di Salvatore Sfrecola
Gli ordinamenti liberali si fondano su principi risalenti almeno alla teoria della separazione dei poteri, delineata dal Barone di Montesquieu nel suo famoso saggio L’esprit des Lois, “Lo spirito delle leggi”, pubblicato nel 1748, due volumi, trentuno libri, frutto di quattordici anni di studio. Nel senso che legislativo, esecutivo e giudiziario operano, ciascuno nel proprio ambito, senza interferire nelle attività degli altri. È la condizione per la libertà del cittadino. E non è ovviamente una interferenza quella del potere legislativo che esprime nelle Camere del Parlamento la sovranità del popolo, che l’attua attraverso l’adozione di provvedimenti normativi che possono modificare l’ordinamento e il funzionamento delle istituzioni nei limiti, ovviamente, delle disposizioni della Carta fondamentale.
Ad esempio, il Parlamento può, come è accaduto più volte, modificare l’ordinamento della Presidenza del consiglio dei ministri, quale ufficio centrale del governo, o il numero e le attribuzioni dei ministeri ma non modificare il ruolo del Presidente del Consiglio che, ai sensi dell’articolo 95 della Costituzione, “dirige la politica generale del Governo… Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri”. Del pari, in una eventuale riforma dell’ordinamento giudiziario, non potrebbe essere introdotta dal legislatore ordinario una norma che limitasse l’indipendenza dei giudici “soggetti soltanto alla legge”, come si legge nell’articolo 101 Cost..
La separazione dei poteri, dunque, che corrisponde ad una distinzione delle funzioni fondamentali dello Stato, mette in evidenza il cosiddetto “primato della politica” la quale si esprime, sulla base del consenso elettorale, nelle decisioni delle assemblee legislative. Accanto alle istituzioni che incarnano i tre poteri ve ne sono altre alle quali la legge riconosce una specifica indipendenza e autonomia, le Autorità amministrative indipendenti, la Banca d’Italia, la Corte dei conti.
Rimanendo, dunque, su Banca d’Italia e Corte dei Conti, le istituzioni sulle quali si è concentrata nei giorni scorsi l’attenzione della politica e della stampa per aver segnalato perplessità su alcune scelte, dal tetto all’uso del denaro contante al limite per l’utilizzo del pos nei pagamenti con valuta elettronica, non è dubbio che il governo possa ritenere quelle considerazioni critiche infondate, in tutto o in parte. La politica, tuttavia, deve prestare ascolto a queste istituzioni cui la legge e, nel caso della Corte dei conti, la Costituzione, riconosce indipendenza ed autonomia, a garanzia dell’interesse pubblico alla legalità e alla sana gestione finanziaria. Il governo, infatti, lo ha precisato con riguardo alla Banca d’Italia a proposito di una considerazione, evidentemente dal “sen fuggita”. Ed ha fatto molto bene perché, anche agli occhi del cittadino, queste istituzioni “di garanzia” vanno tenute fuori dalla polemica politica che può facilmente degenerare in una sostanziale delegittimazione agli occhi del cittadino di ruoli che, invece, sono preziosi nell’interesse generale.
Ho voluto proporre ai lettori di Un Sogno Italiano queste considerazioni perché siamo all’inizio di un’esperienza politica destinata a durare che, pertanto, deve svolgersi nel solco di un percorso istituzionale nel quale gli interlocutori, nell’ambito delle rispettive attribuzioni, esercitino il loro ruolo in un rapporto di leale collaborazione, ricercando costantemente chiarimenti e valutazioni capaci di soddisfare l’interesse pubblico alla legalità e alla buona amministrazione, valorizzando le professionalità e le esperienze di cui dispongono sia la classe politica che le istituzioni pubbliche.
Si chiama senso dello Stato.