di Salvatore Sfrecola
Dice bene Maurizio Belpietro su La Verità di ieri: “L’invasione dell’Ucraina resta un atto criminale, che a prescindere da come evolverà l’“operazione speciale” rimarrà sulla coscienza di chi l’ha scatenata”. È un punto fermo ineludibile. Perché non è ammissibile che un paese sovrano sia invaso da un vicino prepotente, mettendo in atto un’azione aggressiva che richiama, nelle motivazioni, quelle che spinsero Adolf Hitler nel 1938 a pretendere di riportare alla madrepatria le popolazioni tedesche del Sudetenland, lungo i monti Sudeti, in ragione di millantate privazioni sofferte ad iniziativa del Governo cecoslovacco. Il dittatore tedesco aveva appena provocato l’annessione dell’Austria (marzo) quando a Monaco, in una conferenza che si tenne dal 29 al 30 settembre 1938, assente la Cecoslovacchia, Francia e Germania accettarono le richieste di Hitler per salvaguardare il bene della pace, loro che pure erano garanti dell’integrità territoriale cecoslovacca. Pensarono, così, di evitare la guerra. Subito dopo Hitler aggiunse nuove richieste, insistendo sul fatto che fossero soddisfatte anche le istanze dei tedeschi di Polonia ed Ungheria. Le potenze occidentali, dando dimostrazione di acquiescenza alle pretese del dittatore tedesco, manifestarono quella debolezza, fortemente criticata da Winston Churchill, che avrebbe solamente rinviato lo scontro con la Germania. Che, infatti, scoppiò nel 1939.
Molti hanno ricordato questi eventi da quando la Russia di Putin ha invaso l’Ucraina con motivazioni che ricordano quelle di Hitler, la tutela delle popolazioni russofone del Donbass. Ma, come è noto, la storia non insegna nulla, soprattutto non insegna che mostrare acquiescenza nei confronti di un prepotente significa legittimare in qualche modo la sua aggressività. Accade anche nei rapporti tra le persone. Infatti, inizia un’operazione di guerra soltanto chi è ritiene di poterla vincere, convinzione che nasce dalla conclamata debolezza dell’aggredito o degli amici dell’aggredito.
Detto questo, non stupisce più di tanto che molti italiani, probabilmente perché subiscono l’effetto dell’aumento dei prezzi dovuto alle sanzioni applicate alla Russia, siano contrari ad inviare materiale bellico in difesa dell’Ucraina. Del resto, siamo un popolo per secoli “calpesto deriso”, come dice l’inno nazionale, colonizzati da francesi, spagnoli e austriaci per molti secoli. Siamo il popolo di “Franza o Spagna purché se magna”. Tanto è vero che l’unico momento unitario di grande dignità, il Risorgimento nazionale, che ha portato all’unificazione del Paese fu opera di una minoranza di intellettuali e di giovani, di persone culturalmente attrezzate in una popolazione che per oltre il 90% era composta da analfabeti. E mi vergogno al ricordo di coloro che, accanto a chi si è mobilitato per unificare l’Italia, sono venuti a combattere, intellettuali e uomini di azione provenienti da altri paesi dalla Polonia, dall’Ungheria. Mentre molti dei nostri sono andati a combattere per la libertà di popoli europei oppressi, non solo Garibaldi ma, in precedenza Santorre di Santa Rosa, morto a Sfacteria combattendo contro i turchi per difendere l’indipendenza della Grecia.
In ogni caso, per indurre Putin a più miti consigli è necessario mostrare un Occidente coeso. È vero che la strada della pace è irta di ostacoli, come sempre quando l’interlocutore è un dittatore che non risponde all’opinione pubblica. Ed è vero che l’autocrate russo deve portare qualcosa a casa per non perdere completamente la faccia. E questo è l’aspetto più delicato in quanto l’Ucraina non può ammettere di cedere parti del territorio. C’è da auspicare, dunque, una iniziativa intelligente che possa individuare una ipotesi di pace che dignitosa per entrambi.