di Salvatore Sfrecola
Ieri hanno pagato l’acconto Irpef, il 16 dicembre pagheranno l’Imu. Gli italiani appartenenti aI “ceto medio” sono coloro che sopportano gran parte degli oneri tributari. Con una pressione fiscale arrivata al 43 3%, una media che colloca l’Italia al quarto posto fra i paesi dell’OCSE per incidenza della tassazione. Si è detto più volte che oltre i 2/3 dell’entrata Irpef è dovuta alle imposte che pagano dipendenti e pensionati. Evidentemente siamo ad un punto di rottura che molto deve preoccupare la classe politica al governo che a quella categoria di persone fa riferimento, a quel ceto medio produttivo che non elude e non evade, e pertanto s’indigna nel sentire e leggere che l’evasione è alta perché mancano i controlli. Ma direi che, prima di tutto, manca un sistema, come abbiamo più volte segnalato, che attui un contrasto di interessi tra i contribuenti consentito dalla possibilità di dedurre spese dal reddito imponibile. Come viene praticato in altri paesi ma che in Italia non riesce a trovare accoglienza fra i tecnici del Ministero dell’economia e delle finanze preoccupati che una scelta in tal senso determini un calo del gettito. È evidente che una riforma che consentisse la più ampia possibile deduzione di spese vada fatta gradualmente, con accortezza, ma con la necessaria determinazione perché è la strada per giungere alla riduzione drastica e progressiva dell’evasione fiscale è un dovere di civiltà giuridica e di giustizia ma anche un impegno che l’Italia ha assunto con gli obiettivi che ci siamo dati in rapporto al PNRR, come ha ricordato nei giorni scorsi il Presidente della Repubblica, in visita in Svizzera. “Questo è un tema – ha ricordato il Capo dello Stato – sottolineato con molta concretezza e indicazioni, tra l’altro già definito con l’Unione Europea”. Aggiungendo che “non vi sono segnali che venga cambiato”. Richiesto, poi, dai giornalisti di esprimersi sui richiami dell’Europa sul fisco e sul rischio che l’Italia conquisti la maglia nera dell’evasione, Mattarella si è detto “diffidente sulle definizioni che vengono date di maglia nera, prima o ultima in classifica perché generalmente nascono da criteri difformi da Paese a Paese, quindi, sono refrattario all’uso di queste definizioni così a-scientifiche”.
Il tema del fisco giusto è all’attenzione della classe politica da sempre. E da sempre inadeguatamente affrontato, come dimostrano le rilevazioni che si leggono nel rapporto di “Itinerari Previdenziali” e CIDA (Confederazione italiana dirigenti e alte professionalità), presentato ieri al CNEL, sulla base delle dichiarazioni del 2021 (redditi del 2020)che segnalano come, su poco più di 41 milioni di contribuenti, siano appena 5 milioni quelli sui quali grava il peso di quasi il 60% dell’Irpef versata nelle casse dello Stato. Ha sottolineato, in proposito il Presidente di CIDA, Stefano Cuzzilla, che sono questi 5 milioni di contribuenti a caricarsi il Paese sulle spalle. “Il fatto che i lavoratori con redditi superiori a 35 mila euro lordi siano appena il 13% apre a un’unica alternativa: o stiamo scivolando verso un impoverimento generale non adeguato a una potenza industriale oppure in questo Paese c’è un sommerso enorme”. Con conseguenze evidenti: “il risultato è il danno per chi onestamente continua a contribuire al welfare e alla solidità dei conti pubblici e che, negli ultimi decenni, è stato costantemente penalizzato da blocchi della perequazione, rivalutazioni parziali e contributi di solidarietà, perdendo potere d’acquisto”.
La conclusione, sottolineata da Il Sole 24 Ore, in un pezzo di ieri a firma di Marco Mobili e Giovanni Parente, è che “un numero sempre più esiguo di contribuenti paga sempre di più. In tutto questo non si può dimenticare il problema del sommerso e dell’evasione. Aggiungendo che Brambilla, Presidente del centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali, rileva “una differenza tra le diverse classi troppo marcata e destinata ad acuirsi per effetto dei recenti provvedimenti che aumentano importo e platea dei destinatari di bonus e agevolazioni varie. Giusto aiutare chi ha bisogno ma i nostri decisori politici tendono a trascurare come queste percentuali dipendano in buona parte da economia sommersa, evasione fiscale e assenza di controlli adeguati, per le quali primeggiamo in Europa: è davvero credibile che oltre la metà degli italiani viva con meno di 10 mila euro l’anno?”
È evidente che si pone un problema grave e indilazionabile, quello della riduzione della pressione fiscale su chi paga, contestualmente ripensando l’intero sistema da rendere capace, gradualmente ma con determinazione, di combattere un’evasione fiscale intollerabile e sotto gli occhi di tutti. Il ceto medio non è più disponibile a sostenere gli oneri del bilancio pubblico per una parte cospicua del Paese, ad assistere ad un’evasione che viene percepita dei cittadini di fronte a milioni di operazioni che quotidianamente trasferiscono somme varie dai contribuenti a totali o parziali evasori. È un problema di giustizia ma anche un problema politico grave, perché in questo Paese al partito degli evasori, certamente potente perché trasversale, si va delineando l’opposizione di una maggioranza, che non vuol più essere silenziosa, composta da quanti pagano imposte e versano contributi ai quali la classe politica nel suo complesso non dà una risposta adeguata. Un errore politico, mi è stato insegnato, ignorare l’ira dei giusti.