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L’Italia brucia. Come sempre nel “bel Paese” manca la prevenzione e la repressione è inadeguata. Facciamo pagare gli incendiari

di Salvatore Sfrecola

L’Italia brucia da Nord a Sud. Bruciano i boschi secolari, la macchia mediterranea che ornano le nostre belle regioni. L’Italia brucia e nessuno paga. Perché, va detto con chiarezza, gli incendi solo raramente sono originati da fenomeni di autocombustione, come hanno ripetutamente spiegato esperiti e Carabinieri forestali.

Gli incendi, infatti, alimentati dalle sterpaglie riarse, agevolati dal vento, sono opera di delinquenti, incendiari, persone che, il più delle volte per interessi vari, dalla forestazione alla gestione delle aree boschive, appiccano il fuoco, come dimostra il fatto che in ogni caso l’intervento dei pompieri e delle Forze dell’Ordine accerta la presenza di molteplici focolai, abilmente distribuiti per fare più danno. Il tutto favorito dalla assoluta assenza di gestione del sottobosco, dove le sterpaglie, le foglie ed i rami secchi, che si accumulano nel corso dell’inverno e della primavera, costituiscono un innesto micidiale. Tenere pulito il sottobosco costituirebbe attuazione dell’aurea regola secondo la quale prevenire costa meno di quanto occorre per ricostruire. E prevenire è espressione di quella “ordinaria amministrazione” che costituisce il primo dovere di chi governa. In questo Paese da sempre ignorato.

Poi ci sono gli idioti o gli sbadati, incapaci di gestire il fuoco attizzato per buoni motivi, per bruciare le stoppie o per qualche altra attività contadina spesso gestita in modo imprudente. In Umbria, alcuni anni fa, una volonterosa massaia, che faceva bollire bottiglie di pomodoro in un calderone ai margini di un bosco, ha mandato in fumo ben 25 ettari di una splendida macchia.

Nessuno le ha chiesto ragione della sua disattenzione e del danno provocato al pubblico erario a carico del quale sono stati spesi fior di soldi per spegnere l’incendio, impiegando Pompieri e Carabinieri, un elicottero e tutto quel che occorreva per domare le fiamme. La regola è antica ma sempre valida, chi sbaglia paga. E nel caso degli incendi coloro i quali vengono individuati come responsabili dovrebbero essere chiamati a rispondere dei costi che lo Stato, la Regione, il Comune hanno sostenuto per far fronte all’emergenza. Lo sostengo da sempre, convinto che la pena più efficace è quella “in denaro”, il risarcimento del danno causato alla comunità, in questo come in tutti gli altri casi. Sarebbe bene, inoltre, che le amministrazioni si costituissero parte civile nei processi penali. Purtroppo è un’esigenza non percepita. L’obiezione è sempre la stessa, non possiamo recuperare centinaia di migliaia di euro o milioni da gente che potrebbe disporre di un patrimonio limitato. Anche la mia risposta è sempre la stessa. Anche quando non è possibile recuperare l’intero importo del danno la sanzione comunque può essere rilevante perché il sequestro dei beni posseduti dall’incendiario, la casa, la macchina, i conti in banca costituiscono una sanzione significativa e temuta. Poco? Forse, ma la reazione dello Stato, finalmente capace di punire seriamente chi attenta alla pubblica incolumità e danneggia l’erario, da un lato costituirebbe un deterrente, dall’altro rassicurerebbe i cittadini perbene.

È facile constatare, infatti, che nei confronti degli incendiari la sanzione penale ha scarsa efficacia, nonostante la formale severità della norma che prevede, all’articolo 423 c.p., la reclusione da tre a sette anni, e all’articolo 423-bis, che specificamente prevede la fattispecie dell’incendio boschivo, una reclusione da quattro a 10 anni. Ma se l’incendio è cagionato per colpa la pena è della reclusione da uno a cinque anni e noi sappiamo che il governo Renzi ha promosso l’introduzione nel codice penale dell’art. 131-bis (Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto) in ragione della quale “Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”.

Insomma, se prima era difficile condannare un incendiario anche quando arrestato in fragranza, con l’art. 131-bis c.p. è praticamente impossibile.

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