica le stesse cose che la Russia chiede oggi all’Ucraina.
Quel re non accettò, e riprese la via che avrebbe portato all’unificazione d’Italia, anche grazie al concorso straordinario di uomini illuminati e decisi, un “miracolo”, come ha scritto Domenico Fisichella, dovuto all’opera di amministratore e diplomatico di un grande primo ministro, il Conte Camillo Benso di Cavour, e ad uno straordinario personaggio, un grande patriota, un grande soldato, il Generale Giuseppe Garibaldi.
Questo per dire che tutti possono chiedere all’Ucraina di perdere la sua libertà, di perdere il suo status sovrano per diventare un’appendice della Federazione russa, tutti tranne gli italiani degni di questo nome perché i nostri progenitori non accettarono l’imposizione dell’Austria e scesero in campo e si fecero ammirare dall’Europa e dal mondo degli uomini liberi, anticipando in qualche modo le teorie del presidente americano Wilson sull’autodeterminazione dei popoli. Quella che oggi si vuole negare all’Ucraina per motivi, diciamolo sinceramente, commerciali. Oggi chi è pronto ad accettare la prepotenza russa è molto simile a chi nel 1938-39 accettò la prepotenza del dittatore tedesco Adolf Hitler. E lo fa solo per interessi commerciali, certo importanti, che condizionano la vita di un popolo e la sua prosperità. Tuttavia, quella ricerca della pace e della prosperità, che nel 1938 a Monaco i governanti occidentali ritennero di tutelare cedendo al dittatore tedesco giudicando le sue rivendicazioni in parte credibili, come quando chiedeva per i Sudeti di Cecoslovacchia il ricongiungimento alla madrepatria, convinsero Hitler della debolezza politica delle democrazie occidentali, così ponendo le premesse per l’inevitabilità della guerra e quindi per un impoverimento delle popolazioni che quella posizione attendista intendeva difendere.
Io credo che la tutela, pur legittima, degli interessi commerciali di un paese, che significa la prosperità dei suoi abitanti, debba essere riguardata in un contesto più ampio che induca a considerare che un mondo di stati cuscinetto, di popolazioni compresse nella loro dignità di stati sovrani, sia un mondo dalla sicurezza precaria. che allunga soltanto i tempi di una sopravvivenza difficile.
E allora, il filosofeggiare di illustri personaggi della stampa, dall’eco inequivocabile dei finanziatori, e della cultura, anche a destra, dove tutto sommato piace più l’autocrate russo, che somiglia tanto all’Uomo della Provvidenza, rispetto all’eroico combattente per la libertà dell’Ucraina in t-shirt militare, debba considerare l’errore di fondo di questa impostazione dominata da interessi certamente non di basso profilo ma di breve prospettiva.