di Salvatore Sfrecola
“Mattarella corregge Meloni”, titolava ieri in prima, a nove colonne, La Stampa di Torino, a proposito di un paio di riferimenti al Covid, “non è ancora sconfitto” e “responsabilità, fondamentale la campagna vaccinale” nell’intervento del Presidente della Repubblica alla celebrazione de “I giorni della ricerca” dell’AIRC. Ugo Magri getta acqua sul fuoco. “non è una polemica preventiva, tanto meno in “tackle” a gamba tesa. Chi meglio conosce gli umori del Colle esclude che Sergio Mattarella abbia voluto mettere nel mirino il neonato governo Meloni. Si tratta in fondo di concetti da lui mille volte ribaditi: la gratitudine nei confronti della scienza che ci ha regalato i vaccini, la guardia da mantenere alta rispetto alle possibili evoluzioni della pandemia, l’importanza della Sanità pubblica”. E conclude: “immaginare che, dopo nemmeno due settimane, Quirinale e Palazzo Chigi siano già ai ferri corti suonerebbe davvero eccessivo”. Nessun richiamo, “solo buoni consigli”, anche se “è impossibile non cogliere una netta dissonanza tra le raccomandazioni prudenti di Mattarella e la fretta con cui i vincitori delle elezioni si apprestano a voltare pagina”.
Insomma, il Presidente della Repubblica dissente dal Presidente del Consiglio e, implicitamente, dalla maggioranza che sostiene il Governo. E non la manda a dire. Considerato che anche Marzio Breda, altro quirinalista di rango, sul Corriere della Sera scrive di “un avvertimento che suona particolarmente importante, dopo che Giorgia Meloni ha annunciato un cambio di passo nell’affrontare la coda della pandemia”.
Non c’è dubbio che tanto Magri quanto Breda ritengano di interpretare le parole del Presidente come un monito a Giorgia Meloni ed alla sua politica in materia di lotta alla pandemia. Non è la prima volta che Sergio Mattarella interviene, con richiami e sollecitazioni, su questioni specifiche, evidentemente ritenute meritevoli dell’attenzione di chi “rappresenta l’unità nazionale” (art. 87 Cost.), espressione che molto affatica da sempre la dottrina costituzionalista, profondamente divisa sul contenuto di quella espressione. C’è chi ritiene, ad esempio, che quella “rappresentanza” costituisca il fondamento di un rapporto diretto con l’opinione pubblica, quale fonte di legittimazione autonoma per farsi voce di esigenze che provengono dalla società civile, quasi a giustificare l’esistenza di un “indirizzo politico” del Presidente della Repubblica, anche contro i soggetti legittimati dalla Costituzione per influenzarli, “in contrapposizione ai partiti ed alla maggioranza in carica”, come riassume Flavia Dimora nel Commentario breve alla Costituzione di Bartole e Bin prendendo spunto, in particolare dalle esternazioni, pur di vario contenuto dei Presidenti Ciampi, Cossiga e, soprattutto, Pertini. E richiama anche parte della dottrina “che ha dato un giudizio complessivamente negativo sulle norme costituzionali che riguardano il Capo dello Stato, parlando di testo costituzionale ambiguo”.
Con i limiti dovuti a questa sede, appare comunque utile richiamare un dato fondamentale: il Presidente della Repubblica opera all’interno di una forma di governo parlamentare i cui confini sono rappresentati dalla responsabilità politica del Governo nei confronti del Parlamento “al cui raccordo è attribuita la funzione di indirizzo politico, e dalla corrispondente irresponsabilità del Presidente della Repubblica”, cito sempre dal Commentario richiamato.
È, dunque, evidente che in un ordinamento parlamentare il Capo dello Stato è un garante imparziale della legalità costituzionale, in posizione di assoluta terzietà ed estraneità rispetto alla funzione di indirizzo politico della maggioranza. Imparziale ed estraneo, dunque, rispetto alla funzione di governo, il Capo dello Stato, cui compete il controllo costituzionale su alcuni degli atti più importanti dell’Esecutivo (autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo, emana i decreti legge, nomina taluni pubblici funzionari), deve limitare i suoi interventi alla verifica formale degli atti sottoposti alla sua firma sotto il profilo della loro legittimità, evitando di dar corpo a quell’“indirizzo politico costituzionale” che, secondo alcuni, come si è fatto cenno attuerebbe un controllo dell’indirizzo politico della maggioranza. Con l’effetto di abbandonare il ruolo di “garante dei poteri”, in rapporto all’osservanza della Costituzione. Ciò che altererebbe la natura parlamentare della Repubblica.
E viene naturalmente in mente quanto abbiamo osservato nel Regno Unito, culla del regime parlamentare, nel quale gli interventi del Sovrano sono rarissimi, solo sei in settant’anni di regno quelli della regina Elisabetta, a parte i messaggi di Natale, misurati eppure di straordinaria efficacia, come nel caso della pandemia quando disse “vi parlo in un tempo che so essere di crescente difficoltà: un tempo di sconvolgimento nella vita del nostro Paese che ha portato dolore ad alcuni, problemi economici a molti ed enormi cambiamenti nella vita quotidiana di tutti noi”. Per concludere “insieme stiamo affrontando l’emergenza, se restiamo uniti vinceremo noi… dobbiamo confortarci pensando che i giorni migliori torneranno”. Un richiamo forte all’unità e all’identità anglosassone. Nessun riferimento a come risolvere i problemi sanitari ed economici dei suoi concittadini. Nel rispetto del ruolo del Primo Ministro, cui compete decidere, e della Camera dei Comuni che le scelte del governo ha il compito di giudicare per mandato popolare.
A Londra. Se a Roma il Presidente della Repubblica, eletto da una maggioranza di centrosinistra, ritiene di dover, all’occorrenza, correggere”, come scrive La Stampa, le scelte politiche di un governo di centrodestra il Paese si avvia ad una difficile “coabitazione”, con effetti negativi sull’equilibrio dei poteri e, in fin dei conti, sulla democrazia.