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L’eredità Draghi

di Salvatore Sfrecola

“Sono convinto che il prossimo governo, di qualunque colore sarà, riuscirà a superare le difficoltà che sembrano insormontabili: l’Italia ce la farà ancora una volta”. E giù applausi fragorosi, interrotto per oltre 30 volte. Applausi all’ingresso del meeting di Rimini e, naturalmente, applausi figurativi sui giornali, di destra e di sinistra, ciascuno a modo suo. La sinistra ritiene che abbia bacchettato i leader di centrodestra, richiamandoli all’ordine, alle regole interne ed europee, alla necessità di tenere in ordine i conti, la destra, invece, perché con queste sue parole avrebbe offerto un assist importante alla coalizione di Centrodestra, evidentemente immaginando il successo che prefigurano i sondaggi sulle intenzioni di voto. Una sorta di pacca sulla spalla con invito a fare i bravi.

Credo che con questo discorso il Presidente del Consiglio ha voluto, in primo luogo, fare una sintesi della sua esperienza di governo e da essa trarre suggerimenti ai possibili nuovi governanti, con un garbo che stride nel confronto all’ultimo insulto che caratterizza fin qui le la campagna elettorale di molti esponenti della galassia di sinistra, giustamente preoccupata dai sondaggi che accompagnano le diatribe interne, la lotta all’ultimo seggio in un contesto nel quale si sommano minori posti di deputato e senatore insieme a minori percentuali.

Ha parlato da Presidente in carica ma guardando al dopo, non solo ai partiti, ma all’Italia. “Ha parlato di giovani ai giovani. Di futuro, di speranza. Cosa che la politica non riesce a fare”, ha notato Alessandra Ghisleri, intervistata da Francesca Schianchi per La Stampa. L’esperta in sondaggi fa una valutazione che ci sentiamo di condividere, considerato che la politica nei giorni scorsi, con la preparazione delle liste non ha dato un bell’esempio. In quel contesto “arriva un discorso del premier molto alto, rassicurante, “ce la possiamo fare”, ma senza promesse mirabolanti”. Questo significa autorevolezza, quella che aveva assunto al momento dell’insediamento quando, presentando il programma del suo governo alle Camere, aveva evocato Camillo Benso di Cavour e le riforme che il grande statista aveva realizzato per governare. Ha parlato da riserva della Repubblica, come si usa dire, di chi non esce di scena ma sta dietro le quinte per un nuovo incarico, magari europeo, o anche per altri ruoli utili al Paese. E così invita a votare, come deve fare un padre nobile, considerato che il voto è il “dovere civico” che ci fa membri di questa comunità, una sollecitazione molto opportuna perché il bacino degli indecisi è ancora troppo ampio. “Circa il 40 per cento” ad inizio agosto, dice Alessandra Ghisleri. “Molti di questi pensano non serva proprio andare a votare, non si fidano di nessuno”. E alla domanda di Francesca Schianchi, su siano gli argomenti che possono convincere questi indecisi, la Ghisleri risponde “i temi che toccano la loro quotidianità. Si fanno domande sulla loro vita di tutti i giorni e chiedono alla politica delle risposte”. Semplice no? Invece troppo spesso, come leggiamo sui giornali e come sentiamo nelle trasmissioni televisive, agli argomenti della polemica, che è certamente necessaria nel confronto tra i partiti, sono assolutamente estranei i problemi della quotidianità, anche quelli che derivano da situazioni di fondo che tutti coinvolgono, come il costo dell’energia ed i pericoli della guerra.

E così sullo stesso giornale Marcello Sorgi titola “Il congedo che ispira ottimismo” perché non c’è dubbio che Mario Draghi abbia voluto lasciare con un augurio, un po’ perché a mio modo di vedere desiderava passare il testimone, come aveva cercato di fare a gennaio manifestando la sua disponibilità per il Quirinale, un po’ perché, da uomo di stato, sente di dover essere sempre a disposizione della Repubblica. Pertanto, rivendica quelli che ritiene i suoi successi e li indica come una traccia per il Governo che verrà, che dovrà guardare all’interno per mettere un po’ d’ordine nelle tante cose che non vanno, messe in risalto dalla crisi economica e sociale, dalle disfunzioni delle amministrazioni che non aiutano chi intende intraprendere, alla grave condizione delle infrastrutture idrauliche e all’assetto del territorio che si è rivelato alla mercè dell’ultimo degli incendiari senza prevenzione e senza repressione degli illeciti. Uno Stato che ha difficoltà a mettere mano al sistema fiscale, il più importante strumento di politica economica e di giustizia sociale. Con oltre 100 miliardi di evasione fiscale l’anno il ruolo del fisco è solamente quello di acquisizione delle risorse necessarie per la spesa.

L’eredità di Draghi sta dunque nelle cose fatte, nell’autorevolezza che ha contraddistinto la sua azione in Europa, anche in relazione alla crisi dell’Ucraina, e in quelle prefigurate ma non portate a termine, come la riforma dell’amministrazione, che ci aveva illuso avrebbe perseguito sulle orme di Cavour, una riforma inopinatamente messa nelle mani di Renato Brunetta, e la riforma del fisco per restituire potere d’acquisto alle persone e ossigeno alle imprese perché siano messe in condizione di incrementare le produzioni e creare nuovi posti di lavoro.

Ho impressione che con il tono pacato che gli è proprio Mario Draghi non solo abbia voluto fare un consuntivo e indicare il da farsi ma si sia voluto tenere pronto nel caso il risultato elettorale non desse una maggioranza certa e solida. Pronto ad un Draghi bis che, con tutta la stima, il Centrodestra vorrebbe fortemente evitare.

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