di Salvatore Sfrecola
Carissimo Leonardo,
dedicami qualche minuto per ascoltare alcune riflessioni che riguardano la scuola. La tua è ottima ma non è ovunque così. Lo faccio prendendo lo spunto da un articolo di fondo (che, come sai, così si chiama nonostante occupi la colonna di sinistra nella prima pagina dei giornali) di uno dei più importanti quotidiani italiani, il Corriere della Sera, scritto oggi da Antonio Polito, firma prestigiosa del giornalismo italiano.
“Costernati e allarmati – così inizia -, abbiamo fatto finta di scoprire grazie alla denuncia di Save The Children che metà dei quindicenni italiani non comprendono i testi che leggono”. È grave, molto grave. E preoccupa: “che ne sarà di loro all’università, nella vita, nella competizione sempre più spietata per i pochi lavori di qualità che il mercato offre ai giovani?”, si chiede Polito.
La preoccupazione per il livello di apprendimento non è nuova, ma evidentemente trascurata da chi dovrebbe intervenire. Infatti, non molti anni fa, oltre 600 professori universitari si sono rivolti al Ministro della pubblica istruzione segnalando che nelle tesi di laurea, cioè nel lavoro terminale del percorso universitario, avevano rilevato errori di grammatica non ammissibili neanche in terza elementare. È grave. Perché questi laureandi evidentemente nel corso degli studi non sono stati richiamati alle regole della lingua italiana, della quale ci serviamo tutti i giorni. E non è dubbio che avere padronanza della lingua, parlata e scritta, come si legge nei curricula a proposito delle lingue straniere, è indispensabile nel lavoro, qualunque sia l’attività professionale scelta. Perché scrivere in un buon italiano è necessario non soltanto a chi fa pratica di letteratura ma anche a chi è chiamato a predisporre relazioni a contenuto scientifico, dove i numeri di economia od i valori di un progetto, dalla costruzione di un immobile alla definizione di un programma informatico, devono essere spiegati in modo da dare un senso positivo a chi legge.
Anche la punteggiatura esige il rispetto delle regole. Ricordo, infatti, il giorno in cui il mio professore di italiano al liceo, nel consegnarmi un tema che avevo svolto in classe, mi disse che vi aveva trovato alcuni errori di forma. E quando mi disse che si trattava di tre virgole che, a suo giudizio, erano fuori posto o mancavano, replicai che mi sembrava eccessiva l’osservazione. Mi rispose che se non mi avesse fatto notare lui questi “errori” nessuno, poi, me li avrebbe corretti. Quel che ho ricordato prima gli dà ragione.
D’altra parte, le virgole scandiscono le frasi e facilitano la comprensione del testo, quella comprensione che, come abbiamo visto, sembra poco diffusa tra voi studenti. Da allora sto molto attento e, per sicurezza, rileggo ad alta voce il testo scritto per capire se ci sono ripetizioni, assonanze sgradevoli ed altri errori. Aggiungo che, per scrivere bene, ho letto molto, perché la lettura di buoni testi facilita l’attitudine ad esprimersi in modo adeguato in una lingua, la nostra, straordinariamente bella, che ha un ricco vocabolario con molte parole di origine latina e greca e una vasta gamma di aggettivi che servono a illustrare ed a precisare alcuni passi del testo.
In generale, carissimo Leonardo, tu ed i tuoi colleghi leggete poco. Siete presi da televisione e tablet. Che certo, non vanno abbandonati, ma è necessario collocare questi strumenti informatici nel complesso delle attività di apprendimento. Dovete leggere, anche se non sollecitati dai vostri professori, tutto quello che vi interessa, anche i giornali, dunque, dove il linguaggio è più fluido e la prosa immediata.
Torniamo all’articolo di Polito, che considera il grado di istruzione anche in rapporto alla partecipazione del cittadino alla vita politica e sociale, ad esempio col voto che presuppone la conoscenza delle idee e dei programmi del candidato o del partito. Polito, infatti, si chiede “che ne sarà della nostra democrazia, quando coorti generazionali per metà illetterate diventeranno il corpo elettorale di domani”. Insomma, è necessario “avere cittadini attivi e informati, materia prima della democrazia”. E richiama le tesi di Francesco Provinciali, docente ed educatore, sui cambiamenti da tempo in atto nella scuola: “Facilitazione dei corsi di studio e di programma, declassamento di storia e geografia, graduale abbandono dell’uso del corsivo e della scrittura manuale, enfasi sui test al posto del testo scritto, lenta espunzione della poesia, della musica e della storia dell’arte, linguaggi corti e sincopati, sigle e acronimi che prendono il posto della scrittura fluente e narrativa, oblio della memoria come metodo di allenamento della mente, scomparsa dei dettati, sostituiti da cartelloni, diagrammi con frecce di richiamo e collegamento a schema aperto”.
Dopo anni di questa “rivoluzione”, di cui si è già detto a proposito degli errori di grammatica nelle tesi di laurea, è di questi giorni la notizia che, nel recente concorso per la magistratura, dei 3.797 candidati solo 220 di loro hanno raggiunto la sufficienza nella prova scritta, a causa di una “grande povertà argomentativa e linguistica, schemi preconfezionati, senza una grande capacità di ragionamento, scarsa originalità e conseguenzialità, in alcuni casi errori marchiani di concetto, diritto e grammatica”.
È grave, carissimo Leonardo, chi si troverà in queste condizioni avrà difficoltà ad ottenere un lavoro qualificato e sarà un cittadino che non potrà dare un contributo alla società.
“Dobbiamo intervenire sulla scuola – conclude Polito -. A partire da quella media, giunta forse al capolinea della sua storia iniziata sessant’anni fa. Perché se è vero che due ragazzi su cinque escono dalle medie con competenze da quinta elementare, a che servono quei tre anni?”
Dirai che c’è del pessimismo in queste parole. È senz’altro vero. Ma come non esserlo se lo Stato dedica poche risorse alla scuola? Poche all’edilizia, poche alla formazione dei professori?