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In Ucraina, tra mercenari e volontari

di Salvatore Sfrecola

Nelle cronache della guerra che si combatte ormai da oltre due mesi in Ucraina si parla spesso della presenza, accanto agli eserciti regolari, di formazioni di combattenti che taluno definisce volontari altri mercenari. Né l’una né l’altra qualifica può essere evidentemente attribuita ad libitum dall’osservatore. Perché i due termini hanno un significato ben preciso, avallato dall’esperienza storica e dall’attualità. Per cui, secondo il vocabolario Treccani (vol. III, pagina 160) mercenario “è persona che presta la propria opera dietro compenso, e al solo fine di essere pagata, senz’altro interesse che quello del guadagno… per cui il termine… assume connotazione dispregiativa”. E fa tornare alla mente le Compagnie di Ventura del Medio Evo e ancora fino alla vigilia della Rivoluzione Francese, “soldati di professione che, per denaro, combattevano al servizio di uno stato straniero”. Erano noti gli svizzeri di cui si avvalevano molti principi, anche italiani, in stati nei quali non era ancora presente un esercito di leva.

Sono riferimenti linguistici e storici che consentono di distinguere immediatamente il mercenario dal volontario, che “assume un impegno o si presta a operare, a collaborare, a fare qualcosa di propria volontà, indipendentemente da obblighi e da costrizioni esterne” (Vocabolario Treccani, Volume IV, 1226). Una distinzione, del resto, che noi italiani abbiamo ben presente, almeno dal Risorgimento, quando le guerre di indipendenza nazionale videro, accanto all’esercito del Regno di Sardegna, volontari come i Cacciatori delle Alpi guidati da Giuseppe Garibaldi. Volontari erano anche le Camice Rosse, i garibaldini, impegnati nella conquista del Regno delle Due Sicilie. Gli stessi garibaldini che, a Digione, daranno alla Francia di Napoleone III l’unica vittoria contro le armate prussiane del Generale Helmuth Karl Bernhard von Moltke. Dele resto, dopo la restaurazione, fin dai primi moti liberali del 1820-21 e del 1848, che avevano sparso per l’Europa i semi dell’indipendenza dei popoli, le persone colte ed i giovani si sentirono presto impegnati in politica e, quando possibile, con le armi, ovunque ci fosse l’occasione di combattere per la libertà.

È, infatti, per l’indipendenza della Grecia che il nobile piemontese Santorre di Santarosa, andato a combattere contro l’impero ottomano, muore a Navarino l’8 maggio 1825. Per lo stesso ideale di libertà impugnano le armi in Italia, accanto a Garibaldi, quanti soffrivano l’oppressione soprattutto dell’Impero austriaco, come l’ungherese Stefan Türr, comandante della 15° divisione garibaldina al Volturno, e ad interim dello stesso esercito meridionale, il compatriota Nandoz Eber, generale, naturalizzato inglese, giornalista, corrispondente del Times di Londra, il polacco Alessandro Isenschmid, Conte di Milbitz, che sarà a capo della 16° divisione garibaldina al Volturno, il Colonnello Fiedrich Wilhelm Rüstow, ex alto ufficiale dell’esercito prussiano.

A fianco degli italiani un altro ungherese, Lajos Kossuth, politico, giornalista, sarà riferimento per il suo paese e per l’Italia dove morirà a Torino i 20 marzo 1894.

Ed oggi in Ucraina sui due fronti combattono volontari. Prevalentemente a fianco dell’esercito regolare per difendere la libertà e l’indipendenza del loro paese. Si è detto molto di questi combattenti, non solamente giovani, giunti da ogni parte per impugnare le armi contro l’esercito invasore. Anche dell’esercito di Putin sappiamo che si avvale di volontari, certamente in numero inferiore a quanti militano sotto la bandiera gialla e blu. Ma anche di mercenari, che’ non si potrebbero definire i ceceni, i siriani, i somali e gli etiopi che, si dice, sarebbero arruolati per un paio di migliaia di dollari al mese.

Indipendentemente da ogni considerazione sulla guerra, sulle sue “ragioni” e sulle prospettive che si aprono all’iniziativa dei protagonisti, in Europa e oltre oceano, preme, per la verità storica, distinguere tra mercenari e volontari, non per un giudizio morale sulle motivazioni della scelta effettuata ma perché le persone sappiano e non  confondano chi combatte per un ideale politico e chi imbraccia le armi considerandolo un mestiere come un altro. Capire e chiarire, serve a comprendere e, forse, a dare una valutazione sui fatti, almeno su come li vedono i combattenti.

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