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“Delitto alla Farnesina” all’ombra del potere, un giallo di Daniele Capezzone

di Salvatore Sfrecola

“Spero le strappi un sorriso”. Così Daniele Capezzone in un whatsapp, in risposta al mio “lo leggerò con piacere”, a proposito di “Delitto alla Farnesina”, del quale mi aveva preannunciato l’uscita con La Verità e Panorama nella collana “Pensiero forte”. Effettivamente il libro mi ha strappato più di un sorriso, insieme a riflessioni su uomini e cose a margine della politica. Con il garbo consueto, ma anche con il piglio che abbiamo imparato a conoscere dagli scritti giornalistici e dagli interventi nei talk show, nei quali Capezzone è invitato, immagino anche per dare un po’ di pepe al dibattito, con le sue asserzioni sempre puntuali e documentate. Chi lo segue lo ritrova nel libro. Infatti, il protagonista è un giornalista, Michele Morabito, ex parlamentare, che aveva abbandonato la politica avendo capito che era il momento di voltar pagina, per approdare in un giornale “coraggioso” che lo ha accolto “con autentico affetto”.

Accanto a lui, in un appartamento pieno di libri, una gatta, Cleopatra, per la quale Morabito nutre uno straordinario affetto, consueto in molti intellettuali. Il gatto, infatti, è sempre una presenza discreta ma affettuosa, come ben sa chi ha avuto gatti, un amico che si esprime con i rituali miagolii, modulati a seconda delle occasioni, e le fusa che attestano la contentezza alla presenza del “padrone”.

Partendo da questa atmosfera professionale e familiare, la narrazione si dipana lungo riflessioni in proprio e sollecitate da colloqui a seguito di incontri destinati a sciogliere l’enigma della morte per avvelenamento di Pasquale Africa, un componente dello staff del Ministro degli Esteri, Filippo Di Carmine, destinato a ricoprire un incarico di responsabilità nella direzione di “Raffaello”, una holding pubblica specializzata in armamenti di vario genere. La vicenda, che neppure il magistrato inquirente era riuscito a chiarire, aveva presto mosso la fantasia degli osservatori e di non pochi complottisti i quali, nel delicato momento internazionale, avevano immaginato interessi, manifesti e occulti, di qualcuna delle potenze che in vario modo partecipano al conflitto in corso, anche solamente con l’invio di armi.

Il contesto è attuale anche per altri aspetti riguardanti il ruolo politico di alcuni protagonisti. E, anche se, al termine, il libro reca la consueta frase “ogni riferimento a fatti e personaggi realmente esistiti è assolutamente casuale”, nessuno avrà difficoltà nell’individuare riferimenti reali dietro la denominazione del gruppo “Onesti in movimento”, e persone, come il titolare degli esteri, un giovane campano rampante, che aveva costituito uno staff di suoi concittadini, il più delle volte di compagni di scuola, come Africa, destinato a ricoprire presso Raffaello il ruolo di “rappresentante” del ministro. Giunti al governo, infatti, quegli “onesti”, che avevano denunciato la degenerazione della politica, così prendendo voti tanto da divenire il movimento di maggioranza relativa, avevano imparato presto a gestire il potere “alla democristiana”, come nel linguaggio comune viene definita l’occupazione di importanti caselle “di potere” in ministeri ed enti pubblici.

Il libro, pur non mancando al suo ruolo di giallo, si sofferma su riflessioni di filosofia politica, che consentono a Morabito-Capezzone di richiamare e rivendicare i caposaldi della sua cultura liberale, in un contesto politico fortemente degradato, dominato dalla “tendenza all’approssimazione, mista a una presunzione spesso priva di qualunque credibile pezza d’appoggio”. Un contesto nel quale mancano non soltanto i riferimenti alle ideologie ma financo ad idee di una qualche latitudine.

L’“istruttoria” del giornalista alla ricerca dell’autore dell’omicidio si sviluppa attraverso incontri con intellettuali e politici, anche con un ex Presidente del consiglio, in atto Presidente di una Fondazione, del quale i giornali hanno rivelato l’interesse per commesse di armi (la vittima era destinata ad una impresa che produce armamenti). È un contatto favorito da un’amica, firma giornalistica della sinistra chic, che vorrebbe metterlo sulla pista dell’intrigo internazionale in ragione dello “scarrellamento geopolitico dell’Italia”, e che tornerà a parlarne con Morabito ed altri amici nella quiete di Capalbio, “l’Atene progressista e antifascista”, come giudicava Morabito il buen retiro di quel genere di intellettuali.

Ad ogni pagina il giallo s’infittisce, fa immaginare chissà quali scenari, quali intrighi, interni ed internazionali. Nulla di tutto questo. L’omicidio era nato nello staff del Ministro degli Esteri, dal risentimento dell’unico estraneo alla regione del ministro, che è anche l’unico bravo, un padano emarginato e mortificato dai “portami il caffè” il quale, all’ultima richiesta, di un caffè e di un tè, quest’ultimo destinato ad Africa, aveva messo nella tazza una efficace dose di veleno. Morabito l’aveva in qualche modo intuito quando, sostando in anticamera, all’uscita da un colloquio con il portavoce del ministro, proprio all’inizio della vicenda, si era stupito che a recapitare il caffè e il tè fosse non un cameriere o un commesso (quello che un tempo si chiamava usciere, perché presidiava l’uscio) ma uno che sembrava un funzionario. Ormai certo di aver scoperto l’omicida Morabito lo affronta direttamente e ne riceve la confessione. E ne scrive in un articolo che consente al giornale uno straordinario scoop.

Una lettura piacevole, che rivela una straordinaria capacità di Capezzone, non solo di inventare il triller ma anche di descrivere luoghi e presentare i vari personaggi via via incontrati, un libro dove il giallo della vicenda si intreccia con il giallo della politica, ma di questo non si sa ancora la soluzione, anche se si fanno varie ipotesi.

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