di Salvatore Sfrecola
“Ricordatevi di Alamo”! Così il film manifesto “La battaglia di Alamo”, dominato dalla figura di John Wayne che nel 1960 lo diresse, produsse e interpretò la parte di Davy Crockett, al comando dei “Tennessee Mounted Volunteers”, un film destinato ad esaltare l’eroismo di coloro che avevano concorso alla costruzione degli Stati Uniti attraverso l’affrancazione dalle dominazioni straniere, nel caso del Texas, dal Messico.
Infatti, dal 23 febbraio al 6 marzo 1836 le truppe messicane, guidate dal Presidente e Generale Antonio Lopez de Santa Anna, assediarono la missione francescana di Alamo, vicino a San Antonio de Béxar (oggi San Antonio) fino allo sterminio dei difensori, gli indipendentisti giunti da varie parti degli Stati Uniti. Morirono il Comandante del presidio, William B. Travis, James Bowie, il Capo dei volontari. Nelle prime ore del 6 marzo, l’esercito messicano, formato da unità di fanteria, di cavalleria con un significativo supporto di artiglieria mosse all’attacco definitivo, quando Santa Anna fece issare una bandiera rossa per indicare ai difensori che l’attacco sarebbe stato senza quartiere, fino allo sterminio del nemico. E al terzo attacco i Texani non furono in grado di resistere. “Il nemico mi ha chiesto di arrendermi – fece sapere Travis – , ho risposto loro con un colpo di cannone, non mi arrenderò mai”.
I pochi che si arresero (sembra fossero 5 o 7) furono giustiziati sul posto. Sulle prime si diffuse il panico tra i coloni, volontari nell’esercito Texano. Poi, al grido “Ricordatevi di Alamo” fu la riscossa, e la sconfitta, a San Jacinto, delle forze di Santa Anna. E nacque la Repubblica del Texas.
Alamo come Maryupol, dove gli ucraini, asserragliati in quel che resta dell’acciaieria di Azovstal, resistono all’aggressione delle preponderanti forze russe. E non intendono arrendersi. Ponti a morire anche loro, perché la vita, per chi crede nell’indipendenza della patria, non vale se si perde l’indipendenza.
La loro scelta, come la decisione dell’intero popolo ucraino di combattere contro l’aggressione dei russi, riempie pagine di giornali, occupa ore di dibattiti televisivi. C’è chi vorrebbe che si arrendessero, perché teme l’escalation militare, il pericolo che Putin, alle strette per l’andamento evidentemente insoddisfacente delle operazioni militari, ricorra all’uso di armi atomiche tattiche, magari giustificando questa scelta con il fatto che l’occidente e in primo luogo gli Stati Uniti stanno aiutando militarmente la resistenza Ucraina.
Si sente dire “non si può morire per l’Ucraina”. Tutti filosofi, tutti strateghi, tutti a modo loro saggi, che consigliano la resa degli altri, perché evidentemente nelle stesse condizioni si arrenderebbero. E non ritengono credibili le minacce del dittatore russo che pure ha manifestato più volte l’intenzione di allargare la zona d’influenza in termini che ricordano il dominio dell’URSS sull’Europa centrale.
Soprattutto molti pensano oggi, come pensavano nel 1939 i loro nonni, che, come allora “per non morire per i sudeti”, popolazione tedescofona della Cecoslovacchia, fu concesso il concedibile al dittatore tedesco, che aveva appena “annesso” l’Austria, finché Francia e Inghilterra si resero conto che non si poteva continuare nelle concessioni al regime nazista. Per non morire per i sudeti si morì dopo e per molti anni. Speriamo di non dover morire oggi. Considerato che la pace è possibile solamente se la ricercano sinceramente tutti i contendenti. E deve essere una pace giusta, non come quella che a Versailles decise l’assetto europeo dopo la Prima Guerra Mondiale. Quando si posero la condizioni per il secondo conflitto, di lì a meno di venti anni.