di Salvatore Sfrecola
La vittoria del Centrodestra alle prossime elezioni è nell’aria, sulla base dei sondaggi che da tempo, anche a seguito dei risultati elettorali delle regionali e delle comunali, indicano una prevalenza nelle intenzioni di voto nei confronti dei tre partiti che lo compongono. La sinistra che ne è consapevole, come ricorderà chi ha seguito il dibattito tra i partiti nel corso dell’elezione del Presidente della Repubblica, risponde con una aggressione ideologica, con i toni di una battaglia finale stile 1948, “o noi o loro” va dicendo Letta, “per la difesa della Costituzione”, uno slogan subdolo che si alimenta dal persistente, quasi ossessivo, richiamo alla riforma del presidenzialismo.
E così, Letta, come gli altri leader dei partiti e dei partitini nell’orbita del Centrosinistra, più che occuparsi dei programmi, cerca di demonizzare soprattutto Fratelli d’Italia e il suo leader, Giorgia Meloni, accusandola di essere nostalgicamente legata al primo Movimento Sociale Italiano, considerato un partito di ispirazione fascista. A nulla valgono le prese di distanza dalla storia del “Ventennio”, per cui anche al momento della presentazione del simbolo del partito torna la polemica sulla fiamma tricolore che tradizionalmente lo accompagna, prima con il Movimento Sociale Italiano poi con Alleanza Nazionale adesso con Fratelli d’Italia. Mentre la proposta presidenzialista dà lo spunto a Roberto Speranza, intervistato da La Stampa per sostenere che la destra “vuole pieni poteri” per cui sarà la sinistra “a fermarla”.
La enfatizzazione del consenso del quale godono i partiti di Centrodestra nei sondaggi, e specificamente di Fratelli d’Italia, ha peraltro uno scopo ulteriore, quello di una sorta di “chiamata alle armi” degli elettori del Centrosinistra nelle sue varie articolazioni, allo scopo di recuperare voti nell’area dell’astensione. Contemporaneamente dando quasi per certa la prevalenza della destra si mira a rassicurare quell’elettorato che può essere indotto ad “abbassare la guardia” e forse a non votare “tanto vinciamo”. Questo sistema di comunicazione è stato già usato in passato, a volte con successo. Non si va a votare perché si ritiene la propria parte in vantaggio. Del resto è opinione diffusa che l’assenteismo danneggi più il Centrodestra. Che non deve cadere nel trappolone di sentirsi al sicuro perché, pur essendo ragionevole ritenere, sulla base delle intenzioni di voto, che le urne confermeranno il successo dei tre partiti che lo compongono, l’effetto sul nuovo Parlamento dipenderà dal numero dei deputati e dei senatori, non solo ai fini dell’eventuale riforma della Repubblica in senso presidenziale, ma anche per la formazione del governo. Per cui è stato già ipotizzato da vari osservatori che, in una condizione di stallo, il Presidente della Repubblica, che è un esponente della sinistra democristiana, in mancanza di una maggioranza forte e sicura potrebbe riproporre un Draghi bis.
Credo anche che, ai fini delle dimensioni del successo, sia un errore puntare troppo sulla riforma presidenziale, che può essere un elemento divisivo, anzi lo è certamente, per quell’area di centrodestra di ispirazione liberale, di cultura risorgimentale ancorata al sistema parlamentare, nella convinzione che l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, se accompagnata ad un contemporaneo ruolo di governo, possa determinare uno squilibrio notevole nella distribuzione dei poteri, con marginalizzazione delle Camere. E siccome la sinistra, pur minoritaria, si è garantita nel tempo una rilevante presenza nella società e s’impegna molto più della destra nei vari gangli della società, il tema del presidenzialismo può essere un boomerang pericoloso. Molto meglio dare corpo, in modo ragionato, a proposte di riforma dell’organizzazione ministeriale. Ad esempio, non ho sentito ripetere la proposta, importantissima, di istituire un Ministero del mare, che Giorgia Meloni aveva indicato nel corso della Conferenza programmatica di Milano e sulla quale esiste in Parlamento un interessante progetto del senatore Adolfo Urso, uno delle personalità di maggiore capacità governativa nell’ambito di Fratelli d’Italia.
Altri temi di interesse per la campagna elettorale andrebbero sostenuti con maggiore impegno. Come la presenza del Centrodestra nel mondo della cultura, che è la classica scoperta dell’acqua calda, non perché il centrodestra non abbia personalità di rilievo, ma perché gli uomini di cultura nel Centrodestra non sono organizzati come lo sono a sinistra, attivi sui giornali, nelle università, presenti nelle più prestigiose collane delle case editrici. Un tema che si ricollega alla scuola, settore nel quale il Centrodestra è tradizionalmente minoritario, che, invece, la sinistra ha sempre coccolato e che adesso torna ad accarezzare affermando che proporrà stipendi adeguati a quelli degli altri docenti europei.
C’è, poi, il tema delle imposte, che sono pesanti e disturbano lo sviluppo dell’economia e dell’occupazione. E i temi etici, come quello della famiglia, tradizionale della destra, ma enunciato solamente a parole, senza effettive proposte che non siano slogan già sentiti. Come nel caso dei disabili, assolutamente trascurati nei loro diritti anche economici. Basti pensare che non si ha notizia che qualcuno proponga di svincolare la misura delle pensioni dal reddito della famiglia, per tornare al reddito proprio del disabile, com’era fino a poco fa.
E poi, il tema della sicurezza che è sufficiente a soddisfare i cittadini che dall’immigrazione irregolare e pertanto incontrollata ricevono motivi di preoccupazioni per la propria incolumità e per la sicurezza dei propri beni.
Il tempo della campagna elettorale è poco. Occorre maggiore coordinamento tra i partiti del Centrodestra, evitando l’enfatizzazione ora di questo ora di quell’argomento programmatico così dando l’impressione di una concorrenza perniciosa.