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Salerno, settembre 1943. I combattimenti al caposaldo “San Liberatore” (a cura di Francesco Lamberti[1], con presentazione di L. Klinkhammer e prefazione di F. Mini, Jovene, Napoli, 2022, pp. 659, € 80.00)

del Prof. Renato Federici

1. Alla fine di settembre del 1943, Salerno e parte cospicua della sua provincia erano diventati un immenso campo di battaglia abbandonato dai combattenti: migliaia di cadaveri in decomposizione disseminati un po’ ovunque … carcasse di mezzi militari, macerie, armi ed ordigni inesplosi   … popolazione allo stremo[2].

Questo libro a cura di Francesco Lamberti ricorda, oltre le fasi belliche, anche quelle post belliche e, in particolare, quelle di coloro che la guerra l’avevano perduta. Ciò non vuol dire che i resti mortali dei soldati della parte vincente valessero di meno. Tutt’altro! Le salme dei soldati alleati sarebbero state raccolte subito[3]. Operazione impossibile per la parte sconfitta, che aveva dovuto abbandonare in fretta e furia quel territorio.

2. Ci si potrebbe chiedere: perché preoccuparsi dei caduti? Ormai, sono morti! Ci si doveva pensare prima. Ormai è troppo tardi. Ma, poi, che cosa ne viene ai defunti? Invero, a pensarci bene, la sepoltura o la cremazione delle spoglie è una pratica che serve più ai vivi che ai morti: evita lo spargersi delle infezioni, delle epidemie, scongiura la vista orribile dei corpi in decomposizione e il loro puzzo nauseabondo.

La sepoltura (o la cremazione) è un rito richiesto dalle antiche e moderne religioni. Nella Grecia antica, ad esempio, era compito dei parenti dare una degna tumulazione ai propri cari, per facilitare il passaggio delle loro anime verso il regno dei morti. Altrimenti, gli spiriti  dei defunti sarebbero stati condannati dalle leggi divine a vagare in eterno. Sofocle, in una sua celebre tragedia (nell’Antigone), ricorda l’editto del re di Tebe, Creonte. Il quale, per sfregio nei confronti dei fuoriusciti dalla propria città, aveva vietato la sepoltura dei “traditori” (di coloro cioè che avevano imbracciato le armi contro la loro città d’origine). Sofocle pose in scena il dubbio su quale legge prevalesse: quella umana emanata dal re Creonte o quella divina.  Antigone optò per la legge divina e ne pagò le conseguenze con la condanna a morte; ma non andò meglio a Creonte, il cui figlio, per amore di Antigone, si sarebbe suicidato.

3. La morte è una livella (come disse Totò!), ma quando colpisce i giovani è una livella arrivata troppo presto. E le medaglie al valore servono poco. Per chi crede nell’Aldilà, il discorso è più semplice. Essi sperano nel compenso divino, nella legge del contrappasso, presente (più o meno) in tutte le religioni.

4. Lo sbarco nella baia di Salerno (nome in codice: “operazione Avalanche”) iniziò il 9 settembre 1943[4]. La conquista della baia fu rapida. Gli scontri immediatamente successivi per «l’avanzata nella stretta di Cava de’ Tirreni, un vero imbuto da oltrepassare prima di raggiungere l’agro napoletano», furono persi dai tedeschi e vinti dagli Alleati, che sfondarono sulle alture sopra Cava de’ Tirreni[5].

Le operazioni militari, tutto sommato, furono abbastanza brevi, ma non per questo vanno dimenticate. Si potrebbe tentare un paragone con gli avvenimenti narrati nel Niente di nuovo sul fronte occidentale: il romanzo storico di Enrich Remarque[6]. Remarque ricorda (immagina) i fatti relativi alla morte di un soldato tedesco colpito da un cecchino in un momento di apparente pausa dei combattimenti. Agli alti comandi era sembrato che in quello stesso momento non fosse successo nulla su quel fronte. Il libro di Remarque, che non andrebbe dimenticato, contiene un drammatico messaggio contro la guerra. Romanzo che i caduti tedeschi di tutti i fronti della seconda guerra mondiale non avevano potuto leggere, perché bandito dal governo nazista. 

5. Osserva Fabio Mini: «qualsiasi resoconto storico degli avvenimenti di guerra fornisce dati e notizie essenziali», ciò però crea «la falsa percezione che, tra un evento e l’altro non sia successo nulla»[7]. Spesso la storia è scritta dai vincitori che con essa si auto-celebrano e, al contempo, criminalizzano i vinti[8]. Tuttavia è arcinoto che la guerra «è un atto di forza che ha per (i)scopo di costringere l’avversario a sottomettersi alla nostra volontà»[9]. Per il grande umanista Erasmo da Rotterdam, la guerra piace a chi non l’ha vista in faccia[10]. Egli riportava il consiglio di Vegezio, espresso nel III libro Dell’arte militare: «non fidatevi, se la recluta smania per combattere: la guerra piace a chi non la conosce». E Vegezio non era stato il primo ad essere di quest’idea. Nello stesso senso si era espresso Pindaro.

Se c’è una cosa che «è opportuno evitare, scongiurare, respingere in ogni modo possibile»,  questa è la guerra: «nulla è più empio di essa, nulla di più sciagurato, nulla di più pericoloso, nulla è più tetro e più indegno per l’essere umano, per non dire del cristiano»[11]. Addirittura «si farebbe fatica a dire quanto al giorno d’oggi», «per ogni dove e con quale audacia e leggerezza le guerre si intraprendono e quanto ferocemente e barbaramente si conducono non solo da parte dei popoli pagani ma anche dai cristiani»[12].

Secoli dopo, il filosofo Kant avrebbe fatto eco a simili parole sante, coll’affermare che «la ragione … condanna in modo assoluto la guerra»[13]. «Ne consegue che una guerra di sterminio in cui la distruzione può colpire contemporaneamente entrambe le parti ed ogni diritto venire soppresso, darebbe luogo alla pace perpetua unicamente sul grande cimitero del genere umano»[14]. La guerra è traditrice: incanta, seduce e tradisce come e più delle sirene.

I grandi dell’antichità, in certi casi, per evitare inutili stragi e per porre fine a una guerra, avevano escogitato i duelli. Classico quello tra il piccolo Davide e il gigante Golia; oppure tra Orazi e Curiazi. In Grecia si erano inventati le olimpiadi. Nel Medioevo erano in uso i torneicavallereschi. Dunque: «la guerra è …  un assassinio di massa (Kelsen), una violenza collettiva e organizzata (Bobbio), una carneficina di Stato (Lombardi Vallauri)»[15]. In altre parole, la guerra è un inferno[16].

Oltre a tutto ciò, tecnicamente, la guerra è stata definita da von Clausewitz, come la prosecuzione della politica con altri mezzi[17]. “Mezzi altri” e “mezzi diversi” esprimo lo stesso concetto, quindi diventa necessario chiarire quali sono i mezzi diversi dalla guerra. A nostro avviso, la guerra è lo strumento alternativo al diritto (alle leggi, alle sentenze, alla buona amministrazione pubblica e privata). Per spiegarci meglio: le classi sociali dominanti all’interno di ogni società o di ogni ordinamento giuridico hanno a disposizione due strumenti per governare: lo strumento bellico e lo strumento giuridico[18]. I ceti dominanti (ovviamente) cambiano, si possono modificare anche radicalmente al variare delle popolazioni, dei tempi e dei territori. Evidentemente possono mutare le preferenze per un criterio o per l’altro.

Il metodo giuridico si fonda (o dovrebbe fondarsi) sul consenso popolare. Tanto più è ampia l’accettazione popolare, tanto più è democratico l’ordinamento giuridico. Lo Stato è democratico quando il consenso popolare è esteso. L’adesione spontanea della popolazione alle scelte dei governanti evita o riduce di molto il bisogno di utilizzare la coercizione, in quanto i riottosi e i potenziali trasgressori sono pochi o pochissimi.

Con gli strumenti bellici o di tipo bellico, le classi dominanti di ogni aggregato sociale (ad esempio, lo Stato) vogliono imporre la propria volontà contro quella degli altri Stati o delle altre organizzazioni presenti all’interno dello Stato. Laddove il diritto fallisce (dove, si potrebbe dire, le buone maniere falliscono) subentrano i criteri alternativi, e cioè: quelli a carattere bellico.  

«La guerra non è mai giusta: può essere inevitabile, può essere scusabile, ma non è mai giusta»[19]. Il diritto, invece, dovrebbe essere giusto (dovrebbe essere l’arte del buono e dell’equo[20]). In realtà, gli ordinamenti giuridici (i cosiddetti diritti oggettivi: fatti di leggi, di contratti, di sentenze, di provvedimenti amministrativi, ecc.) raramente sono veramente giusti ed equi. Il diritto, molto semplicemente, è l’altro strumento a disposizione delle classi dominanti. È la continuazione delle scelte sociali, politiche ed economiche con i mezzi meno violenti. Il che vuol dire altresì che il suo contrario (e cioè la guerra) è la prosecuzione della politica e dell’economia con mezzi diversi dal diritto. Si può dire che, indirettamente il generale von Clausewitz aveva intuito anche il concetto di diritto. Ma nessuno se ne era accorto, né era stato possibile chiederlo allo stesso von Clausewitz, poiché il suo libro era uscito postumo»[21].  

Per Clausewitz i mezzi diversi dalla guerra sarebbero quelli diplomatici. I mezzi diplomatici, come i giuristi sanno, a loro volta sono mezzi giuridici. Si potrebbe affermare che la tesi da noi sostenuta non sia altro che un piccolissimo ritocco di quella di Clausewitz. Invero, essere accostato a Clausewitz già sarebbe tanto. Ma noi pensavamo di discostarcene un po’ di più. E questa volta, con l’aiuto della tesi formulata da Santi Romano[22], sulla pluralità degli ordinamenti giuridici. In breve, Santi Romano ha chiarito e esplicitato che nello stesso territorio e presso la stessa popolazione, in contemporanea, possono esistere due o più ordinamenti giuridici. Invero il fenomeno era già stato intuito e messo in luce magistralmente da Sofocle nell’Antigone (legge divina e legge umana). Ma i giuristi se ne sono resi conto dopo la pubblicazione dello scritto di Santi Romano. Questi diversi ordinamenti giuridici possono vivere in concordia oppure in disaccordo più o meno esplicito e più o meno con carattere bellico. Si pensi, in particolare alle guerre civili e alle rivoluzioni[23]. Queste tragedie umanitarie si combattono fra la stessa popolazione e nell’ambito del medesimo territorio. Lo Stato è attaccato (dall’interno) dai rivoluzionari[24].  Nel caso della guerra tradizionale, invece, la controversia viene affrontata e combattuta  fra due o più Stati (fra gli ordinamenti giuridici di due o più Stati).

6. In guerra si combatte e si muore tanto per un’idea, quanto per una menzogna. Questa nostra idea è piaciuta al Lamberti[25]. Ciò premesso, possiamo dunque notare il comportamento delle truppe sui fronti contrapposti: sulla strategia, sulla tattica e sul rispetto delle regole umanitarie (ossia di quelle regole, che non influiscono sull’esito dei combattimenti, ma che rispettano in qualche modo la vita dei prigionieri, dei civili, dei non combattenti, che, loro malgrado,  si trovano nei pressi dei campi di battaglia). 

Invero, i violenti scontri successivi allo sbarco nella baia di Salerno[26] sono un nulla rispetto alla carneficina prodotta dalle battaglie nei pressi di Anzio e Nettuno. Quest’altro attacco dal mare si sarebbe reso necessario per superare e aggirare l’asperrima difesa di Cassino, da parte delle forze germaniche. Eppure, questi combattimenti nei dintorni di Salerno, che possiamo considerare minori, fecero tanti morti[27]. Tra il 10 e il 13 settembre, ad esempio, nei pressi di Dragonea infuriarono sanguinosissimi scontri che si conclusero anche con azioni di corpo a corpo[28].      

Le forze militari tedesche iniziarono a ritirarsi velocemente anche perché, nel frattempo, alle loro spalle, la città di Napoli era già insorta e aveva costretto le truppe di occupazione germaniche ad allontanarsi dall’abitato napoletano. Le famose quattro giornate di Napoli, infatti, si erano svolte tra il 27-30 settembre 1943. Gli Alleati, da Salerno, sarebbero arrivati a Napoli subito dopo: il primo di ottobre, a città liberata.

7. Probabilmente, la parte meno conosciuta di questa storia concerne la sorte dei resti mortali dei soldati tedeschi abbandonati nei dirupi, ai margini delle strade e/o altrove: appena ricoperte di un po’ di terra e alla mercé degli animali selvatici. Erano sepolture provvisorie, superficiali e anonime. In guerra tutto è incivile, ma a guerra finita e a pace avvenuta, ritorna un po’ quel senso di umanità che certamente era mancato in guerra.

8. A questo punto è da ricordare un antefatto relativo all’elaborazione del libro in commento. Nel dicembre 2012, «la Commissione italo-tedesca degli storici, istituita per volere dei due Stati, propose di intraprendere» nuove ricerche al fine di poter «considerare le vicende da nuove angolature»[29]Salerno, settembre 1943 è frutto di questa nuova prospettiva. Da essa emerge la figura misericordiosa di “Mamma Lucia, al secolo Lucia Apicella. Una donna e madre di Cava de’ Tirreni, che, all’epoca dei fatti, aveva superato i cinquant’anni e si avvicinava ai sessanta[30]. Lucia Apicella iniziò la sua opera compassionevole di recupero delle salme dei soldati tedeschi caduti nei pressi di Cava de’ Tirreni nel maggio del 1946, quasi tre anni dopo la loro morte. “Mamma Lucia” non ha salvato vite umane, ma ha rintracciato i resti mortali di molti soldati (all’incirca 800)[31], morti in quei luoghi e abbandonati a se stessi. Viene ricordata, soprattutto in Germania, per aver permesso una degna sepoltura delle salme rinvenute; e per aver consentito di segnalare ai genitori e ai parenti sopravvissuti la località dove erano caduti i loro cari e dove, poi, avrebbero riposavano le loro ossa. Non va dimenticata, peraltro, una scritta rinvenuta sopra una sepoltura superficiale e provvisoria: Vento del Tirreno, tu che conosci il mio nome, bacia mia madre sulle bianche chiome[32]. Segno tangibile che in quel territorio le truppe tedesche non si erano macchiate di crimini contro l’umanità[33].


[1]      Coautori: A. TESAURO, Da Marina di Vietri a Cava: due settimane per conquistare il passo di Molina, pp. 53- 78; G. FIENGA, Il caposaldo”San Liberatore”: storia struttura e mappatura, p 199-217; G. DELLA BELLA, Dragonea, ricordi ormai scomparsi di una battaglia, p. 219-223.; E. CAFARO, Sentieri di guerra, p. 223-229; F. LAMBERTI e E. CAFARO, I caduti tedeschi: un censimento e una geolocalizzazione mai tentati prima, pp. 230-233.

Lo  studio è arricchito da lunghi e dettagliati elenchi dei caduti tedeschi; elenchi ricostruiti da F. LAMBERTI e A. CANTORO,.

[2]      F. LAMBERTI, Salerno, settembre 1943, cit. p. 236.

[3]      F. LAMBERTI, Salerno, settembre 1943, cit. p. 238

[4]      Alle ore 3,30 del mattino, iniziò lo sbarco nel litorale di Vietri di 283 commandos britannici. La resistenza fu scarsa (cfr. F. LAMBERTI, op. cit., p. 82).

[5]      L. KLINKHAMMER, Presentazione, in Salerno, settembre 1943, cit., p. 3.

[6]      E. REMARQUE, Niente di nuovo sul fronte occidentale, 1928/29.

[7]      F. MINI, Prefazione, in Salerno, settembre 1943, cit. p. 11.

[8]      F. MINI, Prefazione, in Salerno, settembre 1943, cit. p. 19.

[9]      K. von CLAUSEWITZ, Della guerra (testo pubblicato postumo fra il 1832 e il 1834). L’edizione italiana consultata e citata  è quella a cura di A. BOLLATI e F. CAVALLARI, ristampa negli Oscar Mondadori, 2006, p. 19.

Sempre secondo CLAUSEWITZ (Della guerra) le componenti principali della guerra sono: 1) il cieco istinto; 2) la spinta proveniente dal ceto dei militari (valore, strategia, calcolo delle probabilità; la ricerca di onori e di ricchezza; 3) la pura e semplice ragione politica (p. 40 s.). Cfr., ad esempio, F. LAMBERTI, Il peacekeeping: fine di un (falso) mito, Giuffrè, Milano, 2021, p. 2.

[10]    ERASMO da Rotterdam, Adagia, 3001 (trad. E. Lelli) Bompiani, Milano, 2017, p. 2143. Si è tenuta presente anche la selezione degli Adagia a cura di D. CANFORA, Salerno editore, Roma, 2003, p. 691.

[11]    ERASMO da Rotterdam, Adagia, 3001, cit., p. 2143; D. Canfora, Adagia, cit., p. 693.

[12]    ERASMO da Rotterdam, Adagia, 3001, cit., p. 2143; D. Canfora, Adagia, cit., p. 693.

[13]    E. KANT, Per la pace perpetua (1795), in Stato di diritto e società civile (a cura di N. Merker), Editori Riuniti, Roma, 1982, p. 179.

[14]     E. KANT, Per la pace perpetua, cit., p. 187.

[15]    R. FEDERICI, Guerra o diritto? Il diritto umanitario e i conflitti armati tra ordinamenti giuridici. Affinché i cittadini non vengano alle armi, Editoriale Scientifica, Napoli, III ed., 2013, p. 322 e altrove.

[16]    W. T. SHERMAN, Memoires, New York, 1875, p. 119 s.

[17]    K. von CLAUSEWITZ, Della guerra, cit., p. 9, 38 s.

[18]    R. FEDERICI, Guerra o diritto?, cit., passim.

[19]    R. FEDERICI, Guerra o diritto?, cit., p. 25 e altrove.

[20]    Jus est ars boni et aequi. È questa la formula, attribuita ad Ulpiano, con la quale inizia il Digesto di Giustiniano.

[21]    R. FEDERICI, Guerra o diritto?, cit.p. 322.

[22]    Santi ROMANO, L’ordinamento giuridico, prima ed. 1917/18; seconda edizione, 1946. La copia da me consultata e citata è una ristampa del 1977, Sansoni, Firenze, 1977.  

[23]    R. FEDERICI, Rivolte e rivoluzioni. Gli ordinamenti giuridici dello Stato e dell’anti-Stato. Sulla differenza fra strutture e sovrastrutture, Editoriale Scientifica, Napoli, 2019.

[24]    R. FEDERICI, Rivolte e rivoluzioni, cit.

[25]    F. LAMBERTI, Salerno, settembre 1943, cit. p. 252. 

[26]    F. LAMBERTI, Salerno, settembre 1943, cit. p. 97, 108.

[27]    Cfr. gli elenchi  lunghi e dettagliati dei caduti tedeschi, elaborati da F. LAMBERTI e A. CANTORO.

[28]    F. LAMBERTI, Salerno, settembre 1943, cit. p. 100 ss., 127.

[29]    L. KLINKHAMMER, Presentazione, op. cit., p. 2.

[30]    Sarebbe morta all’età di anni 94, nel 1982. cfr, L. LAMBERTI, Salerno, settembre 1943. cit., p. 569.

[31]    Cfr.  F. LAMBERTI, Salerno, settembre 1943, cit. p. 283.

[32]    Cfr.  F. LAMBERTI, Salerno, settembre 1943, cit. p. 283.

[33]    In tal senso, F. MINI, op. cit., p. 19.

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