di Salvatore Sfrecola
Matteo Piantedosi non è certamente un mago della comunicazione, come altri componenti di questo governo, del resto. E così ha detto “a caldo” che non ci si deve mettere “in viaggio” se le condizioni meteomarine indicano burrasca. Sennonché la prudenza non si può chiedere a chi fugge da una condizione di pericolo attuale e grave, quando restare può significare la morte anche della propria famiglia, che lo spinge a tentare una traversata che sa non essere propriamente una “crociera”. E comunque non è in condizione di scegliere la “compagnia di navigazione”, per cui si deve affidare a quelli che Papa Francesco ha definito “trafficanti di uomini” che si servono di “scafisti”, spesso senza esperienza specifica, alla guida di quelle che sono state definite le “carrette del mare”, per riassumere con una espressione intuitiva la condizione prevalente del naviglio a disposizione, spesso fatiscente, senza strumentazione nautica che consenta di individuare eventuali ostacoli per la navigazione. Come quella roccia sulla quale si è andata a schiantare sabato notte della scorsa settimana l’imbarcazione con il suo carico di migranti che, come ha detto il Sindaco di Cutro, sarebbe giunta indenne a riva solo che fosse giunta sulla spiaggia alcuni metri più a Nord od a Sud.
Il Ministro, insieme al collega Matteo Salvini, titolare del dicastero delle infrastrutture e dei trasporti dal quale dipende sul piano operativo la Guardia Costiera, riferiranno alle Camere per chiarire come si sono svolti i fatti, ma intanto è scoppiata la bagarre, alimentata dal desiderio dei partiti d’opposizione di recuperare visibilità nel dibattito politico che sui giornali e in televisione fa notizia perché a morire su quella spiaggia, che vorremmo tutti dedicata solo alla gioia della balneazione, sono stati anche bambini piccolissimi, ciò che costituisce una tragedia nella tragedia. Come nelle parole di un vigile del fuoco intervenuto a recuperare i cadaveri. La vista di un bambino morto in quelle condizioni è straziante per tutti, non solamente per chi ha figli.
Di fronte ad una vicenda che richiede un’analisi attenta dei fatti nella loro scansione temporale e nella loro significatività, in rapporto alle condizioni dell’imbarcazione all’atto della sua individuazione da parte di Frontex, l’Agenzia europea della Guardia di frontiera e costiera, ed alle valutazioni che ne ha tratto, sarebbe buona norma, come regola di civiltà, attendere che la Magistratura, che ha strumenti di indagine certamente superiori a quelli dei giornali, dicesse se ci sono state delle responsabilità penalmente rilevanti. E se c’è un profilo squisitamente politico da valutare, anch’esso non può prescindere dai fatti perché le decisioni o le omissioni seguono necessariamente la conoscenza degli avvenimenti. Una regola di civiltà spesso trascurata dalla nostra politica che, a destra ed a manca, tenta troppo spesso di approfittare degli eventi, soprattutto se muovono i sentimenti della gente, per stare sulla notizia e dare la propria interpretazione dei fatti, non a fini di giustizia, che non compete alla politica, ma per acquisire consenso. È per questo che le parole di chi ha responsabilità politica devono seguire le regole della comunicazione. Un tempo si affidavano prevalentemente agli uffici stampa ed ai portavoce che sanno quale effetto avrà una parola o un concetto sull’opinione pubblica. Mario Sechi, neo Capo dell’ufficio stampa di Giorgia Meloni, giornalista di esperienza ed abile nell’analisi politica, come dimostrano i suoi interventi televisivi, spesso nelle “maratone” di Enrico Mentana, insegni soprattutto ai “non politici” del Governo le parole e i concetti da esprimere in pubblico quando si parla di fatti intuitivamente controversi, in relazione ai quali anche un aggettivo può essere strumentalizzato dall’avversario politico. Abbiano l’umiltà i nostri uomini di governo, politici e non, di capire che la comunicazione è mestiere difficile, che comporta valutazioni sociologiche e analisi lessicali delle dichiarazioni, ed evitino di parlare a getto continuo di tutto e di più.
Basta rileggere i discorsi parlamentari e le dichiarazioni pubbliche delle personalità della cosiddetta “Prima Repubblica” per comprendere che occorre tornare sui banchi delle scuole che i partiti avevano predisposto per la formazione della loro classe dirigente. Oggi al più si tengono sporadiche conversazioni e conferenze, troppo poco perché chi si impegna in politica sappia “conoscere per deliberare” secondo l’insegnamento di Luigi Einaudi. E, quindi, per intervenire nel dibattito.