di Salvatore Sfrecola
L’appellativo di “Magno”, il primo attribuito ad un Papa (poi lo sarà anche Gregorio I), Leone I, subito venerato come santo e proclamato dottore della Chiesa da Benedetto XIV (1754) l’ha guadagnato non tanto per aver fermato Attila, il re degli Unni, che calavano verso Roma, ma per la sua attività pastorale. Per aver affermato la centralità del vescovo di Roma, per aver rinnovato la liturgia e organizzato una struttura di carità per i più bisognosi. Eppure, l’immagine che abbiamo negli occhi, fin dal libro delle elementari, è quella dell’affresco di Raffaello, in una delle Stanze Vaticane, quella di Eliodoro, con il Papa che, armato solo della croce, convince il re degli Unni a non marciare su Roma.
Di Attila, il più famoso dei re barbari che sfidarono i Romani negli ultimi decenni dell’Impero di Occidente, la storia ricorda la ferocia, con l’appellativo di “flagello di Dio”, e si diceva che dove passava non cresceva più l’erba. Gli si addebitano immense stragi. Ma nelle terre dalle quali provenivano gli Unni, Attila è ricordato come un monarca saggio, leale, perfino misericordioso. Per gli ungheresi, che si considerano almeno in parte eredi di quelle popolazioni, è una sorta di eroe. Certo un personaggio complesso, i cui metodi erano presumibilmente brutali, consueti per l’epoca, ma dotato senza dubbio di una personalità notevole, capace di unificare il suo popolo conquistando territori molto vasti.
Era l’anno 452 quando il Papa, che vantava un’esperienza diplomatica che già da diacono gli aveva assicurato la fiducia della corte imperiale, si reca incontro al re degli Unni su richiesta dell’imperatore, lo intercetta sul Mincio, presumibilmente a Governolo dove ottiene la promessa di un ritiro dall’Italia e l’avvio di negoziati di pace con l’imperatore.
Dell’episodio, che molto concorse a dare lustro al Papa, esistono due resoconti coevi agli avvenimenti: uno di Prospero d’Aquitania e un altro del Vescovo Idazio. Secondo Prospero, Attila si ritirò perché fu impressionato dalla figura di Leone, anche se gli storici moderni ritengono sopravvalutato, per motivi agiografici, il ruolo svolto dal Papa nella vicenda. Non si può comunque escludere che il re barbaro, che si dice fosse superstizioso, sia stato frenato dal timore della morte che aveva colto Alarico I, re dei Visigoti subito dopo il sacco di Roma. E comunque è accertata l’alta autorità morale goduta dal Papa che si manifestava anche negli affari temporali.
E quando Roma subì il saccheggio da parte delle orde vandaliche di Genserico nel 455 il Papa ottenne che fossero risparmiate le basiliche dove trovarono rifugio molti cittadini dell’Urbe.
Viene spontaneo pensare che il Puntin, che invade con la violenza la libera Ucraina, somiglia un po’ all’Attila che dilaga con i suoi Unni nei territori dell’Impero romano d’Occidente. E che papa Francesco, con l’immagine della croce, potrebbe andargli incontro per chiedere che fermi il massacro delle sue truppe a danno di cittadini inermi. In fin dei conti cosa deve fare un Papa se non invocare la pace e frapporsi tra i combattenti a difesa dei più deboli?
essere come Leone Magno che ferma Attila