di Salvatore Sfrecola
Per smentire l’accusa di essere un partito con poche idee, con proposte politiche “populiste”, demagogiche, senza una visione strategica delle esigenze dell’intero Paese, la Lega manda nelle librerie un volume, curato da Giuseppe Valditara, Ordinario di Diritto romano a Torino, nonché coordinatore del think tank “Lettera 150”, e Alessandro Amadori, Docente di comunicazione Politica alla Cattolica di Milano e partner dell’Istituto Piepoli, con la prefazione di Matteo Salvini: È l’Italia che vogliamo, il manifesto della Lega per governare il Paese, Piemme, Milano, settembre 2022, pp. 228, € 18,90.
È Matteo Salvini ad indicare la linea di una risposta culturale ad un pregiudizio “ottuso e caparbio”, come tutti i pregiudizi, che accompagna la Lega fin dalle sue origini, da parte di quella politica che ha preteso “di autoincoronarsi come “élite” del Paese” nel presupposto che considera la società e i cittadini “come un qualcosa da modellare. Il popolo come una mandria da dirigere, educare e rieducare”. Che impone modelli, induce “comportamenti, condiziona il modo di vivere, di lavorare, di viaggiare, di usare la lingua italiana…”. Per questi politici “i guai dell’Italia sono gli italiani”.
Non ci sta Matteo Salvini, per il quale “la sola speranza dell’Italia sono gli italiani! E dire “Prima l’Italia” equivale a riconoscere il primato della società di fronte a qualsiasi autorità voglia usurparne le prerogative. Stato, Fisco, Burocrazia, Mercato, Unione europea… nessuna di queste parole deve più essere usata a pretesto per soffocare la vita reale. Prima le esigenze dell’essere umano, la sua realizzazione come individuo, nella famiglia, nelle associazioni, nel lavoro. Prima la concretezza dell’esperienza, della tradizione, dello sviluppo economico e tecnico. Prima la democrazia, intesa come legame di rappresentanza tra territori e Governo.
Un Paese. Una visione. Un progetto. Una patria.
Un’identità di cui essere fieri.
La nostra, l’unica che abbiamo.
Riscoprirla non è una questione astratta né il rimpianto di glorie perdute. È urgenza, necessità, dovere del tempo presente.
La politica intesa, prima di tutto, come rappresentanza delle necessità reali di chi produce progresso e ricchezza, sia materiale, economica, sia dal punto di vista culturale: nel volontariato, nell’educazione, nella sanità e in tutti i campi in cui il talento dei singoli e delle comunità dispiega il suo potenziale”.
Un richiamo all’orgoglio di essere italiani, che richiede un grande impegno a fronte del quale È l’Italia che vogliamo “rappresenta qualcosa di più di un programma di governo: è un crocevia di istanze territoriali e competenze di alto valore accademico raccolte e messe in relazione dal lavoro appassionato di due firme di prim’ordine”, Alessandro Amadori e Giuseppe Valditara. I quali hanno costruito il volume come un’agenda idonea a rispondere alle sfide che in questa stagione politica l’Italia si trova ad affrontare, dalla crisi energetica all’instabilità internazionale, messa drammaticamente in evidenza dall’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina, senza trascurare i piani di riforma delle procedure burocratiche, le politiche digitali, “un invito – conclude Salvini nella sua prefazione – a riprendere in mano, persona per persona, territorio per territorio, comunità per comunità, il destino del nostro meraviglioso Paese”. Un Paese, ci permettiamo di aggiungere, avendone scritto a più riprese, la cui ricchezza proviene dalla storia, dalla cultura, dagli ambienti naturali che fanno dell’Italia un unicum al mondo, dacché da Nord a Sud è un susseguirsi di città e borghi meravigliosi che nell’arte ci dicono di storie culturali e politiche straordinarie.
Per Amadori e Valditara quella che si trovano a dover affrontare oggi e nella prospettiva delle elezioni legislative del 25 settembre è “la sfida da vincere per un Paese che dovrà essere liberale nell’economia e nella società, saggiamente conservatore nei valori, profondamente repubblicano nella sua cultura collettiva; soprattutto, che dovrà recuperare il senso della realtà e della concretezza, contro l’ideologismo velleitario e astratto, da qualsiasi parte esso provenga. Il senso della responsabilità contro l’anarchia”. A difesa degli interessi delle persone di fronte ai rischi della disumanizzazione della società, dello sradicamento dell’individuo, dell’impoverimento delle famiglie “del diffondersi e del radicarsi delle crescenti paure collettive”. Una sfida per “cogliere le straordinarie prospettive di crescita sociale, civile, economica, così come le grandi opportunità di miglioramento della qualità della vita per tutti i cittadini, che si profilano all’orizzonte. Per costruire il futuro su solide basi e ridare una speranza ai tanti italiani sempre più disillusi e rassegnati”.
Pagine ricchissime di analisi e di soluzioni, entrambe prospettate con linguaggio estremamente chiaro anche laddove il richiamo è a riflessioni messe a punto da studiosi nelle varie discipline, accademici di valore operanti nelle università italiane, giuristi, medici, ingegneri, fisici, statistici che gli Autori ringraziano “per il prezioso contributo dato, in particolare per i materiali offerti per la stesura del capitolo” che illustra “progetti concreti per un Paese che rinasce”. Dalla politica estera, l’immigrazione e la democrazia, per continuare con la pubblica amministrazione, l’università, la ricerca, l’innovazione, la scuola e la formazione, il diritto e la giustizia, la sicurezza, il fisco e il lavoro, la politica industriale e lo sviluppo economico, le grandi infrastrutture per lo sviluppo: energia, trasporti, finanza, la sanità e la qualità della vita.
“L’Italia che vogliamo è, in primo luogo, un Paese che pensa lungo e agisce velocemente. È un Paese che promuove le autonomie e le istanze federaliste nel contesto dell’unità nazionale, un paese liberale, sovrano e ben consapevole dei suoi interessi nazionali, capace di perseguirli con saggezza e determinazione anche grazie ad una Unione europea che vuole più impegnata sui grandi temi strategici e non invece fonte di ulteriori lacci burocratici. È un Paese con valori ben radicati, che non rigetta né dimentica”. Nella consapevolezza che solamente una comunità caratterizzata da una forte identità assunta dalla propria storia politica e culturale, soprattutto se articolata come la nostra, costituisca un popolo capace di proiettarsi in un futuro di duraturo progresso.