di Salvatore Sfrecola
“Se il Papa invoca la castità prenuziale sui media scatta la corsa a silenziarlo”, così titola La Verità un articolo di Marcello Veneziani, che annota l’esortazione con la quale il Pontefice richiama la regola antica della morale cattolica della rinuncia ai rapporti sessuali prematrimoniali, “per quanto ciò sia in diretto contrasto con la mentalità comune”, come precisa lo stesso Francesco. E qui va detto che, al formarsi della “mentalità comune”, ha certamente contribuito un certo arretramento della Chiesa sui temi etici e identitari.
Frastornata dalla globalizzazione, dal mondo senza frontiere, che vorrebbe annullare le espressioni storiche e culturali proprie dei popoli, la Chiesa romana, che è “cattolica”, cioè universale, è andata progressivamente abbandonando l’antica vocazione all’istruzione, partendo da quella elementare, con la quale preti e monache accompagnavano i giovani lungo tutto il percorso scolastico formandoli, oltre che nelle discipline proprie dei corsi scolastici, nel riconoscimento di valori civili e spirituali.
Molte sono le ragioni, di ordine soprattutto economico, che hanno reso costoso il mantenimento delle scuole private, in particolare di quelle rette da religiosi. Ragioni economiche, ma anche una evidente ritrosia della politica a ritenere che, nella pluralità degli indirizzi culturali che rendono effettivo il diritto costituzionale “di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato” (art. 33, comma 3), sia comunque implicito che direttamente o indirettamente le famiglie le quali scelgono un insegnamento privato debbano essere alleviate dai costi, almeno nella misura degli oneri che lo Stato sostiene per le scuole pubbliche. Come accade all’estero.
L’abbandono della cura tradizionale dell’istruzione, in una misura sempre più significativa, limitandosi in pratica solamente alle università, alla quale giungono giovani già “formati”, ha determinato inevitabilmente una regressione dello spirito religioso nelle nuove generazioni. Di seguito alle scuole sono pressoché introvabili gli oratori, luoghi di aggregazione, di svago e di attività sportive, dal ping pong al calcio, che alimentavano anche iniziative culturali tra persone che crescevano nella consapevolezza di una identica base culturale, valoriale, come oggi si dice. Non si vedono più neppure i boy scout, reclutati soprattutto tra i giovani frequentatori delle parrocchie.
La società che trascura i riferimenti religiosi abbandona anche talune pratiche, come dimostra il calo dei matrimoni in chiesa, la scarsa frequentazione delle funzioni religiose ordinarie, alle quali si accede sempre più con grave trascuratezza della sacralità del luogo. Ad esempio, in questi giorni, complice l’eccezionale calura, si deve constatare che spesso nelle chiese un abbigliamento assolutamente irriguardoso. Mi chiedo spesso se quelle persone, che si recano in chiesa vestite come in spiaggia, andrebbero così se invitate a pranzo dal Capo Ufficio. L’invito del Signore evidentemente non merita altrettanto rispetto. E questo, senza voler esprimere alcun giudizio sul sentimento religioso di quelle persone.
In queste condizioni di distrazione per i valori religiosi, evidenti anche nella rarefazione della difesa della famiglia e della condanna dell’aborto, mentre a Verona un sacerdote “benedice” una unione omosessuale, forse nella preoccupazione di non apparire sufficientemente moderno, adeguato alla “mentalità comune”, non c’è da stupirsi se il richiamo ad un principio tradizionale della morale cristiana trovi critiche perché, come riconosce il Papa, “in diretto contrasto con la mentalità comune”.
Nel modo di concepire i rapporti fra fidanzati l’esortazione pontificia appare saldamente allineata alle prescrizioni richiamate dal “Catechismo della Chiesa Cattolica” secondo le quali (n. 2337) “la castità esprime la positiva integrazione della sessualità nella persona e conseguentemente l’unità interiore dell’uomo nel suo essere corporeo e spirituale”. Veneziani annota che “non va bene se il partner diventa solo oggetto del piacere e strumento della proprietà propria esuberanza sessuale della propria dominazione. Se invece il sesso non mortifica ma esalta l’amore, l’unione profonda tra due persone, il rispetto dell’altro può essere compatibile con la fede e la morale”. E conclude: “mi sembra una linea più ragionevole, più realistica, più consona non tanto ai nostri tempi quanto alla natura umana”.
Dubito che questa impostazione, certamente “ragionevole”, soddisfi pienamente i canoni della morale cristiana per la quale, nella “castità o rettitudine sessuale” (n. 2518) “c’è un legame tra la purezza del cuore, del corpo e della fede”. Un richiamo ai sentimenti che consente di esaltare il rapporto tra le persone quando l’incontro tra i cuori si esprima anche con abbracci e carezze, insomma con “coccole” che siano un’espressione naturale dell’amore, non già di un desiderio esclusivamente fisico. Il terreno è impervio, come sempre quando si affronta il tema dei limiti in un contesto sociale di generale incertezza sui valori spirituali. Ma di questa insufficienza di contesto la Chiesa non può che dolersi per aver contribuito, trascurando la sua tradizionale vocazione all’istruzione, ad abbassare nella società il livello della condivisione della morale cristiana.